Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 15:12 del giorno 29/07/2009
Lo sapevo, anche se non credevo fosse così caotico.
O meglio, ogni volta dimentico la dura realtà del Centro Commerciale.
Io ho caldo e il caldo mi toglie il respiro, mi rende nervoso. Ma sono dovuto venire qui, al Centro Commerciale, per ragioni che non ho la forza di spiegare, pur sapendo che mi sarei preso tutto il caldo del mondo.
Capisco, certo, che non ci fanno le finestre nei Centri Commerciali - per ovvii (il plurale ha due "i", credo) motivi che non ho la forza di esplicare qui - ma almeno ne dipingessero qualcuna aperta, stile trompe-l'oeil.
Il solo vederle mi darebbe un po' di refrigerio.
Ma non c’è solo il caldo che mi disturba e mi avvolge come una coperta di lana, di quelle elettriche con le resistenze. No. Ci sono anche i clienti, gli avventori, le allegre famigliole che intasano tutto lo spazio, che bloccano i corridoi, che si piazzano di fronte agli espositori a frotte e se ne appropriano.
Corridoi bloccati da deretani enormi di donne cesse e distratte, accompagnate da bambini antipatici che trascinano il carrello facendo stupide corsette, che continuano a chiedere, a chiamare la mamma e a guardarmi. Ma che vuoi, ma cosa mi guardi a fare? Ma tua mamma non può controllarti? Possibile che quella balena di genitrice che hai debba guardare per mezz’ora una bottiglia di passata di pomodoro prima di comprarla, mentre tu rompi le scatole al prossimo? Possibile che non si accorga che c'è anche altra gente che deve passare e che sa già cosa comprare? Vi meritereste una passatina di assistenti sociali.
Mentre io grondo di caldo.
Devo passare: pas – sa – re.
La “s” va sempre a capo.
Gente bruttissima che chissà come vive e cosa fa li, cosa cerca, cosa compra. Ti si piazza davanti e non si sposta.
“Permesso”.
PERMESSO?? Ma sono a casa tua che devo chiedere permesso? Spostati veloce e vattene.
Ma il peggio arriva quando gruppi di famiglie si incontrano, guardacaso, sul mio tragitto. Ingombrano ettometri di terreno, si spantegano come un branco di pecore, senza capire che forse anche gli altri dovrebbero passare. Iniziano una serie di discorsi assolutamente inutili.
Le donne tra di loro: offerte, sconti, ammorbidenti, pasta con il tonno che il marito mangia solo se è Maruzzella e solo dello stabilimento di Marano Lagunare, e guai a tentare di imbrogliarlo.
Uomini che parlano con le braccia conserte di cose assolutamente inventate (ma come possono stare comodi in piedi e con le braccia conserte con questo caldo? Non sono normali, no), che si danno occhiate complici quando passa qualche ragazza (bella o brutta che sia, l’importante è che passi), sparano balle pazzesche: cose sapute da amici di amici, che hanno zii in Germania, che hanno nipoti in continente che frequentano facoltà talmente difficili che in tutto il mondo ce ne sono solo 3 che si sono laureati in quel campo ed il loro congiunto sarà uno di quelli, che il maggior azionista delle miniere in Australia ha già prenotato quel congiunto (immaginario) per delle perizie geologiche giurate (ma miniere d’oro, mica…) e bla bla bla, e man mano si allargano e invadono tutto il posto. E io che devo passare col carrello.
Mi ignorano, mi guardano come se fossi trasparente. Con i loro sorrisi di circostanza. Falsi.
Sproloqui che vanificano l'aria condizionata. La assorbono per restituirla calda e pesante.
Insopportabile.
Magari poi dopo essersi salutati si fanno a pezzi l’un l’altro.
Magari mentre parlano ognuno guarda nel carrello degli altri per poi commentare al vetriolo. Così, tanto per consolarsi una volta scioltasi l’allegra combriccola, per avere qualcosa da dire, per tenere occupate quelle bocche e quelle menti inutili.
Ma possibile che proprio oggi vi dovevate incontrare e proprio qui? Ma non lo avete un cellulare, un computer, un amico in comune? Organizzatevi e andate a sparare le vostre cavolate altrove.
Basta.
Si, caro lettore, io vedo solo loro. Gli altri non attirano la mia attenzione, gli altri sono disciplinati, non fanno casino. Si comportano pacatamente, come è opportuno fare in un posto pubblico. Gli altri mi rinfrescano, questi invece mi fanno venire ancora più caldo. E quando ho caldo mi da fastidio TUTTO.
Ho comprato una spiaggina, per il mare (ovvio, e per cosa sennò, per andare a messa?). Bellissima, in alluminio e tela blu. Il blu è il mio colore preferito, è intensamente fresco. Piegata occupa pochissimo spazio. Potrei metterla nel carrello, ma ha una comoda bretella e la porto a tracolla, mi sembra così che l’alluminio mi dia un po’ di refrigerio.
Devo prendere le pesche. Davanti all'espositore c'è una signora con abito lungo anni ’70 pettinata come la regina Elisabetta la mattina appena sveglia. E' accompagnata da una specie di uomo con pantaloni ascellari che lasciano scoperti 20 cm buoni di calzino grigio sandalizzato, giacca ricavata da residui di tappezzeria ottocentesca e capelli leccati di brilcream. Stanno certosinamente scegliendo le loro pesche, senza guanti: a turno ne afferrano una, la annusano, la palpano, le scrutano, poi si consultano e la ributtano tra le altre con sguardi da fini intenditori, scettici e lievemente tediati. Trovano difficoltà ad individuare quelle che meglio si adattano ai loro raffinatissimi gusti.
Aspetto paziente che si decidano.
A un certo punto però la mia pazienza svanisce e do un colpo di spiaggina sulla schiena a ciascuno.
Si voltano a guardarmi, stupiti e impauriti.
La bretella è davvero comoda: mi permette di dare colpi di spiaggina alla gente senza sfilarla.
“Gentili George e Mildred, state comprando pesche e non diamanti. Se tutti facessero come voi, con quelle manacce schifose, in un attimo le pesche sarebbero completamente marce ossia da buttare. Siamo a luglio, c’è un caldo becco, quindi vestitevi più leggeri, che sento puzza solo a vedervi. Per non parlare dei capelli schifosi ed untuosi che 'sto bellimbusto porta su quella testa di minchia. Li taglierei qui adesso e subito se solo avessi la macchinetta, ma non ho né tempo né voglia di andarla a cercare in mezzo a quella folla di mosconi, quindi per oggi siete salvi. Per favore andatevene che ho CAL - DO e fretta, lo volete capire o no?
Rozzi parvenus che non siete altri. E non vi voglio mai più vedere né qui né altrove”.
Ah che bello, così sto un po' meglio, ma ho sempre un caldo che mi rende asfittico.
Si allontanano spaventati, confabulano con un addetto. Tutti e tre mi guardano. Me ne frego. Prendo le mie pesche, le metto nel sacchetto, le peso, attacco lo scontrino adesivo sul sacchetto e me ne vado. E uso i guanti, anche se ho un caldo micidiale alle mani.
Passo accanto all’addetto che mi sta ancora guardando e gli assesto comodamente un colpo di spiaggina sulla schiena. Si, anche a lui. E' colpa sua. Di tutto.
“Cosa ti hanno detto quella mummia ed il suo amante? Non potevi ricordargli che le pesche si toccano SOLO con i guanti e che non si devono maltrattare? Le pesche le devi vendere o le hai esposte per far giocare la gente?”
Alla cassa c’è una fila lunghissima.
Ho caldo, mi manca il respiro, voglio una pioggia di cubetti di ghiaccio blu.
Altri anonimi ed inutili clienti mi spintonano e poi con sorrisini finti: “mi scusi”.
Qualcuno si è dimenticato il camembert e corre veloce a prenderlo mentre una spocchiosa cassiera sta facendo il conto ad un ragazzo con gli occhiali da sole (forse crede che non me ne sia accorto che mi guarda di sottecchi, credendosi non visto, con quegli occhiali comprati dai marocchini?).
È lentissima quella stupida cassiera. Se ci avessero messo una gallina avremmo già fatto.
La osservo. E' davvero brutta: la natura si è dimenticata di farle buona parte del mento. Profilo obbliquo, tipo quello di Ciccio di Nonna Papera. Quelle sono le peggiori. Non devo più guardarla, mi fa aumentare il nervoso.
Il mio turno non arriva mai. La gente passa di traverso scompigliando ogni 2 minuti la fila, con grossi pacchi, grossi vasi (ma che cazzo comprate? Ma proprio oggi?).
“Mi scusi mi scusi”.
Che nervi. HO CALDO! Ma lo volete capire che dovete starmi lontani?
Mi scusi un tubo! Do un colpo di spiaggina sulla schiena al tipo davanti a me. Lo sorpasso. La cassiera con sguardo tra il sussiegoso, il severo e lo schifato mi fa il conto. Pago e mentre mi sta dando il resto do un colpo di spiaggina anche a lei, su quelle manine schifosine e lente. Incompetente sciatta vanesia lumaca che non è altra. Se non ci fosse stato il ripiano in plastica glielo avrei dato volentieri sulla pappagorgia, per sentire il rumore dell'alluminio sbattuto sulla gola. Mi avrebbe rinfrescato.
Verso l’uscita una nonna (credo sia una nonna, è vecchia e a quest’ora cosa esce a fare?) si è fermata per ascoltare le fesserie del nipote. Devo passare. Le do un colpo di carrello su un fianco, cade sul nipote (che ne so magari non è nemmeno suo nipote).
Fuori c’è la zingara dal dente d'oro: “dare quacchecosa, taaanta fortuna, daare per mangiare a mio filio”.
Le do un calcio in culo. La prossima volta le do un colpo di spiaggina sul naso adunco. E se vedo suo “filio” gliene do uno fortissimo anche a lui, proprio sulla testa che se ci riesco gli lascio la spiaggina a collana.
Ho caldo.
E voglio andare in un posto freddo.