Continua il mio viaggio attraverso i posti belli dell'editoria e, perché no, della letteratura.
Oggi vorrei raccontarvi di una piccola casa editrice. Piccola, ma che "sforna" capolavori in edizioni curate e prestigiose.
Si chiama Rrose Sélavy e l'editore, che si chiama Massimo De Nardo, ha accettato di farsi intervistare da me.
Eccolo.
Ciao Massimo, grazie per la disponibilità.
La tua casa editrice si chiama Rrose Sélavy, ossia con il nome usato da Marcel Duchamp, universalmente riconosciuto come il padre del dadaismo, per firmare alcune sue opere. Come mai questa scelta? Ossia, cosa avete a che fare con il dadaismo?
Per noi (e certo non solo per noi) Marcel Duchamp ancora rappresenta la modernità, sebbene le sue “opere” più importanti le abbia realizzate cento anni fa. Più che con il dadaismo ci piace avere a che fare con la sensibilità, l’ironia, l’intelligenza e la provocazione di Duchamp, che per certi versi oltrepassa, com’era nel suo carattere di artista, anche lo stesso dadaismo.
Come ti è venuto in mente di aprire una casa editrice?
È stata una piacevole conseguenza. Piacevole nel senso dell’entusiasmo necessario. Perché pensare di aprire una casa editrice è una idea che fa comunque venire la pelle d’oca, con i tempi che corrono (anzi, che non corrono). Prima realizzavamo una rivista trimestrale sulla creatività, che si chiamava – guarda caso – Rrose, a tiratura nazionale. Poi, paradossalmente (o duchampianamente?) quello che doveva essere un inserto (due miei racconti brevi, con le immagini di Tullio Pericoli), per appoggiare il trimestrale Rrose, ha dato il via ad altri progetti, che sono presto diventati autonomi, e “dominanti”, gli attuali “Quaderni quadroni” (è il nome della collana di libri illustrati).
Come siete strutturati?
Due in redazione, più un grafico editoriale (Paolo, al quale si deve tutta la linea grafica di Rrose Sélavy) e qualche collaborazione esterna.
A chi vi rivolgete, principalmente?
Dire a buoni e curiosi e sensibili lettori parrebbe una banalità. Ma è, invece, una rarità. I nostri lettori vanno dai cinque anni in su. Noi siamo tuttavia consapevoli che le scelte le fanno gli adulti, almeno per i nostri libri.
Nella vostra produzione ci sono anche volumi di forma “quasi” quadrata, come mai questa scelta?
Era semplicemente il formato della rivista trimestrale. Per la precisione: cm 23x27. E da questo formato è stato più che ovvio considerarli dei “quaderni”.
Quali generi trattate?
Non ci sono barriere, purché siano storie interessanti (mica facile). Ma dovendo darci una etichetta, siamo più vicini al racconto fantastico, un po’ surreale. Non propriamente favolistico, comunque.
Le vostre produzioni sono anche caratterizzate dalle illustrazioni. Con quali criteri di base le scegliete?
Prima cerchiamo una sorta di somiglianza tra il testo e le possibili illustrazioni, Di un autore sottolineiamo lo stile grafico, il modo di inquadrare personaggi e luoghi, l’uso del nero e del colore. Poi, una volta scelto, chiediamo all’illustratore (illustratrice) di essere poco didascalico. Anche le immagini avranno così una loro “struttura narrativa”.
Come dev’essere per voi il manoscritto – e quindi il vostro libro – ideale?
Inevitabile partire dai propri gusti, che poi dovranno essere condivisi con i futuri lettori. Ecco, nei limiti del possibile, cerchiamo di essere prima lettori e poi editori. Più semplicemente, ci chiediamo: noi la compreremmo in libreria una storia così?
Ci sono editori storici, o autori, che tenete come riferimento?
Osserviamo tutti, con curiosità, cercando anche suggerimenti indiretti.
Un editore: cos’è? Chi è? Che ruolo dovrebbe avere nel panorama culturale?
Un mestiere complesso, che non ti insegna nessuno (anche se sei – e non è il nostro caso – figlio di un editore, la storia dei padri è sempre diversa dalla tua). Un mestiere che impari soprattutto, e purtroppo, dai tuoi stessi errori. Un mestiere culturale? Solo perché realizziamo libri? Il discorso si fa difficile, coinvolge le relazioni tra le persone. Un buon libro serve a te stesso se questo te stesso si mette in relazione con un altro, al quale magari raccontare la storia che hai letto. Chissà.
Come vi ponete di fronte alla critica letteraria e ai critici? Voglio dire, di che tenore sono state le reazioni e le recensioni che hanno ricevuto le opere da voi pubblicate?
Per una piccola casa editrice è difficilissimo avere delle recensioni. Ogni tanto però ci facciamo notare, per la qualità degli autori, per la nostra linea editoriale (scrittori più o meno noti che non hanno mai o quasi mai scritto per ragazzi). Gli apprezzamenti ci sono, e quando ci sono fanno piacere.
E quanto le tenete in considerazione, stroncature – se ce ne sono state – comprese?
Una sola stroncatura, tempo fa, rivolta a un nostro autore, su un settimanale con pochi lettori (ci spiace per quel settimanale), ma era secondo noi più un vezzo del recensore, una maniera di farsi notare, del tipo “ti stronco, quindi sono”.
Qual è, secondo voi, il canale, la strategia migliore, per la promozione di un’opera e, di conseguenza, per incrementare la lettura?
Entrare nelle scuole. Far “adottare” un libro, discuterne in classe, e invitare poi il suo autore.
Cosa pensate dell’orda (passami il termine, che comprende anche me) di persone che scrivono, ovvero traducendo in percentuale la qualità dei manoscritti che ricevete, quanti hanno dignità?
Benvenuta la cosiddetta “orda scrivente”. Anche se sono davvero pochi gli autori da prendere in conservazione (una piccola casa editrice è costretta a delle rinunce, per ovvii motivi economici).
Come reagiscono gli autori ai vostri dinieghi?
Con un pizzico di umano dispiacere. C’è chi liquida la tua scheda di rifiuto (ci vuole tempo per dire di no, motivandolo) non rispondendo, neanche con un telegrafico “grazie lo stesso”.
Digitale o cartaceo?
Per adesso, solo cartaceo. I nostri libri hanno illustrazioni abbastanza grandi, la carta è di qualità (qualcuno la annusa, la carta, e è un gesto bellissimo). Le pagine dei “Quaderni quadroni” sono da sfogliare più che da far scorrere su un display.
Un’ultima domanda e concludo: dal tuo osservatorio riesci dirci se questi lettori ci sono o non ci sono? O tutti scrivono e pochissimi leggono? In definitiva, riusciresti a tracciare una mappa, a delineare i contorni della lettura, qui in Italia?
C’è un paradosso che disorienta: chi scrive deve necessariamente essere anche un lettore, inevitabile, ma ci sono più scrittori che lettori (e dobbiamo considerare che nel totale ci sono quelli che leggono e basta).
Chi può permetterselo (le grandi aziende che producono libri sono anche proprietarie di giornali e di televisioni) orienta il lettore, che è, spiace dirlo, pigro e quindi si lascia condizionare più che guidare.
No, una mappa non sono in grado di delinearla. E visto che hai parlato di mappa, meglio essere una piccola penisola che una grande isola. Con la prima ci si sente meno soli.