Ve lo presento.
Ciao e grazie per la disponibilità. Iniziamo con la domanda di rito: ci racconti col minor numero di parole, il maggior numero di cose su di te, di dove sei, dove abiti, gossip compresi?
Sono salernitano doc (in realtà nato ad Agropoli, in provincia, ma dopo tre giorni ero a Salerno), terzo di tre figli (due sorelle più grandi di me, AIUTO!), 30 anni da compiere a settembre (tanto già sono vecchio dentro), laureato in Comunicazione all'Università di Salerno (con tesi sempre sul Teatro)… gossip? Ma se sono ogni settimana su “Oggi” e “Gente”...
Adesso te lo chiedo di botto. Perché? Perché questo amore per la recitazione? O meglio, in quale esatto momento della tua vita hai deciso?
Ho cominciato intorno ai 16 anni, ma già alle scuole elementari ero un elemento imprescindibile delle recite. Sono stato avvicinato al Teatro sin da piccolo, anzi fu astrologicamente prevista alla mia nascita la mia passione per le assi di legno. Man mano che le esperienze si sono fatte più impegnative e interessanti, ho preso sempre più convinzione di quest'amore.
Chi è, quindi, secondo te un attore?
Esistono tante motivazioni diverse in ciascun attore, così che non trovo possibile darne una definizione univoca. Ma posso parlarvi di me. Io a Teatro sono più alto del normale e più forte di quanto il mio corpo esile possa suggerire. Sono attore (non “faccio l'attore”) nella misura in cui sono in scena tutto quello che non sono fuori dal Teatro. Lì sto bene, niente di quello che accade esternamente può scalfirmi.
Qual è il tuo percorso professionale?
La mia esperienza è tutta di palco. Qualche laboratorio, sì, l'ho fatto, ma la grande esperienza già accumulata alla soglia dei 30 mi deriva dall'esser stato preso e buttato sulla scena. Naturalmente ho avuto la fortuna di trovare l'ambiente giusto, quale la Compagnia del Giullare di Salerno, con la quale recito da ormai sette e anni e dove, grazie soprattutto ad Andrea Carraro, sono stato cresciuto e mi è stato consentito di fare cose bellissime e di grande spessore qualitativo.
Chi sono i tuoi “maestri”, voglio dire gli attori che ammiri e stimi? E perché?
Potrei citarvi attori famosi che ammiro come Paolo Stoppa, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo (il vero genio recitativo della famiglia, a mio giudizio), Giorgio Albertazzi… mostri sacri, per carità. Ma i miei veri maestri sono quegli attori che, come me, non lo fanno per professione ma con professionalità e qualità da far venire i brividi a molti del mestiere. Ne conosco e ne ho conosciuti, credimi. In più, debbo tutto ad alcune persone: mia zia Annamaria, per avermi portato sin da bambino a Teatro; Ciro e Giovanna, una coppia che considero i miei mamma e papà teatrali e che mi hanno insegnato l'abc; Andrea Carraro, che ha su di me investito da anni e mi ha portato a essere quello che sono oggi; Salvatore Chiosi, regista e amico col quale a Roma ho vissuto una bellissima esperienza e che ancora vorrebbe lavorare col sottoscritto (la cosa è reciproca!).
Non dimentico né sottovaluto, inoltre, due professori universitari, relatori delle mie due tesi di laurea: la prof.ssa Anna Cicalese, docente di Semiotica, con con cui ho fatto la tesi triennale in Semiotica del Teatro, e il prof. Gabriele Frasca (un vero intellettuale e genio), con cui ho portato avanti un bellissimo lavoro magistrale di comparazione di testi teatrali di Ibsen, Pirandello e Joyce.
Quali sono i “generi” che ami di più?
La prosa, in particolare drammatica, mi affascina e mi coinvolge. Eppure molti trovano in me una grande verve comica. L'importante è la qualità di ciò che faccio.
E quali le opere che hai interpretato che ti hanno soddisfatto di più?
Sono indubbiamente legatissimo ad “Amadeus” di Peter Shaffer nel quale ho interpretato il ruolo di W.A.Mozart. Con questo spettacolo abbiamo sbancato il Festival di Pesaro nel 2010 e io ho vinto il premio come miglior attor giovane. È lo spettacolo che mi ha dato una certa consapevolezza di mezzi.
Grandi soddisfazioni le ho avute anche con “Torre d'avorio”, “Shakespeare Family” e, soprattutto, con l'ultimo di quest'anno, tra febbraio e marzo 2015, “Scherzi di Cechov”. Ora mi trovo impegnato a provare il ruolo di Amleto in vista di una suggestiva messinscena del capolavoro scespiriano sul castello longobardo di Salerno prevista per luglio. Mi aspetto ulteriori gioie e soddisfazioni.
Hai mai scritto un testo teatrale?
Mi piacerebbe ma ogni qual volta ho appoggiato la punta della penna e ho cominciato a scrivere mi sono subito giudicato e stoppato. Sono molto critico con me stesso.
E quale opera, se c’è, vorresti interpretare?
Mi piace Ibsen come autore e mi piacerebbe prendere parte ad una messinscena de “Un nemico del popolo”. Così come altri capolavori scespiriani e pirandelliani sono di mio gradimento.
Io mi sono sempre chiesto quanto la personalità degli attori venga “scalfita” o “influenzata” dai personaggi e dalle situazioni che interpretano. Ti va di dirmelo, oppure si tratta di un semplicissimo caso di personalità multipla?
Mi trovo spesso a ribadire il seguente concetto: per me il Teatro non è vita, o almeno non lo è fino in fondo. Andrea porta se stesso in scena fino a un minuto prima che inizi la performance, lo fa nelle prove, nei momenti condivisi con il cast, quando da solo passeggia e nel frattempo ripete e modifica la parte. Ma quando inizia lo spettacolo, be', lì non è più Andrea ma la risultante delle prove, dei momenti condivisi, delle passeggiate mnemoniche: è ora altro dalla persona che vive fuori dal teatro, un carattere da eseguire con lucidità. Io non dimentico mai che sto recitando quando sono in scena.
Seguendo questa linea teorica, mi sono trovato a incoraggiare prima di un debutto i miei compagni di scena dicendo loro che non è importante come si entra in Teatro ma come si esce di casa.
Ti butteresti nel cinema?
Lo farei, ma il Teatro e la recitazione dal vivo sono ben altra cosa. Per Woody Allen farei qualunque cosa.
Un’altra curiosità: ma per imparare a memoria quei testi così lunghi c’è un metodo? Me lo spieghi? No, perché io ricordo solo i numeri di telefono, a malapena e non tutti.
Come imparo quei lunghissimi copioni? Allora… sì…. vedi… bene… non me lo ricordo!
Ah ecco, un’altra curiosità: al termine di uno spettacolo, quando abbandonate la scena, cosa provi?
Tanto più sei vuoto fisicamente e mentalmente, tanto più sei forte e sei contento. La stanchezza in Teatro è un parametro significativo.
Mi capita, poi, di essere malinconico alla fine dell'ultima replica: non sono amante delle cose che finiscono, mi lego facilmente alle situazioni e alle cose che faccio.
Hai mai ricevuto delle critiche? Come hai reagito, come le “assorbi”?
Vengo da una famiglia prettamente femminile, la critica è all'ordine del giorno, mio caro. Scherzi a parte, ne ho ricevute e spero di continuare a riceverne. Non per questo non ci rimango male, ma fortunatamente sono poco reattivo e trattengo; valuto col passare del tempo e a mente fredda. Quelle costruttive mi hanno spesso consentito di fare un passo avanti.
Cosa vorresti fare “da grande”, hai dei progetti per il futuro?
Vorrei una vita serena. Al momento non immagino la mia vita senza Teatro, ma so benissimo che oggi l'attore non è una professione che consenta la stabilità e la tranquillità che stessa professione artistica merita e necessita. Il mio obiettivo è un po' come comporre un puzzle: i tasselli a posto. Se poi dovesse arrivare qualcosa in più, ben venga.
Ciao e grazie, Andrea. Grande!