Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 00:16 del giorno 02/11/2006
Quando oramai tutto sembrava definitivamente spento ci venne in aiuto, insperabilmente, Loretta, una ragazzina imbarazzantemente brutta che abitava accanto alla villa.
Un pomeriggio, mentre stavamo comprando le figurine, all’interno del tabacchino Loretta ci disse che dalle sue finestre aveva osservato tutto e che la cosa la faceva molto ridere.
Ecco l’impicciona sentenziammo.,
- “e quindi”? le chiedemmo, “con questo cosa vorresti?
- “nulla”, rispose, “però non sapete la cosa più bella”.
Loretta è diventata la mia amica femmina più amica del mondo, ma questa è un’altra storia.
Incuriositi, ma senza farglielo capire apertamente, le consentimmo di spiegarsi, augurandole che si trattasse di qualcosa di estremamente interessante.
Loretta ci comunicò che dalle finestre di camera sua vedeva buona parte del parco della villa e che si era resa conto di un’ulteriore stravaganza di quel bambino.
Affermò di avere notato una cosa incredibile: alle 4 in punto di ogni pomeriggio Riky faceva merenda nel giardino con pane e nutella e accompagnava il tutto con una sana coca cola; terminata la merenda, dopo circa 5 minuti, Riky – sempre a dire dell’impicciona Loretta - andava a fare la pipì su uno di quei funghetti in cemento che adornavano il giardino.
“Fin qui tutto, o quasi, normale”, sottolineammo gia abbastanza spazientiti.
Loretta imperterrita continuò il suo rapporto specificando che, dopo circa un’oretta dalla pipì sul funghetto, meraviglia delle meraviglie…Riky ritornava su quel fungo e lo leccava. Di ciò se ne era accorta anche l’austera signora Pippy, che lo aveva più volte pesantemente redarguito, e anche picchiato. Ma alle sgridate Riky replicava che su quel fungo sentiva il gusto della coca cola.
Restammo perplessi, tra l’incredulo e l’entusiasta.
-“…mhhh, interessante” mi disse Vittorio telepaticamente, “ma non dobbiamo fidarci troppo”.
Loretta ci disse che purtroppo quel fungo si trovava in una zona che non poteva essere osservata direttamente dal cancello del giardino.
Le chiedemmo allora di invitarci a casa sua, ma lei rispose che non era possibile per due motivi ben precisi: primo, eravamo maschi, e sua mamma non voleva maschi per casa; secondo, i suoi genitori erano molto amici dei famigliari di Riky e un nostro eventuale intervento avrebbe potuto causare un grave incidente diplomatico.
A quel rifiuto anche noi convenimmo che non sarebbe stata una scelta opportuna, quella di andare a casa di Loretta. E se qualcuno ci avesse visto? Non avremmo sopportato il coretto cantilenante degli amici. “fiiidanzattti, fiiidanzattti con LoOoretta..ah ah a a”.
Come fare?
Perlustrammo la zona e scoprimmo un modo per accedere alla vista di quel fungo tanto prelibato: avremmo dovuto violare il giardino di una casa solitamente disabitata (quello della Signora saffa), ossia ne avremmo dovuto scavalcare il muro di cinta e, dopo averlo attraversato tutto, arrampicarci su un altro muretto che dava proprio su quella parte del parco di villa Pippy.
Eravamo di nuovo eccitati. Un altro bel po’ di lavoro per noi.
Dopo non poche fatiche, e rischiando di strapparci i pantaloni, arrivammo al nostro osservatorio.
Avevamo già informato Loretta che, se ciò che ci aveva raccontato si fosse rivelata una palla, l’avremmo conciata per le feste. Non sapevamo come, ma l’avremmo fatto.
Loretta era maledettamente sicura e non cedeva alle nostre provocazioni.
Ci appostammo verso le 15,30 di un pomeriggio autunnale ancora tiepido, trattenendo il fiato. Il nostro organismo era in preda ad una incredibile tempesta fisiologica. Ogni cellula era allagata di adrenalina, le mani sudavano dall’emozione. Le foglie ingiallite cadute per terra davano alla scena un tocco surreale.
Alle 4 in punto Riky uscì dal maniero impugnando una specie di cestino, si sedette ad un tavolino e aprì il quel fardello, dal quale estrasse la sua luculliana merenda. Iniziò a mangiare, quasi grugnendo per la soddisfazione, un enorme panino grondante di nutella. Dopo averlo terminato, bevve ingordamente un bicchierone gigantesco di coca cola. Aveva dei baffi indecenti di nutella, su quella faccia quadrata, da maialino quadrato.
“Che insulso”, considerammo, “con tutta quella coca cola non ha fatto nemmeno un ruttino. Come minimo noi ci avremmo cantato la marcia di Radetzky”.
Vabbè, ma lui era educato e viveva da ricco. Nell’estate appena trascorsa lo avevamo visto indossare dei pantaloncini corti, al ginocchio, semplicemente ridicoli. Pare fossero “alla zuava”. Una cosa urticante.
Terminato il pasto, con calma e con aria molto seria e compunta, si alzò e si recò vicino al funghetto in cemento, che irrigò con una modesta pisciatina a zampillino, distribuita su tutta la superficie, col suo pisellino, quadrato, come lui, dopodiché scomparve dalla nostra visuale.
La sua faccia, durante quelle operazioni, era serissima e conferiva molta importanza all’evento.
Due delle informazioni di Loretta erano quindi veritiere, mancava ora da verificare quella più succulenta, la terza, quella della leccata.
Rimanemmo col fiato sospeso per tutto il periodo dell’osservazione.
Il tempo non passava mai, e più di una volta dubitammo di Loretta, nei cui confronti avevamo già iniziato ad ideare terribili supplizi per quella presa in giro, compresi macabri scherzi telefonici notturni, lettere anonime e disegni vari sulla facciata della sua casa. Però avevamo deciso che saremmo rimasti li fino a che c’era luce.
Ed ecco, dopo un’oretta circa, finalmente riapparve lui, Riky. Si avvicinò circospetto al fungo nei cui confronti aveva indirizzato le sue attenzioni urinarie e, arrivatogli vicino, si abbassò…e – EFFETTIVAMENTE - lo leccò!!
Davvero.
Giuro.
Leccava quel fungo.
Con slappate brevi e parallele, che interessavano quasi tutta la superficie precedentemente irrorata. Tipo gattino.
Ricominciammo quindi a vivere.
Si, ridemmo un po’, ma era comunque una cosa incompleta, perché Riky pur presentandoci un elemento molto particolare, ignorava la nostra presenza, quindi dovevamo obbligatoriamente verificare la sua reazione qualora si fosse accorto di noi.
Decidemmo di tornare il giorno successivo, ed il rito della leccata si ripetè, immutato e solenne.
Ma quando ebbe dato la prima leccatina, senza nemmeno fargli assaporare quel nettare, gli gridammo, dal nostro nascondiglio:
-“E’ buona?”
Riky, che in un primo momento non aveva capito da che parte arrivavano le voci, si gonfiò dal nervoso. Si alzò di scatto e non appena ci scorse diventò ancora più quadrato e, paonazzo per la rabbia, prese una pietra e ce la lanciò, ma la sua goffaggine la fece cadere dopo pochi centimetri.
Vistosi scoperto non resistette:
-“Puttaniiiiii, andate viaaaaaa, schifosiiiii. Nonna, ci sono di nuovo loro, quelli che ci spiano, hai visto che sono tornati? Sono entrati dalla Signora Saffa e ci spiano”!!
La nonna apparve quasi come per magia, dal nulla.
-“Riky, allora smettila di urlare, e smettila di dare attenzione a quelli. Te l’ho detto che tanto se ne vanno da soli, e poi adesso telefono alla Signora Saffa e vediamo cosa succede”.
Poi, evidentemente illuminata da una certezza gli chiese:
-“Riky senti cosa ci facevi li?”
-“Leccava il fungo dove prima ci ha pisciato, perchè dice che sa di coca cola”, rispondemmo noi.
La signora Pippy, finalmente, per la prima volta, ci rivolse la parola, con la sua voce da uomo:
-“Ma perché non ve ne andate a cagare? La smettete di rompere i coglioni? Adesso per prima cosa telefono alla Signora Saffa e le dico che siete entrati a casa sua senza il permesso, poi lo dico ai vostri genitori, e vediamo cosa succede, delinquenti”!
Poi trascinò a forza quell’angioletto del nipote in casa dicendogli:
-“Riky questa è l’ultima volta che fai merenda fuori. Amore, quelle cose non si fanno, non è igienico, poi vedi cosa succede? La gente ti vede e fai brutta figura. Ma non ti viene schifo a leccare la sopra?”
Riky, mentre la nonna lo portava dentro, era disperato.
-“Puttani, puttanissimi, non tornate più, ladri, spioni.” Ci gridava, quasi in lacrime, o forse era in lacrime.
La nonna, inflessibile, gli dava degli spintoni dei colpetti su quel testone quadrato. Avevamo capito che la nonnina non sopportava le parolacce (quelle dette dagli altri), tantomeno l’epiteto “puttani”.
Scendemmo dal muretto e ci accasciammo per terra. Ci abbandonammo al riso. La scena era stata troppo esilarante.
Adesso eravamo stati promossi al grado di “puttanissimi ladri”.
Eravamo, si, un pochino preoccupati dalle minacce della Pippy e dalla eventuale reazione dei nostri genitori, ma tutto passava in secondo piano. Non riuscivamo a trattenerci dal ridere a squarcio.
Per oltre una settimana rievocammo la scena, scambiandoci i ruoli. Che sollazzo orgasmico.
Avevamo ideato anche una versione ruttata: a volte ruttava la nonna, a volte Riky, a volte noi osservatori, perchè le combinazioni erano innumerevoli.
Ridevamo tanto che ci si rivoltava lo stomaco, sicuramente siamo anche andati in coma ilare.
Era una delizia e una tortura quel periodo. Io e Vittorio eravamo in classe assieme, e non appena, casualmente, in classe veniva pronunciata la parola “nonna” non potevamo resistere: la seconda parte era scontata: “ci sono i puttaniiii”.
Ancora oggi, a distanza di secoli, con Vittorio e Loretta, a volte, parlando, se scappa la parola “nonna”, oppure se i nostri figli chiamano: “nonna…”, noi completiamo la formula, anche a voce alta, o a voce piangente: “ci sono i puttaniiiiiiii”.
Una sera ero un po’ giù di corda, allora ho mandato un sms a Vittorio e uno a Loretta, con scritto: “nonna…”. Dopo pochi istanti Vittorio ha risposto: “ci sono i puttaniiiiiiii. Amore, tesorino, lasciali stare quegli zingari, mandali affanculo”. Poi Loretta: “ci sono i puttaniiii, andate via, puttanissimiiiiiii”. Cosicché mi sono tirato su un po’ il morale.
Tornando a noi, anche Loretta aveva visto la scena dalla sua finestra, ma non aveva potuto esultare troppo per paura che i suoi genitori capissero.
Quando la incontrammo dopo qualche giorno, a titolo di ringraziamento e per sdebitarci, le permettemmo addirittura di partecipare alla rievocazione della scena, un pomeriggio nel piazzale del parco giochi, concedendole di impersonare la nonna. Le interdimmo però la versione ruttata. I rutti erano una cosa solo per maschi. (Loretta, durante una festa di Capodanno, ci fece capire che quella teoria era sbagliata, ma questa è un’altra storia).
Una sera, assieme a mia moglie, sono andato a trovare la mamma di Loretta. C’era anche Loretta, con suo marito. Dopo un po’ di rievocazione dei vecchi tempi, presi il coraggio a due mani e le spifferai tutto, le dissi del ruolo che aveva avuto sua figlia. La mamma di Loretta rise talmente tanto che le si appannarono gli occhiali e le venne un attacco di tosse che tememmo per lei. Terminata la crisi tosso-esilarica, ammise che Riky era un bambino molto particolare, e che la vita con la mamma e la nonna di certo non gli giovava. Ma anche questa è un’altra storia.
Ma torniamo di nuovo alla nostra storia. Terminate le numerose repliche e le altrettanto varie rivisitazioni della commedia, pensavamo di doverci arrendere. Stavolta per sempre. Sicuramente non avremmo potuto più godere di Riky e delle sue stravaganze. Oramai non faceva più merenda fuori, la nonna aveva rimosso il fungo e due cani nervosissimi erano apparsi nel giardino della Signora Saffa.
Fine delle trasmissioni, pensammo.
Il detto non c’è due senza tre, almeno quella volta, però si dimostro vero.
E ci aspettava l’epilogo della trilogia, un finale inatteso.