Questo l'ho scritto sul vecchio blog alle ore 21:35 del giorno 13/10/2006
Quando ero ragazzino, negli anni dicamo della 3^-4^-5^ elementare, ossia nei bellissimi anni 70, cotonati, tutto era più bello, più semplice, più sano, perché si stava meglio quando si stava peggio e ci accontentavamo di poco; si era tutti più semplici e si poteva stare in casa tenendo tranquillamente la porta aperta; bastava una stretta di mano. L’amicizia a quei tempi era veramente disinteressata, perché si aveva poco (basta sennò si pietrifica anche il pc).
I programmi televisivi iniziavano tardi, quindi che si faceva? Si usciva a giocare a pallone e a bighellonare in bici o a fare lunghe escursioni nei boschi, o lungo il fiume.
Vittorio ed io trascorrevamo il tempo a identificare il momento opportuno per creare situazioni distoniche ai danni dei poveri malcapitati che ci capitavano a tiro. Vittorio era bravissimo nello scovare – nel nostro paesello - quei personaggi particolari che reagivano in maniera singolare alle sollecitazioni.
Non ci interessava suonare i campanelli e fuggire, troppo banale. Era molto più interessante assaporare le reazioni stravaganti dei personaggi che incappavano in noi.
Durante uno dei nostri vagabondaggi pomeridiani ci imbattemmo nella villa della Signora Pippy. I componenti di quella famiglia, pur avendo tutti dei nomi normali, amavano darsi dei soprannomi e chiamarsi con vezzeggiativi vari, così, per far vedere che andavano tutti d’accordo, che si volevano tutti molto bene e che erano sereni. Tra di loro si rivolgevano con vari: amore, stellina, gioietta, ed altre delicatessen simili.
Buttammo lo sguardo dentro e vedemmo la Signora Pippy (forse Peppina, cioè Giuseppina e quindi Giuseppa?) e suo nipote Riky (Riccardo), seduti, che pazientemente stavano pulendo una montagna incredibile di fave fresche.
Riky era un bambino quadrato, cioè, aveva la testa grossa quadrata, pettinato quadrato, il corpo quadrato, le mani quadrate e tutto quadrato, come un robot; aveva solo 2 anni meno di noi.
Eravamo ancora in fase di studio, quando Riky alzò lo sguardo e iniziò a gridare:
Da quel momento iniziò un periodo troppo appagante.
-“Allora andatevene non si guarda nelle ville degli altri, curiosi, ficcanasi”, repicò Riky.
-“Riky, smettila, fregatene, vedrai che poi se ne vanno, ignorali, amore.”
–“Nonna, ecco, vedi, mi hanno fatto perdere il conto delle fave, adesso come si fa?”
Dopo un’oretta, non potendo resistere alla tentazione, ritornammo davanti a quel cancello. Riky stava continuando l’opera di sbucciatura, ma stavolta da solo.
-“Nonnaaaa, ci sono di nuovo i puttaaniiii”
-“lasciali perdere gioia, non dirgli niente, e non dire quella parola”.
–“Nonna, ma i puttani mi stanno guardando, stanno ficcanasando a casa nostra! Mandali via! Andate via da lì, puttani!!”
Rimanemmo sbalorditi.
“Sì siete voi, puttani, puttani, andatevene”, rispose Riky, con una faccia indescrivibile, una faccia da cazzo, una faccia da bambino viziato, una faccia da signorino, una faccia da schiaffi.
Iniziammo a ridere, ma con quel riso che poche volte ti assale nella vita, quel riso che te lo senti in ogni cellula del corpo, quel riso che ti annebbia la vista, che non ti fa più respirare, che ti blocca il cuore, le mani. Quel riso che ti fa pensare: Oddio, mi sto nebulizzando.
Ma quando mai. Ma dove l’aveva sentita quella parola, ci chiedevamo, sicuramente gliela aveva detta sua nonna, per offenderci, per dipingerci ancora più brutti, ai suoi occhi, per istigarlo ancora di più.
Scoprimmo quindi che la nonna di Riky non amava sentire la parola “puttani”, pertanto la discolpammo, e ci rimettemmo a fantasticare su chi potesse avergliela suggerita.
Da Riky non ci si poteva andare spesso, altrimenti le nostre coronarie sarebbero scoppiate, al massimo potevamo andarci due volte al giorno, non di più. Certe cose dovevano essere ben dosate.
Riky, dal canto suo, aveva capito il rischio che correva e, sempre più spesso, ci redarguiva a voce bassa, per non farsi sentire sussurrava: -"puttani, andatevene, sciolate da qui."
Ma un pomeriggio, all’ennesima pronuncia della parolaccia, da dietro la villa arrivò in volo una ciabatta che colpì Riky all’improvviso sulla nuca.-“La smetti di dire quella parola, o ti devo spaccare la faccia?”, lo rimproverò la saggia Pippy.
Venimmo presi da un altro attacco di riso, che ci sfinì e ci disidratò.
Da quella volta, però, Riky imparò a non darci più soddisfazione. Ci osservava muto e, con sussiego, si alzava e rientrava in casa, oppure ci ignorava e basta.
Uff.
Quel trastullo sembrava finito.
Sembrava, dico. Perché si verificò una cosa inaspettata, ma questa è un’altra storia.
Riky in un primo momento incassò la testa tra le spalle, spaventato e forse temendo l’arrivo di altri oggetti volanti, poi, evidentemente dal nervoso, si morsicò una mano ed emettendo un grugnito.