A volte si scovano, tra le pieghe dei byte internettiani dei talenti non da poco. È il caso di Mario Calivà, alias Jaren Martide, con il quale ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere.
Ciao Mario, ti va di dirmi in poche parole chi sei?
Sono Nato a Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, sono laureando in Economia e Finanza. Mi diletto a scrivere. Ho anche un canale su YouTube dove ho caricato numerosi video.
E come mai hai scelto lo pseudonimo “Jaren Martide”? Ti va di dircelo?
È una scelta causale, nulla di che… ecco.
Cosa significa per te scrivere?
Scrivere è libertà, fantasia, sfogo. Per me è una cosa naturale. Spontanea. Scrivo semplicemente perché sento di farlo. Nessuno me lo ha mai imposto. È una cosa che sento. Credo che la scrittura (specie la Poesia) sia bellezza e verità: bellezza, perché rivela i contorni e tende ad illuminare le cose, in modo che possano essere viste da un'altra angolazione, che le rende più belle; verità, perché si rivelano per quel che sono, senza alcun sotterfugio o artifizio.
Non penso però che essa rappresenti un'evasione dalla realtà, poiché tratta sempre argomenti e situazioni (interne od esterne) che si allacciano comunque all'inconsistente o consistente tangibilità dell'esistenza. Perché il bisogno che spinge alla scrittura è radicato nel tempo e nei luoghi dove viviamo.
Che ruolo dovrebbe avere la scrittura oggi?
Secondo me, specialmente in questo periodo di decadenza morale, economia e sociale, la scrittura dovrebbe - attraverso le visioni del poeta o dello scrittore - aprirsi un varco (come quello in cui sperava Montale) tramite il quale salvarsi fuggendo.
Come definiresti il tuo rapporto con la Poesia?
Il mio rapporto con la Poesia è, molto intimo. Credo che essa sia presente ovunque e che sia lei a scegliere quando rivelarsi. È una visione alla stregua dell’Eterno Ritorno di Nietzsche, credo comune a tutti coloro che scrivono.
La mia poesia è soprattutto introspettiva e spesso si lega alla natura. Natura intesa come paesaggio e tende a creare un rapporto tra essa e l’uomo che è costretto a subirla. Il mio tentativo è quello di far uso di elementi che Lei crea affinché possa essere svelata anche di fronte alla sua realtà sfuggente che nasconde legami con l’uomo.
In tutto questo l’uomo è un silenzioso osservatore (come il contadino di Vjeshti i Zalisur). Le immagini muovono dalla natura all’uomo, in una sorta di interazione, e questi osserva il corso degli eventi, impotente o semplice comparsa (come il cacciatore in Odo il frascheggio)
L’uomo che ruolo ha dentro la tua Poesia?
La visione dell’uomo dentro le mie poesie è quella di un individuo che si muove dentro l’incertezza quasi come un cieco dentro un giorno assolato, dove tutto è visibile ma non per lui che ha solo la possibilità di intravedere o scorgere qualcosa solo tramite la Poesia, che mette a nudo il rapporto effimero e quasi istantaneo tra il Divino e l’uomo. Il linguaggio ben preciso cerca di spiegare ciò che esiste in un dato momento e che è destinato a dissolversi. La poesia cerca di interpretare ciò che l’uomo prova. Non da nulla per scontato. Si presenta nelle forme che lei stabilisce. L’uomo deve solo decifrarla.
A quali poesie delle tue sei più legato?
Una delle Poesia che più amo (delle mie) è Sentinella Notte. La notte viene rappresentata come sentinella oscura che veglia sull’uomo durante il suo momento più fragile: il sonno; momenti in cui si resta soli con a meditare e a dilatare le armonie inespresse. Dentro questa poesia si sviluppano tragitti insoliti. Rappresenta un vagabondare dentro la mente, tra desideri e ricordi lontani ovvero dentro la Notte dove l’uomo è solo con le sue riflessioni e le sue inquietudini, che alla fine non sono poi così lontane dalla vera realtà che in quel momento si presenta quasi come un miraggio.
Un’altra Poesia che amo (sempre delle mie) è La corte del tiranno. Scritta a seguito della guerra in Libia. Amo la sua semplicità e la sua forza espressiva. Su YouTube c’è un video dove viene recitata da Nicola Ciulla, attore e cantante.
Hai ricevuto riconoscimenti?
Nel 2012 con la Poesia Amore Liquido ho vinto il Primo Premio del Concorso più importante di Verona, organizzato dall’assessorato e dalla Fidas.
Dal Luglio 2013 una mia Poesia (Luna di giorno) fa parte della collezione privata del Museo Nazionale Epicentro di Barcellona Pozzo di Gotto, diretto da Nino Abate.
Hai avuto modo di pubblicare le tue Poesie?
Nel 2011 ho fondato un gruppo di scrittori e Poeti da cui è nata un’Antologia a cui ho dato il nome Nove penne fanno un’ala, edita da Città del Sole.
Ho anche vinto un concorso indetto da Amande Edizioni dove sono stati selezionati 10 Autori da cui è nata un’antologia Lardichella Road Poetry in cui ci sono cinque mie Poesie.
Ti occupi solo di Poesia? C’è altro tra le tue produzioni?
Tra le mie produzioni ci sono anche scritti teatrali, racconti e sceneggiature di corto e mediometraggi.
I titoli delle commedie che hai scritto?
Il sogno, Lo specchio bianco, L’uomo con il piede dentro la pozzanghera e Devi fare come se non ti importasse.
Hai portato qualcuna di queste in scena?
Sì, L’uomo con il piede dentro la pozzanghera, tradotta in arbëresh da me assieme a Gaetano Gerbino – scrittore e studioso della lingua arbëreshe - (Burri me këmben te lucja).
Ne stai preparando qualcun’altra?
Sì, sempre in lingua arbëreshe, la commedia Devi fare come se non ti importasse (Ka bësh skurse ngë të nget). Scritta direttamente in arbëresh assieme al mio amico Paolo Borgia. Abbiamo cominciato le prove da un mese. Contiamo di portala in scena prima di Natale.
Hai scritto molte opere in arbëresh?
Qualcuna c’è. Non è un lavoro molto semplice. La lingua è molto complessa. Devo ringraziare il Professore Matteo Mandalà, titolare della cattedra di Lingua e Letteratura Albanese all’Università degli Studi di Palermo, che con molta pazienza e cortesia ha corretto qualche mia “versione”.
Che lingua è l’arbëresh?
La lingua arbëreshe è la lingua parlata dalle minoranze etniche provenienti da Albania e Grecia che alla fine del XV secolo a seguito dell’invasione turca nei Balcani si sono stanziate nell’Italia Meridionale, soprattutto in Calabria e Sicilia.
Quindi avete conservato la lingua per cinquecento anni?
Sì. Siamo da ammirare vero?