Questo l'ho scritto sul vecchio blog alle ore 00:49 del giorno 08/02/2007
PROLOGO
Quella mattina il commesso si alzò di buon’ora.
Si preparò con cura, si vestì elegantemente, si impomatò i capelli, stile “leccata di vacca”, ed uscì di casa per recarsi al Centro Commerciale Cittadino, dove si trovava il negozio di occhiali nel quale lavorava da pochissimi giorni.
La campagna “mese della prevenzione oculistica” avrebbe avuto inizio proprio quel giorno e lui doveva arrivare con largo anticipo rispetto all’orario di apertura per controllare che tutto fosse pronto. Si prevedeva un grande afflusso di gente.
Nello stesso momento anche Gavina Culazzu si stava preparando per andare in città, dove avrebbe dovuto sbrigare diverse incombenze. Prima fra tutte recarsi dall’ottico, con quel coupon che le aveva passato comare Gertrude, sempre così gentile.
Gavina aveva indossato la sua “mise da città”, quella per le commissioni importanti:
- camicetta bianca istoriata;
- blusa nera damascata, con spilla in oro;
- gonna plissettata nera lunga (modello “millepieghe”), con varie tasche nascoste;
- scarpe nere con fibbia dorata e tacchetto;
- foulard autoreggente sulla pettinatura a “mogno”;
- scialle nero, tipo burka, da indossare in pubblico, per dare l’impressione di essere mite, timida e remissiva, e quindi convincente.
Vestiva rigorosamente di nero da quando, nel 1969, morì sua suocera. In verità di quella donna non gliene era mai importato granchè, ma aveva ritenuto opportuno indossare il lutto sia per evitare i commenti della gente, sia per poter lei stessa - a sua volta - criticare liberamente chiunque le passasse a tiro. Il lutto, se opportunamente ostentato e gestito, rende quasi intoccabili.
Impugnò il portafogli, prudentemente avvolto in un doppio foglio di cellophane trasparente, se lo sistemò sotto l’ascella, dopodiché salì sulla sua 127 arancione.
Suo marito Bachisio, che la seguiva sempre e in silenzio ovunque, si sedette pazientemente al suo fianco.
Anche lui aveva la “mise da città”:
- camicia bianca candida che olezzava di sapone di Marsiglia;
- giacca di velluto nero mille righe autoreggente, appoggiata sulle spalle (modello “gianchetta”);
- pantaloni - “pendant” con la giacca - con taschini rinforzati sul davanti, dove infilare i pollici nei momenti di attesa, larghi sui fianchi e stretti alle caviglie, che conferivano alla parte inferiore del suo corpo una strana sagoma di doppio fiasco capovolto;
- scarpe nere robuste modello “botte”;
- berretto “pied de poule” modello “cicìa”.
Lui non amava quei viaggi, che oramai cadevano con frequenza mensile; li trovava noiosi per non dire sospettosi. Era molto geloso della moglie e, nonostante i loro 45 anni di matrimonio e i loro 6 figli, a volte aveva il dubbio che lei si recasse nel capoluogo al fine di guardare altri uomini.
Aveva proposto di fare il viaggio a bordo del trattore, così ne avrebbe approfittato per fargli dare una controllatina dal suo meccanico di fiducia, ma lei rigettò la proposta perché da qualche giorno si sentiva “la cervicale”, e aveva paura che peggiorasse, visto che l’abitacolo del trattore non era perfettamente sigillato e al suo interno si sviluppavano pericolose correnti d’aria gelida, proprio all'altezza del collo.
A quel rifiuto Bachisio pensò con nostalgia a quando, da fidanzati, si recavano nel capoluogo a cavallo. Bei tempi.
Percorsero i 25 chilometri che li separavano dalla città in circa 1 ora e mezza. Dietro di loro si era formata una lunga coda di autovetture strombazzanti; la strada era impervia, tutta curve, quindi Gavina guidava con estrema cautela, inoltre la strettezza della carreggiata non permetteva i sorpassi, quindi il loro arrivo sembrò quello di un corteo nuziale, guidato da una 127 arancione lucidissima, sul cui portapacchi era stato sistemato anche un divano in sky di color vinaccia, che doveva essere portato dal tappezziere per alcuni lavoretti di rattoppo. Anche per quello Gavina andava piano, non voleva che il divano cadesse lungo il tragitto e poi lei diceva sempre che chi va piano va sano e va lontano.
Gavina posteggiò nel piazzale antistante il Centro Commerciale, scese dalla macchina e, dopo essersi aggiustata la gonna - che con quell’effetto “plissè” ingigantiva le forme del suo fondoschiena - si diresse verso il negozio dell’ottico con passo svelto.
Bachisio la seguiva pensoso, con le mani dietro la schiena. Pensava al suo bestiame, che per quella giornata aveva dovuto affidare a compare Ignazio. Avrebbe voluto restare in paese per accudirlo - chè, si sa, il bestiame senza guardato non vuole lasciato - tuttavia non se la sentiva di lasciare Gavina da sola, in città. Chissà cosa avrebbe combinato, e poi c'era quel sentore di gelosia, che da sempre lo rodeva, e voleva controllare che sua moglie non facesse incontri o mosse sospette.
Il commesso nel frattempo, dopo avere sistemato e controllato ogni cosa, aveva aperto il negozio al pubblico.
"Buongiorno signora, prego”, la accolse il commesso sorridendo.