L'opera inizia con una Introduzione in cui campeggia uno stupendo “sincretismo spirituale”; ora, anche a voler sorvolare sul fatto che quel “spirituale” è pleonastico, ci si chiede a cosa serva la lezioncina di storia in essa contenuta, visto che l’argomento che tratta viene ampiamente e ripetutamente ripreso nel libro. Ma va ben, non importa.
La trama. Un’oscura organizzazione ha iniziato a drogare alcuni barboni, a marchiarli a fuoco e a lanciarli nel Tevere – dove vengono ritrovati affogati – dai vari ponti di Roma (l’idea della marchiatura era già venuta a Dan Brown, ma fa nulla). Da un insieme di elementi, si scopre che ciò costituisce un rituale pagano ben preciso e che presto ogni ponte di Roma sarebbe stato interessato dal fenomeno. Gli inquirenti – solo due, un maresciallo e un appuntato dei Carabinieri, che sembrano Stanlio e Ollio alle prese col pianoforte da portare in cima alla scalinata –, anziché fare la cosa più ovvia, ossia mettere sotto controllo tutti i ponti di Roma, si lanciano in attività a dir poco ridicole. Non possono vigilare tutti i ponti – che sono ventisette – perché, affermano candidamente, non hanno abbastanza uomini (pagina 128). È il caso di precisare – se si vuole dare un po' di importanza a ciò che viene definito patto narrativo, sempre che se ne conosca il significato – che in casi del genere è la Procura che segue e coordina le indagini e che esistono delle sinergie interforze che permettono al procuratore di destinare un numero adeguato di uomini per tali emergenze. Oltretutto, a pagina 74 si legge che qualcuno rischia una incriminazione per vilipendio a pubblico ufficiale (ossia per un reato che non esiste nel nostro ordinamento), pertanto si capisce che l’attività di documentazione (indispensabile prima di avventurarsi a scrivere cose di cui non si sa praticamente nulla) è stata quanto meno insufficiente, nonostante i preziosissimi consigli di tale Rino, citato nei ringraziamenti, di cui però noi poveri lettori non sappiamo nulla. Evito di soffermarmi sulle ulteriori inverosimiglianze procedurali, perché scriverei per decine di pagine.
La medesima mancanza di documentazione ha portato a mettere nero su bianco solenni fesserie, come ad esempio che la paella alla valenciana prevede anche dei gamberoni, mentre anche le pietre sanno che è una variante che non contiene pesce – ma, vabbe’, ognuno fa come gli pare – oppure le acrobazie circensi di un giornalista che viene svegliato al mattino dal trillo del cellulare: pensate che riesce ad alzarsi, ad andare in bagno tenendo con una mano il cellulare appiccicato all’orecchio e a fare comodamente pipì, in piedi si precisa. Ragazzi, maschietti, parliamoci chiaro, sfido chiunque a riuscirci, sarebbe bastato pochissimo per evitare di scrivere tali sciocchezze, visto che su tutta l’opera grava un alone di solenne serietà (o pseudo).
Parallelamente alla storia dei morti, abbiamo quella di una ragazza, Monica, di ricchissima famiglia che ha venduto la sua oreficeria in Toscana per andare a cercare il proprio padre, fuggito anni prima e che, secondo lei, è andato a Roma per fare il barbone. Ora, perché sia convinta di ciò (e quindi per quale motivo il padre, ricchissimo, abbia adottato tale scelta) è sconosciuto ai più, fatto sta che la ragazza lo trova: il padre è effettivamente diventato un barbone e le comunica telefonicamente che non solo ha paura di fare la fine di quelli già trovati morti, ma che teme che lei possa essere usata come arma di ricatto. Il perché abbia quella paura lo sapete voi? Io no. Forse perché ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere? Sì, ma non si capisce per quale motivo allora non si sia affidato alla giustizia o non abbia affidato a essa la figlia, ma l'abbia invece invitata a fuggire. O non sia fuggito lui. Mah. Il susseguirsi degli eventi è reso con uno stile urticante.
La contrapposizione paganesimo/cristianesimo – argomento interessantissimo, affrontato magistralmente ad esempio da Giuseppe Pili ne Il ventre della sposa bambina, tanto per citare – è stata affrontata con toni a dir poco inappropriati, per non dire irrispettosi. Peccato, sarebbe stato invece interessante un maggior approfondimento, visto che si è deciso di ambientare la storia a Roma. Una trama del genere potrebbe durare pochissime pagine, visto che a pagina 108 si capisce oltre ogni ragionevole dubbio chi c’è dietro tutte quelle morti.
La sciatteria, come se non bastasse, regna indisturbata pressoché in tutte le pagine, basti pensare che a pagina 33 si parla di nebbia spumosa che rende lucido il selciato (?), di macchine che lasciano bave di luce in movimento e che sembra di essere a Venezia. Mah… A pagina 39 abbiamo una vivida luce invernale (sarebbe bello sapere come sia), per non parlare poi di Franca, misteriosa ragazza apparsa dal nulla a pagina 158 e subito scomparsa, né del fatto che si confondano i microfoni con gli altoparlanti (pagina 174, dove, dopo non pochi sforzi si capisce che ci sono due persone che parlano al telefono). Sorvoliamo anche sull’umidità complice di pagina 189 (in che modo l’umidità potrebbe essere complice?). Anche qui non vado oltre, risulterei pedante, come non mi dilungo sulla completa disattenzione della consecutio temporum e sulla struttura dei capitoli, dico solo che a pagina 153 c’è un esilarante passaggio in cui un panino decide di mangiarsi con comodo un giornalista, che a pagina 150 compare una verde feroce, che non si sa cosa sia, e che a pagina 211 un sarebbero viene gabellato per uno starebbero.
Ovviamente in ogni polpettone che si rispetti non mancano le laGrime che rigano le gote, qui ne abbiamo sia a pagina 115, sia a pagina 216.
Insomma il degno risultato tra sciatteria ed espressione farraginosa.
Infine, c’è la strana incursione di una bambina che, con tutta la buona volontà, non si capisce da dove venga, né che fine faccia. Forse una buona passata di editing potente, diciamo con fiamma ossidrica, lo avrebbe reso passabile, anche se la strutturazione dei capitoli sembra essere stata fatta a casaccio, come alcuni passaggi, assolutamente indecifrabili.
Insomma, ci troviamo di fronte a un'opera i cui elementi costitutivi – documentazione, struttura, coerenze, grammatica, stile – sono praticamente inesistenti.
C’è da chiedersi, in conclusione, per quale motivo – e con quale coraggio – si decida di mettere in circolazione libri del genere, in cui la scrittura viene tanto maltrattata, ossia perfettamente inutili. Anzi no, un'utilità ce l'ha: è il manuale su come NON si deve strutturare una storia.