La pelle, come la psiche, sono le prime barriere che opponiamo al mondo in cui – nostro malgrado? – viviamo ed entrambe mantengono traccia, sotto forma di cicatrici, degli urti e degli attacchi che subiscono. Andrea sembra essere predisposto a livello di DNA a subire e a provocare le cicatrici, non per nulla è un “inventore”, un ideatore di start-up, ossia alla perenne ricerca di un’idea che possa migliorare la vita. Il suo percorso però è contraddistinto da ansie, rimorsi e scelte al limite del suicidio che coinvolgono, a mo’ di nemesi, ragazze innocenti.
Andrea è perseguitato dal senso del fallimento e dai rimorsi per avere perso Cheyenne, una donna che ha avuto la sventura di condividere con lui un pezzo della sua vita e, di conseguenza, di provocarsi ferite di pelle e di psiche a vicenda. Il viaggio, tutto interiore, di Andrea arriva fino a sfiorare la pedofilia e a immergersi nell’eroina, quasi a voler trovare una ferita che potesse anestetizzare quelle che già portava su di sé.
La narrazione si svolge per la maggior parte a livello interiore e, oltre a rivelare un’estremizzazione dello spleen che talvolta affligge le psiche più sensibili, tocca punte altissime di drammaticità: una drammaticità - tutta maschile, aggiungerei io - che l’autore a un certo punto non riesce più a metabolizzare ma che tocca, spesso con violenza il lettore, costringendolo a un viaggio che, a ben pensarci, mutatis mutandis, molti hanno già intrapreso e, magari, superato.
Un ottimo libro.