Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 23:43 del giorno 16/03/2011
Il mio contributo letto alla libreria Koinè di Porto Torres, per l'Unità d'Italia, il giorno 16 marzo 2011.
È chiaro: non possiamo prescindere dalle migrazioni, dalle immigrazioni, dai continentali, dagli isolani, dai polentoni e dai terroni. Anzi soprattutto dai terroni e da chi li ha definiti tali. Purtroppo dopo 150 anni abbiamo ancora queste distinzioni, che qualcuno si ostina a voler quanto meno spogliare da ogni accento piacevole. Per non parlare poi dei negri, degli zingari, degli stranieri e degli extracomunitari.
C’è un libro provocatorio che s’intitola: «Terroni, tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero “meridionali”». Scritto dal giornalista Pino Aprile, questo libro inizia con tre citazioni, alle quali io ne aggiungere una quarta:
- «Non abbiamo il diritto di essere pigri.»
di GAETANO SALVEMINI
- «Là dove vuoi vivere senza subire né infliggere umiliazione.»
di EMMANUEL ROBLÈS, definizione di "Patria"
- «Un giorno, questa terra sarà bellissima.»
PAOLO BORSELLINO
Alle quali io aggiungerei anche:
- «Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti? »
GRAZIA DELEDDA
Un libro provocatorio che elenca i saccheggi e le angherie che il Nord ha perpetrato nei confronti del Sud, forte e graffiante, ha descritto un Nord avido, crudele, sanguinario, corrotto, spregiudicato e colonizzatore – proprio quel Nord che adesso invece vorrebbe disfarsi del Sud, dopo averlo considerato una terra di conquista -, un libro che si contrappone a un altro libro “La collana di Raminga”, in cui i personaggi sono animati da ben altri sentimenti e la cui autrice è tra il pubblico.
Nord e sud, un binomio da sempre solo apparentemente conflittuale. Certo è che i meridionali hanno contribuito in maniera speciale all’Unità d’Italia. Ma nonostante tutto l’Italia siamo noi, l’Italia c’è e noi qui adesso ne siamo la dimostrazione più tangibile. Nonostante qualche imbecille tenti di frantumarla. Nonostante qualcuno ogni tanto dica: “mi vergogno di essere italiano”. No, questa frase non l’accetto: è un insulto a chi prima di noi si è sacrificato. Casomai mi vergogno di certi italiani, ecco, allora il discorso sarebbe diverso. Per i militari la bandiera Italiana è da difendere anche con la vita e credo che molti di noi sarebbero pronti a farlo.
Vi siete mai chiesti cosa sia quello che molti chiamano “razzismo”? Non è altro che un patriottismo portato all’estremo, non è altro che la nostra – spesso disordinata e scoordinata – difesa della Patria, che vorremmo sempre unita e nostra solo nostra. Sì la vorremo, egoisticamente ma in buona fede, solo nostra. Anche i terroni la pensano così, tutti i terroni, tutti noi terroni.
Non dobbiamo mai smettere di gridare le nostre denunce perché l’Italia non è un concetto astratto, l’Italia siamo noi e solo noi possiamo celebrarla. Qualche frangia di ignoranti sta cercando di dividerci, avrà vita breve.
«Non sapevo di essere meridionale, nel senso che non avevo mai attribuito alcun valore, positivo o negativo, al fatto di essere nato più a Sud o più a Nord di un altro.» Scrive Pino Aprile nel suo libro e come possiamo dargli torto. Perché io in Sardegna ci abito solo da circa 20 anni e prima di approdarvi ho girato il Nord. Ma c’è sempre qualche terrone prima e dopo di me.
Ma qual è la famiglia in cui tutti vanno d'accordo?
Nel 1969 da Sanremo, dove sono nato, siamo approdati in un paesino dell’entroterra ligure, pieno di ippocastani, che io non avevo mai visto, non ne avevo nemmeno mai sentito parlare. A Sanremo non ce n’erano. C’erano e ci sono le palme e quelle siepi di pitosforo che, in grandissimi vasi, recintavano i dehors dei locali pubblici, sul lungomare, dall’odore acre e strano.
Non avevo nemmeno mai visto la neve e lì ne sarebbe scesa tanta, anche sui ricci e sulle foglie degli ippocastani.
Una volta provai ad assaggiare una castagna matta, il frutto dell’ippocastano: immangiabile. Mi vide un barista: “se avete fame venite pure qui che vi do qualcosa”. “… se avete fame…”.
Spesso pensavo che l'ippocastano fosse un albero completamente inutile, come la mia presenza lì.
Fortunatamente provenivamo da un altro paese ligure, altrimenti i miei genitori, una campana ed un emiliano, avrebbero fatto la fine degli altri immigrati assieme a noi nel 1969, l’anno della luna, a cercare fortuna: ghettizzati.
Ma a 5 anni il mondo ti sovrasta e non riesci a capire perché di colpo, dal sole e dall’odore del mare di Sanremo, ti puoi trovare al gelo dell’entroterra ligure; un gelo secco di montagna.
Il destino poi si è replicato e mi sono trovato dall’oggi al domani di nuovo tra le palme. Non avevo mai visto una pecora né un nuraghe, ma l’esempio di chi mi ha portato dalle palme agli ippocastani mi è stato di aiuto. Vitale direi, visto che ho imparato a convivere decorosamente con un nobile popolo, composto anche dalle persone che oggi hanno ritenuto opportuno non partecipare a questo appuntamento. Persone che, comunque ti si rivolgano, in italiano o nella loro antica lingua, ti comunicano immediatamente un fine razzismo, gentile e indolore. Fortunatamente oggi scalfito dal progresso e dalla convivenza. Un razzismo fondato sul temine “continentale”, difficile da spiegare ma facilissimo da comprendere, per chi continentale lo è. E per loro – liberissimi delle loro idee, che però non condivideremo mai - resti sempre continentale, ma in questi casi il termine terrone assume altre connotazioni, purtroppo. Alcuni reputano che la Sardegna non sia Italia, proprio quelli etichettano i continentali, gli stessi che una volta mi hanno detto: “Sei cresciuto a scatolette e a carne continentale, che non serve”.
E tutti dovrebbero girarla, per apprezzarla, la nostra bella Patria. Io pretendo che la nostra Italia si mantenga bella e costituzionale, bella e democratica. Tutti dobbiamo pretenderlo e chiunque osi anche pensare il contrario, peste – o anche peggio - lo colga.
Perché il sangue e le lacrime non devono essere inutili.
E gli ideali non devono sbiadire. Svegliamoci.