Un insieme di frammenti e di fotogrammi in cui il lettore finisce per riconoscersi come indegno appartenente, suo malgrado, al mondo; a ogni istante fissato dall’autore, corrisponde una chiave interpretativa diversa, ma sempre collegata con la precedente.
Oramai, anche se sembra una banalità, la domanda che sempre più ci toglie il sonno è: “Perché”? Una catena di “Perché” sfaccettati e malati, difficili da riportare in una dimensione univoca; una catena di “Perché” sempre più inquinati da una sorta di antropologia della ridondanza, dai quali l’autore ne ricava una metafora di pregio:
“Avendo udito da certi scienziati che il mondo manca di profondità, venditori e fabbricanti di oggetti si proposero allora di ricoprirlo. Detto fatto, la superficie fu pavimentata, riempita di cose e disseminata di altoparlanti. “Città dell’allegria”, venne chiamata. Liete del baccano, che impediva di sentire alcunché, masse ebeti di umani presero ad accalcarsi. Alcuni per comprare, altri per guardare, altri solo per applaudire. Il peggio venne quando, abbagliati da un sorriso di bocca, i più scelsero come sindaco il padrone degli altoparlanti. Venuto da un oltremare antico, lo sguardo fisso, tutto questo vide, il viaggiatore; e volle informare il mondo che il dritto ha sempre il suo rovescio; e il mare, sempre un’altra sponda”.
È chiaro che, trattandosi in quest’opera di una “introduzione”, il messaggio dell’autore è limitato a una serie di formule che rasentano la genialità e che hanno una costante: mettere sul chi va là il lettore che, al contempo, è diventato protagonista.
Formule di matrice empirica e senza velleità filosofiche che si basano sulla tendenza – genetica? – dell’umanità a estinguersi nei modi più fantasiosi o, meglio, sul timore che l’umanità sia priva dei naturali strumenti di autotutela; formule espresse con pennellate incementi in funzione di un’umanità attratta dalla mania del controllo, esercitato con ogni mezzo.
Il registro narrativo ricalca un noir surreale e solo all’apparenza distopico, ogni formula è un’immagine che si abbatte alla cieca sul lettore, a mo' di catalizzatore dal metafisico al quotidiano, tramite potenti quanto inclementi allegorie.
Le introduzioni riguardano molti aspetti della nostra vita, anche quelli più scabrosi, spesso con toni decisamente sopra le righe, dettati da una sorta di irrimediabile delusione morale.
Ciò che rende speciale l’opera sono le metafore sparate a zero come da un cecchino sicuro di raggiungere sempre un obiettivo, soprattutto in un mondo, il nostro, affetto da una sorta di prassi acritica e per lo più schiavo di un (troppo) comodo pensiero mediatico, quindi in mano a un’oligarchia.