Lorenza Bonetti abita a Bolzano ed è (anche) traduttrice, ve la presento, eccola.
Ciao Lorenza, grazie per la disponibilità. Partiamo subito con la domanda di rito: puoi dirci la maggior parte di cose su di te, nel minor numero di battute possibile, gossip compresi?
Grazie a te per l’accoglienza. Età percepita diciotto/venti, età reale… vabbe', lasciamo perdere! Vivo a Bolzano, sono felicemente convivente da oltre dieci anni e da un anno e mezzo è arrivato Ulisse, il mio adorabile bulldog francese. Non potrei concepire la mia vita senza i libri. Amo i viaggi, rigorosamente fai-da-te, le escursioni tra le mie meravigliose montagne e la pace della mia casa.
Partiamo con il tuo rapporto con le parole. Sei una traduttrice, fai un lavoro affascinante. Cosa traduci prevalentemente e in quali lingue?
Sì, è davvero un lavoro affascinante e creativo, anche se non si direbbe. S’imparano tantissime cose. Prediligo tradurre testi creativi, dagli slogan pubblicitari alle brochure d’immagine, ma non disdegno neppure quelli particolarmente tecnici o i saggi di natura storico-artistica. Traduco esclusivamente in italiano. Sono convinta che solo una conoscenza approfondita e, oserei dire, viscerale di una lingua ti garantisce una buona qualità della traduzione. Bisogna sentirsi dentro il significato ultimo di ogni singolo termine, non basta solo sceglierlo tra le varie accezioni del vocabolario. E dal risultato finale non deve trasparire che è una traduzione.
Cosa ci dici del rapporto tra “lingua italiana” e “lingua tedesca” nella tua Bolzano?
Vivere in una regione dove si parlano tre lingue – non dimentichiamoci del ladino – è certamente una ricchezza, non solo dal punto di vista linguistico. A mio avviso, la convivenza e l’intreccio di culture diverse danno sempre origine a qualcosa di prezioso e creativo e l’Alto Adige ne è la dimostrazione. A differenza del passato, le nuove generazioni si “amalgamano” sempre di più, il bilinguismo viene percepito meno come un’imposizione, quanto piuttosto come una marcia in più. È bello sentire persone che parlano indifferentemente italiano e tedesco (e ladino), magari inserendo le espressioni “che rendono di più” nell’una o nell’altra lingua. Purtroppo i conflitti non mancano, spesso originati da qualche politico che vuol mettere zizzania. Ma per fortuna, prevale sempre il buon senso della gente comune.
Veniamo alla tua attività di scrittrice. Hai pubblicato da poco Vento da est, per i tipi de Il Ciliegio. Cosa ci dici sulla genesi di quest’opera?
Tutto è partito un po’ per caso. Avevo iniziato a scrivere tutt’altro, ma poi mi ha preso una sorta di urgenza di raccontare questa storia, che conoscevo da parecchio tempo, ma che era rimasta lì, sonnecchiante. Un giorno stavo passeggiando nel bosco e, come se avessi acceso uno schermo mentale, ho visualizzato una scena e da lì sono partita…
E sull’effetto che ha – e che ha fatto – su dite?
Questo libro mi ha consentito di approfondire la conoscenza di una cultura di cui sapevo poco. Ho scoperto un Paese che, nonostante sia vessato da grandi problemi, cela un’incredibile bellezza. Ho conosciuto un popolo apparentemente chiuso e indurito dalla sua storia, ma che in realtà è accogliente, cordiale, vivace. Talvolta penso che Vento da Est viva una vita propria: da un racconto che avevo scritto per poche persone più come un’espressione intima, ha imboccato un cammino che lo portato in svariati luoghi, passando di mano in mano, fino a raggiungere Il Ciliegio.
Si vocifera che Vento da est sia un’opera tratta da una storia vera. Ciò corrisponde a verità? E se sì, come hanno commentato i diretti interessati?
Sì, è vero. Naturalmente, ci ho messo anche del mio, romanzando un po’ alcuni eventi e personaggi, ma i fatti narrati sono davvero accaduti. Per i protagonisti è stata una sorpresa, anche perché ho lavorato in segreto, fino a quando ho potuto. Poi, però, mi servivano informazioni e dettagli e quindi sono dovuta uscire allo scoperto. Quando hanno letto il manoscritto si sono emozionati. Il complimento più bello l’ho ricevuto da Artan, il co-protagonista. Queste sono state le sue parole: «Non pensavo che la nostra storia potesse racchiudere così tanta poesia».
Hai intenzione di portare quest’opera in giro per qualche scuola?
Sì, e ne ho già avuto l’opportunità. È stata una bella esperienza. I ragazzi pongono domande interessanti, imprevedibili e talvolta anche impertinenti. È stato istruttivo interagire con loro. Spero ci siano altre occasioni.
Vento da est, che io ho letto, è una potente opera sul fenomeno (che brutto termine!) delle migrazioni. Nel tuo libro siamo agli albori. Ti sei mai interrogata sulla differenza di “quelle” migrazioni con “quelle” odierne?
Credo che la differenza più eclatante siano i numeri e la diversa portata di questo fenomeno (hai ragione, brutta parola!) ormai inarrestabile. Da quella prima ondata a inizio anni ’90, che ha visto arrivare sulle nostre coste circa ventimila persone, tutto è via via peggiorato. Prima fra tutte, la gestione dei flussi migratori, caduti ben presto (anche all’epoca) in mano a criminali senza scrupoli, e non ultima la situazione economica dei Paesi ospitanti e la disponibilità/gli spazi per l’accoglienza. Oggi tutto questo è terreno fertile per strumentalizzazioni e speculazioni anche a livello politico. Ma non si tiene conto che si sta parlando di persone con una vita, una famiglia, una storia.
E i protagonisti si sono mai interrogati in tal senso?
Sì, inevitabile per chi ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza di abbandonare la propria vita, casa, famiglia, senza sapere come sarà il domani, e di attraversare il Mediterraneo su barche e natanti di fortuna, rischiando di morire. Così com’è in egual modo inevitabile per loro fare un confronto su quella che è stata la loro esperienza e ciò che si percepisce ora. È come se tutto avesse perso d’umanità, un braccio di ferro tra diritti e doveri, dove non ci capisce dove finiscono gli uni e dove iniziano gli altri. Ci vorrebbe più rispetto, dicono, sia da parte di chi accoglie, sia di chi è accolto.
Ora una domanda impertinente: perché hai deciso di scrivere questa storia?
È una storia che mi ha colpito per la positività, per lo slancio vitale che porta con sé, per la morbidezza che supera l’idea di diversità, che io preferisco chiamare alterità, in cui vengono prima le persone, quello che sono dentro, piuttosto che ciò che rappresentano in termini di nazionalità, cultura, razza. E poi perché volevo fare un regalo alla persona che me l’aveva raccontata…
Hai dei temi o degli autori che ti piace leggere? Che tipo di lettrice sei?
Per me sono quattro i verbi vitali: mangiare, dormire, respirare e leggere. Non vado da nessuna parte senza il mio Kindle (sì, ahimè, ho già subito una trasmutazione digitale). Leggo un po’ di tutto. Non posso dire di avere un autore preferito, piuttosto scelgo in base alle tematiche. È sempre stato così. Vado a fasi. Ho il periodo dei grandi classici, dei romanzi storici, quello dei saggi, dei thriller psicologici, delle biografie, e perché no, anche di qualche lettura romantica, magari sotto l’ombrellone. Non amo invece i libri di politica.
Leggi mai in lingue straniere?
Sì, molto spesso, soprattutto in inglese, una lingua che adoro. Ultimamente sono nella fase thriller psicologici, rigorosamente in inglese ;o)
Hai dei sogni o dei manoscritti nel cassetto, ossia; cosa vorresti fare da “grande”?
Bella questa domanda! Quanto spazio ho? Scherzi a parte, mi piacerebbe molto riuscire a conciliare meglio il mio lavoro, già molto impegnativo, con la scrittura che per il momento è relegata ai fine settimana e ai giorni di ferie, anche per motivi di freschezza mentale. Sto ultimando un nuovo manoscritto, mancano pochi capitoli e mi piacerebbe riuscire a pubblicare anche quello. Quindi sono a metà di un fantasy e di un libercolo un po’ bizzarro. Mi servirebbero giornate di trentasei ore per andare avanti più spedita, ma piano piano ce la farò. Il sogno più grande? Che una delle mie storie diventasse un film!
E noi non possiamo fare altro che augurare tutto il bene a quest'opera e che i sogni dell'autrice si realizzino.
Brava Lorenza!