Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 20:49 del giorno 27/01/2010
Non posso starci molto, le leggi contro la dispersione del tempo e delle energie limitano i tempi di permanenza nei locali pubblici, bagni compresi. Poso gli occhi sulla sentenza e per un momento muoio, completamente.
È una sentenza contro di me. Sono stato condannato in contumacia, ossia in mia assenza per “ragioni di snellezza dell’attività giudiziaria”. Fuori ha iniziato a piovere, sento il rumore delle gocce sulla finestra, mi stanno chiamando, stanno dicendo di fare presto, è giunta l’ora.
Le giornate di pioggia mi hanno sempre portato sfortuna.
Sono stato condannato, tenuto conto delle circostanze attenuanti, ad una lobotomizzazione parziale e viene dato ordine che mi venga notificata seguendo il canale della casualità, in modo tale da evitare impugnazioni.
“Ciò che è causale è inevitabile”, motto del Ministro della Giustizia.
Il tempo stringe, se resto qui scatta l’allarme che attira gli Ispettori Statali, pronti ad arrestare chiunque, non hanno troppe regole: un allarme è più che sufficiente.
La sentenza mi offre due possibilità: affidare al caso il momento in cui essa potrà essere eseguita in uno degli ospedali giudiziari oppure consegnarmi spontaneamente, nel qual caso potrei sperare in una riduzione della massa cerebrale da asportare.
Esco dal bagno e mi fermo sulla porta del bar. Fuori diluvia, osservo la realtà sullo schermo di pioggia battente, violenta. Chiedo un bicchiere al barista e lo metto per terra sulla soglia.
Lui, il barista, mi guarda con sospetto, credo sia pronto a chiamare gli ispettori.
In pochi momenti il bicchiere si riempie di quell’acqua naturale. Non ho mai assaggiato la pioggia, ha un gusto caldo e pieno. Le mie sinapsi sono ancora scombussolate dal bombardamento pineale e la notizia della sentenza ha ingenerato ulteriori circuiti cerebrali di cui non avevo mai nemmeno sospettato l’esistenza.
Devo decidermi, ogni istante che passa potrebbe essere quello della casualità fatale, quello che mi dice che è arrivato il momento di attuare la sentenza.
Osservo il Tribunale, uno stabile dalle linee essenziali in cui tutto funziona alla perfezione, tutti sono sempre indaffarati e sorridenti, gentili ma fermi. Solerti.
Poi ecco la scarica improvvisa. La mia mente si impossessa di me, perdo il controllo. Sono costretto da lei. Prendo la sentenza e la mostro al barista, poi la strappo in mille pezzi e la butto fuori, sotto la pioggia. In pochi istanti diventa carta straccia, sbranata dalla pioggia, illeggibile.
Poi mi stacco dal corpo e volo via, nel mondo parallelo di cui avevo sempre sospettato l’esistenza.
Fuggo mentre il mio corpo resta laggiù, lo osservo, rimasto davanti al barista che sta chiamando gli ispettori. Il corpo resta immobile in attesa, assieme a molti altri, miei compagni di fuga, di rinascita. Di scoperta.
Tenetevi il mio corpo, finchè funziona, io mi libro nell’interspazio.
È durato tutto pochissimo, un distacco vibrante e veloce. Ho lasciato il corpo e ho scoperto un’altra dimensione, quella di cui ho sempre sospettato l’esistenza, equilibrata essenza.
Finalmente.
4° Episodio - All'imbrunire.