Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 14:34 del giorno 30/08/2009
Per anni ho frequentato quella casa decadente. Cioè io la chiamo “casa decadente” per capirmi da solo, ma in realtà cos’era? Un casolare? Un palazzo? Non saprei, ma era stupendamente decadente. E non vedevo l’ora di tornarci ogni volta, anche se per solo pochi minuti o per giornate intere, o nottate.
Notti blu cobalto, fresche, intense, profumate.
Notti di ombre sull'asfalto e di insegne al neon, assieme ad altri scalcinati compagni di viaggio, conosciuti per caso e subito dopo dimenticati. Anche nostro malgrado.
Per anni mi sono chiesto il significato di quel cartello:
ENTRATA LIBERA E OBBLIGATORIA.
Boh.
Che ridicole le persone che si improvvisavano “portieri” e passavano tutto il tempo a perculeggiare. Oggi, invece, penso: “poveretti, non potevano fare altro”. Come Busvitis, che una voltrà arrivò al passo della marcia di Radezky, disinvolto, con gli occhiali in mano ed una stanghetta in bocca, pensoso. Faceva finta di niente. Anche io feci finta di niente.
Ma ad essere ulteriormente precisi è stata proprio lei, la casa, a chiamarmi, con lo stesso linguaggio che usano gli oggetti per chiamarti. Ti illudi di essere tu a scegliere i beni mobili e immobili che costellano la tua esistenza, ma ti sbagli, sono loro che ti scelgono e restano con te fino a che vogliono. Poi ti mollano. Pensaci bene, è così.
Da quella casa raramente ne sono uscito insoddisfatto. Potrei scrivere pagine e pagine su chi la frequentava e sulle cose che si facevano la dentro.
I suoi odori, le sue luci, i suoi rumori hanno nutrito gli ospiti. E li hanno sempre protetti. E tutti contraccambiavamo con le nostre emozioni. Quasi gratis.
In quella casa ho passato un po’ della mia vita, intensamente. Le ho lasciato in cambio le mie vibrazioni, le mie energie, la mia organicità. Tutti noi le abbiamo lasciate e lei, la CASA decadente, viveva di quello. Le sue pareti, i pavimenti e i soffitti sono ancora intrisi di noi.
Sono tornato a trovarla. Si è adeguata ai tempi. Non ci posso credere, mi struggo di malinconia. Ci ha abbandonati. Te lo avevo detto che gli oggetti stanno con noi finchè ne hanno voglia. Al suo posto c’è un centro di bellezza, abbastanza pretenzioso direi a giudicare dalle addette che si aggirano all’interno. Adesso posso solo spiarne l’interno da fuori, attraverso una porta a vetri, pacchiana.
Le porte magiche di una volta hanno lasciato il posto alle più moderne scorrevoli, azionate da ipocriti dipendenti che ignorano l’energia che c’è in quei locali. Quando se ne renderanno conto sarà troppo tardi, la vendetta sarà terribile e senza pietà contro chi indebitamente sta sfruttando ciò che non è suo. La casa non permetterà che quell’energia venga sciupata.
Care persone che vi trovate all’interno, adesso voi pagate per assimilare ciò che abbiamo lasciato gratuitamente la dentro. E state riempiendo le bieche tasche di chi si è appropriato indebitamente di ciò che rinforzavamo con le nostre vibrazioni, di quel concentrato di umanità. Quelle tasche nessuno sa fino a quando continuerano a riempirsi, ma di certo arriverà il periodo in cui si svuoteranno ancora più velocemente. Quelle tasche si riempiono del denaro attirato dalle vibrazioni. Ma solo finchè la casa lo vorrà. E credo si stia stufando.
State solo ottusamente consumando.
Ma lei saprà come fare.
Mi ha fatto l’occhiolino.
E lei non perdona e non ha ripensamenti.
Del centro di bellezza non resterà che un grottesco, ridente cumulo di macerie.