Se ne avete voglia, leggetevi queste due righe scritte di getto, dopo lo spettacolo al Teatro Ferroviario di Sassari. Uno spettacolo non solo divertente (ho riso senza ritegno e in maniera scomposta dall'inizio alla fine, più di una volta ho rischiato di cadere dalla poltrona) ma soprattutto MOLTO intelligente e che ci ha lasciati tutti più ricchi. Imperdibile.
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Un inedito Dr. Jekyll & mr. Hyde al Ferroviario di Sassari, interpretato magistralmente da Fabrizio Paladin e Loris Sovernigo. Una rivisitazione metateatrale del romanzo fantastico e grottesco di Stevenson, con incursioni nell’odierno e una impietosa condanna delle dipendenze. La dualità del personaggio si esplica con continui riferimenti all’impossibilità di gestire pienamente e come si vorrebbe la propria vita, alle continue distrazioni di cui siamo vittime e all’osservazione delle piccolezze che costellano la nostra esistenza: tutte dipendenze, appunto. Molte di esse anche gravi.
La pièce, così rivisitata, sebbene non faccia riferimento in alcun modo, né direttamente, né indirettamente a tale tecnologia, sembrerebbe avere come chiave di lettura il parallelismo con i social e, più in generale, con l’avvento di internet, ossia con realtà nelle quali spesso ci si sdoppia in più specularità, talvolta distorte e dagli effetti negativi. Quando la connessione alla rete e le relative interazioni diminuiscono, Mr. Hyde trova una recrudescenza talmente grave che neppure la pozione portata in soccorso dal Dr. Lanyon – a mo’, passatemi il termine, di giga aggiuntivi – riesce a sanare. Lo scontro tra il signore e la bambina, abbandonata poi senza soccorso, mi è apparso come chiaro riferimento allo schiacciante potere della rete.
Il risultato è esilarante, il protagonista principale – Fabrizio Paladin, attore di indiscusso talento – in una sorta di continuo e inesauribile trasformismo di altissimo livello riesce a interpretare non solo tutti i personaggi del romanzo, ciascuno caratterizzato da ben precise peculiarità, ma a trasmettere al pubblico ambienti e stati d’animo sempre diversi, perché noi non siamo mai uguali a noi stessi, ma variamo a seconda degli stimoli che la vita ci riserva.
Loris Sovernigo che cura “il tappeto musicale”, per usare un termine dello spettacolo, è l’occhio severo del perbenismo e del bigottismo che ci sovrasta, a partire dal concetto che abbiamo di droga: quando questo argomento viene affrontato, l’occhio del perbenismo – di cui l'umanità sembra non poter fare a meno e incapace di trovare altre *guide* – insorge e sgrida l’attore, ordinandogli di cambiare argomento, anzi di tornare alla narrazione principale di cui, sempre l’occhio, si vorrebbe fare artefice. Un occhio pudìco e servile, un vigile impassibile e inflessibile, anche se talvolta dorme o finge di non vedere, solo finché l'attore resta entro i binari del conformismo, e che riesce nel suo intento solo in parte, ossia finché non viene cacciato dal palcoscenico, in quanto ritenuto elemento scatenante.
L’elemento metateatrale fa sì che oltre a Jekyll e Hyde, su quel palco ci siano anche gli spettatori e l’entità che li tiene uniti ai protagonisti del romanzo, in una sorta di caleidoscopio in continuo movimento, ipnotico che coinvolge l'umanità.
Due ore di spettacolo performativo di altissimo livello, fatto di battute intelligenti ed escamotage recitativi geniali - Asia, la tecnica delle luci, ne sa qualcosa - che ci fanno riflettere su come siamo effettivamente e quale effetto abbiano su di noi le realtà in cui siamo calati: quella “normale” e quella virtuale.
Uno degli spettacoli più belli e, ripeto, GENIALI, che io abbia visto.