Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 10:25 del giorno 22/02/2007
Gianuario era arrivato al colmo della sopportazione.
Da oltre un mese qualcuno, quasi quotidianamente, gli rubava la legna: cinque, sei pezzi al giorno che, moltiplicati per il numero dei giorni, avevano seriamente depauperato la sua scorta.
Gli anziani genitori gli avevano consigliato di lasciar perdere per non compromettersi – magari con qualche fucilata - e di cambiare posto alla catasta. Ma nemmeno quel trasloco risolse il problema.
La legna continuava a sparire.
Aveva sparso la voce che se avesse scoperto il ladro sul fatto lo avrebbe ucciso e che comunque avrebbe regalato lui stesso la legna a chi ne avesse avuto bisogno; aveva anche effettuato numerosi appostamenti assieme a compare Coccoi, ma del ladro nessuna traccia.
Non aveva affatto intenzione di sporgere denuncia ai Carabinieri perché quelle erano cose da risolvere in altro modo e d’altro canto se nemmeno lui e compare Coccoi erano riusciti a smascherare il ladro, figuriamoci se ci sarebbero riusciti quei goffi continentali che, profumati e delicatini, andavano in giro per le campagne con quelle scarpette lucide. E poi non era affar loro.
La situazione non sembrava avere via d’uscita, inoltre lui rischiava di diventare lo zimbello del paese, visto che di quei furti ne aveva parlato con tutti, anche e soprattutto nella speranza di dissuadere gli imprendibili ladri.
Quella mattina, dopo avere constatato l‘ennesimo ammanco, decise di rivolgersi a Tzia Bachisanzela, sua madrina di battesimo che in 80 anni di vita non aveva mai sbagliato un colpo: aveva sempre dispensato consigli saggi e preziosi a tutti, inoltre aveva la fama di essere una potente majarda[1], ma solo per cose giuste. Era rimasta signorina per rispetto del suo primo ed unico fidanzato, che non ritornò mai dalla guerra e che lei continuava ad aspettare, fedele nel corpo e nella mente.
“No ti preoccupese”, lo rassicurò la madrina, “vai, prendi due pezzi grandi di legna e portameli”.
Gianuario obbedì, andò immediatamente a prenderli e glieli portò.
"Bravo, fizzu meu”, torna a riprenderli stasera e resta a cena, che ti fai vivo solo quando hai bisogno, va bene?”, gli disse.
Mai si sarebbe sognato di declinare l’invito. Alle 20 in punto iniziarono a cenare: Salsiccia, maccarrones de ungias con sugo di pecora, formaggio arrosto, seada al miele e mirto. Ma nonostante quelle leccornie fremeva aspettando qualche notizia in merito alla legna scomparsa, visto che la conversazione verteva su altri argomenti e che mai si sarebbe permesso di rivolgerle per primo qualche domanda sulla questione.
“Coro, fizzu meu, pagu asa manigadu, sese illanzighende”[2], gli disse tzia Bachisanzela dopo che finirono di mangiare, quindi finalmente uscì dalla cucina per farvi rientro con i due pezzi di legna che lui le aveva consegnato la mattina.
“Rimettili a posto e ricorda che su male leadu o in pedra o in linna chere torradu [3]”, gli disse porgendoglieli, senza aggiungere altro sulla questione.
Si era fatto tardi e Gianuario si accomiatò dalla donna, che lo salutò dicendogli:
"Torra barrigadu, fizzu meu, a s’siscurigada[4]”.
Memorizzò il sibillino responso. Lo ripetè continuamente lungo la strada del ritorno:
“su male leadu o in pedra o in linna chere torradu”.
Prima di rincasare andò in campagna a riporre la legna. Non parlò con nessuno di quel suo ultimo tentativo, perché certe cose non andavano raccontate in giro, nemmeno a compare Coccoi.
Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere ma conosceva l’infallibilità della madrina ed iniziò ad aspettare con fiducia gli avvenimenti.
La mattina successiva scoprì un nuovo passaggio dei ladri, i quali non si erano limitati alla legna ma gli avevano anche sottratto due maialetti e due agnelli.
Terminato il lavoro in campagna, poco prima di mezzogiorno, demoralizzato ed arrabbiato andò al bar con la speranza di incontrare compare Coccoi, l’unico di cui si fidava completamente e con cui si poteva liberamente confidare, amico intimo e fraterno.
Ad un certo punto però un boato fragoroso scosse le vie del paese e lo distolse momentaneamente dai suoi pensieri. Con uno sguardo di intesa tutti gli avventori concordarono: una bomba. Ma a chi?
In quei casi scattava automaticamente il piano d’azione: prima di muoversi per controllare cosa fosse successo bisognava attendere almeno quindici minuti dal momento del botto, al fine di evitare di farsi trovare dalle Forze dell’ordine sul posto della deflagrazione, o in giro per le vie del paese, ossia al fine di evitare grane, domande, firme su verbali e irritanti (quanto ingenui) sguardi indagatori da parte di gente che, proprio di certe cose, non capiva una beneamata balla di fieno.
Trascorso il periodo di sicurezza tutti si mossero per cercare di capire cosa fosse successo e con enorme sorpresa si scoprì che l’esplosione era avvenuta a casa di compare Coccoi. La parte retrostante della sua abitazione era crollata e lui, miracolosamente illeso, giaceva in stato confusionale su una lettiga trasportata da due infermieri.
Una bomba per danneggiare, il piombo per uccidere. Ma per quale motivo gli avevano affibbiato quella bomba? Se si fosse scoperto il motivo si sarebbe potuto agevolmente risalire all’autore.
Probabilmente durante i suoi viaggi nel capoluogo aveva messo gli occhi sulla fanciulla sbagliata, quella era l’unica spiegazione plausibile, tutti nel bar erano concordi. Ciò preoccupava anche Gianuario, visto che spesso quei viaggi li facevano assieme, da scapoloni complici e impenitenti quali erano.
Il giorno successivo, all’imbrunire come ordinatogli, tornò dalla madrina.
Le diede due baci e le porse il regalo che le aveva portato, perché certi servigi vanno sempre e comunque ricompensati.
“E como, madrì?”,[5] le chiese.
“E como perdona, pone unu pè in conca a su diaulu. Perdona”,[6]rispose la donna.
Bussarono alla porta, fuori nevicava. Era tzia Grazia, l’anziana madre di compare Coccoi. Bachisanzela la fece entrare. La donna restò in piedi, imbacuccata nel suo pesante scialle nero imperlato dai grossi fiocchi di neve che si ostinavano a non volersi sciogliere, in silenzio, con lo sguardo basso. Una dolcissima Madonna sarda, straziata dal dolore.
Sui tre scese il silenzio, greve, carico di emozione e di tensione, flebilmente rotto da Bachisanzela che, rimasta in disparte, aveva iniziato a recitare con un fil di voce una incomprensibile litania, la stessa che stava recitando mentalmente tzia Grazia.
“Tzia Grà, no, deo no lu perdono. A perdonare e a occhire toccad' a Deus, no a mie.[7]”.
Disse finalmente Gianuario, con voce rotta.
L’anziana madre lo abbracciò, lo baciò ed uscì tra i fiocchi di gelo da dove era arrivata, senza pronunciare una parola. Si allontanò con passo lieve ed incerto, sorretta da una persona che era rimasta fuori, in attesa, sotto la neve che cadeva abbondante.
Tzia Bachisanzela amava in maniera spropositata le bambole. Quando era bambina i giocattoli erano l’ultima priorità della sua famiglia ed ora, che era giunta quasi al traguardo e che poteva permettersele, non si vergognava di farne collezione e di giocarci, per recuperare quel tempo perduto; ne aveva a decine: di porcellana, di pezza, di stracci, di plastica. Gianuario gliene aveva portata una bellissima, vestita con abiti di seta, avvolta nella prima pagina del quotidiano locale di quel giorno, che riportava:
“Attentato COCCOI, gli artificieri a sole 24 ore dall’attentato hanno rinvenuto tracce di polvere da sparo e gelatina dentro due pezzi di legna che la vittima aveva appena sistemato nel caminetto per cuocere alcuni pezzi di carne. Si indaga a tutto campo…”.
Quella notte, prima di addormentarsi, forse piansero tutti: madrina, figlioccio, compare Coccoi. Ognuno nel segreto del proprio letto.
Coccoi fu visto per l’ultima volta la domenica successiva in Chiesa, assieme alle due donne, dopodiché emigrò, pare, in Germania, da alcuni suoi parenti.
[1] Maga, fattucchiera.
[2] “Figlio mio, hai mangiato pochissimo, stai dimagrendo”.
[3] “Ciò che viene preso scorrettamente, o in pietra o in legna, deve essere restituito”.
[4] “Ritorna dopodomani, figlio mio, all’imbrunire”.
[5] “E adesso, madrina?” nel senso di “adesso cosa devo fare? Cosa succederà?”
[6] “E adesso perdona. Metti un piede in testa al diavolo e perdona”.
[7] “Zia Grazia,no, non lo perdono. Perdonare e uccidere è compito di Dio, non mio".