Due racconti lunghi che colpiscono subito per il registro narrativo e la forma, oltre che per l’ambientazione. In un italiano ampolloso, e a tratti barocco, con piacevoli sprazzi di humour d’altri tempi e termini desueti e ricercati, l’autore ci racconta due storie ambientate, come viene spiegato in quarta di copertina, in un rarefatto passato, legate a filo doppio da una serie di elementi che verrebbe da definire universali, o banalmente letali: il tempo – inteso nella sua accezione Platonica, ossia creatura del Demiurgo – l’imprevedibilità degli avvenimenti (che solo il tempo riesce a scandire) e il trionfo del tempo su tutte le vicende, più o meno piccole, che l’umanità oppone al suo scorrere (come già Totò ha poeticamente espresso nella sua A livella). La lezione del tempo, come molte altre, non la impareremo mai. Ci affanniamo a escogitare strategie, mezzi e mezzucci per sopraffare il prossimo per dimostrare chissà cosa, senza tenere in conto la caducità che permea tutte le nostre esistenze. E dire che la morte e i rovesciamenti di fortuna sono all’ordine del giorno!
La rarefazione dell’ambiente citata in quarta di copertina è dovuta alla sospensione, coeva, che l’autore ha voluto dare alle città in cui si svolgono le due vicende, sembrerebbero medievali, o forse rinascimentali. In esse vige una sorta di regola minima, e anche in questo cso banalmente letale, universale: nella scala sociale, chi è sopra comanda chi è sotto. Non importa se ci sono leggi che disciplinano il comando, il potere può tutto, o quasi tutto, visto che l’unico detentore del potere assoluto è il tempo, il quale si arroga tutta l'onestà demiurgica degli accidenti che elargisce all'umanità.
Dalla lettura di queste piacevolissime pagine, emerge la strana sensazione che l’uomo sia votato all’autoestinzione, al suicidio. D’altra parte sembra anche impossibile trarre una ricetta, un modus vivendi laico, che possa esorcizzare il pericolo della spada di Damocle in perenne attesa sopra l’umanità.
Le trame dei due racconti hanno una simmetria orizzontale. Mentre nel primo assistiamo agli sforzi, (involontariamente?) ridicoli quanto grotteschi, di un popolo per assicurarsi un posto al sole presso il Governo che sta per insediarsi in città, nel secondo è il detentore del potere a dimostrarsi prevaricatore e (involontariamente, anche lui?) meschino nei confronti del suo popolo.
Un libro che ricorda per certi aspetti I racconti comici di Mark Twain e che offre non pochi spunti di riflessione.
Ma una cosa è certa, e l’autore ce lo ricorda in queste pagine solo all’apparenza leggère: chi troppo vuole, nulla stringe e così uno studente sornione e un re megalomane, sebbene di estrazione sociale differente, hanno trovato lo stesso "annullamento".