Premetto ciò perché Mara Sordini e Maena Delrio hanno da poco pubblicato una raccolta di racconti intitolata Oltre il confine [Pentàgora, 2018, 110 pagine] e non vorrei dare adito a sospetti di una recensione compiacente. Oltretutto, Mara e io abbiamo anche idee politiche talvolta divergenti, però quando decido di scrivere di un libro cerco sempre di non farmi fuorviare dai preconcetti e di mantenermi il più possibile onesto intellettualmente.
Veniamo al libro.
Tutti noi dovremmo soffermarci a riflettere sul concetto di confine e sulle sue implicazioni.
La fascetta recita: “Cos’è il confine? È una convenzione, una linea immaginaria. È una sovrastruttura che delimita e rassicura al tempo stesso, che contribuisce a costruire la nostra identità e contemporaneamente ci costringe ad assumere la diversità dell’altro, di colui che sta oltre questa linea. Ci sono confini reali, quelli degli stati, e confini astratti, disegnati dalla paura o dal pregiudizio. Queste storie sono brevi sguardi al di là di tanti confini.”
I confini servono a separare il mio dal tuo, il bene dal male, la proprietà dall’invasore; il confine ha una valenza reale, materiale, ma tra un confine e l’altro ci sono sempre vite umane, tutte in balia del più forte che non si preoccupa, mai, di tracciare confini per la salvaguardia dei diritti umani fondamentali. Anche il cielo – sconfinato e incombente – sopra ogni confine può essere colonizzato in funzione degli interessi di pochi, come quello di Gaza (pagina 26); anche chi ha sempre pensato al vento come rappresentazione della libertà quasi per antonomasia ha dovuto rivedere le proprie convinzioni, come gli indiani d’America, per esempio, confinati in una riserva: «e dimmi bambina mia tu credi che si possa confinare, il vento?» (pagina 36).
Questi diciotto racconti brevi, magistralmente illustrati da Manuela Sabatini (che non conosco), declinano, con inclemente lucidità, gli effetti orrorifici dei confini sulle (grandi) migrazioni.
E, ricordiamoci, sono confini anche le scie di sangue che tingono i mari, così come esistono anche i non confini, lo zero, il nulla, dei bambini nati (anche morti) negli ospedali da campo, sotto i colpi mortali di altri uomini intenti a vigilare su chissà quali interessi (Respiri di vita, pag. 57).
Istantanee dal centro del mondo è il sottotitolo di quest'opera scritta da quattro mani che, amalgamandosi in uno stile pulito e lineare – ma non per questo inefficace – , hanno tracciato storie di denuncia su quanto sia effimero il confine tra vita e morte.
Confine, confini, confini, confinare, confine, sconfinare, confinare, rifiutare l’esodo, sconfinare, rifiutare, rifiuto: ossessione, allucinazione, nevrosi di questo millennio. Difendersi da chi viene da fuori, mandare via chi non fa per noi, difendere la religione, la politica, il nostro orticello inquinato è il nuovo trend che ha sostituito l'illuminismo, la rivoluzione industriale e il "boom economico", a mo' di novella inquisizione di massa.
Ma il bilancio? Chi ha il coraggio di affrontarlo senza mettere di mezzo qualche capro espiatorio? Chi si assume la responsabilità di ammettere lo scarso valore delle vite umane? Chi può arrogarsi il potere di tracciare confini, anche culturali, da difendere?
Questi racconti toccano le zone più hot del nostro pianeta, in una sorta di viaggio senza confini, né fisici, né politici, né di orrore.
Alla fine della lettura si rimane ammutoliti e una volta chiuso il libro resta solo una domanda: come faremo a uscire da questo corto circuito internazionale?
Li rimandiamo a casa loro?