Immagini forti, scaturite dall’inerzia - per non chiamarlo proprio menefreghismo - delle istituzioni nei confronti di un tema che non si può più rimandare: la Breast unit, di cui si fa sempre un gran parlare cui però seguono pochissimi fatti.
Le immagini, visibili fino al 2 aprile 2017, sono forti. Alla fine di quest’intervista ne potrete vedere una.
Ciao Daniela, grazie per la disponibilità. Iniziamo con la domanda di rito: potresti dirci nel minor numero di battute il maggior numero di cose di te, gossip compresi?
Ciao Mario, grazie a te per questo invito. Cosa posso dirti di me… nasco, cresco e vivo in Piemonte poi, per circa un decennio, mi prendo una pausa romana. Torno in Piemonte nel 1992 con un discreto bagaglio di vita e di esperienze fotografiche, al momento solo amatoriali. Subito dopo inizio il percorso professionale e a tutt’oggi, ancora, non ho dato le dimissioni dalla fotografia. Secondo la regola dell’”errare humanum est, sed perseverare…” mi sposo una prima volta a vent’anni e una seconda a quarantacinque. Cambiano i mariti, ma l’amore per la fotografia rimane immutata, quindi al primo studio piemontese, nel 2011, decido di affiancarne un secondo proprio in Sardegna, alla quale sono legata da motivi quantomeno ancestrali, va da sé che mi ritrovo a fare la pendolare tra la pianura e il mare.
Mi dai una definizione non canonica di fotografia (sia dell’attività, sia del risultato)?
Ho sempre visto la fotografia come un mezzo per liberare emozioni che troppo spesso restano dentro. La macchina fotografica è come una mano invisibile che le accompagna fuori di me.
E di fotografa?
Qui mi metti in difficoltà. Potrei dirti, molto banalmente, che mi pregio di fare un lavoro che amo. In realtà mi piace pensare di parlare alla gente in una lingua non parlata, che non necessita di traduzione.
Quali soggetti ti attraggono di più?
Tutto è fotografabile, tutto ciò che ti trasmette bellezza. La bellezza è ovunque, ci vuole grande esercizio per coglierla. Forse per questo appartengo alla categoria dei trasognati, individui che vedi camminare per strada un po’ svagati, alla ricerca di un particolare. Uhm…troppa filosofia, vero? Bene, non esistono soggetti specifici, esistono situazioni, accadimenti, vita. Tutto qua.
Donne + Donne è il titolo del tuo - forte! - progetto fotografico attualmente in esposizione a Ozieri. Ce ne parli?
Donne + Donne è il figlio prediletto e mi rendo conto che, per me, non è facile parlarne. Da tempo avevo in animo di realizzare un lavoro simile e quando è arrivato il momento giusto, non mi sono fermata troppo a pensare ai dettagli. In questo lavoro c’è molto coinvolgimento emozionale, è stata una forte crescita personale, come donna e non solo come fotografa. Ho realizzato tutto in pochissimo tempo. Scelta della location, ricerca di quelle che sarebbero diventate le Donne + Donne. La parte più complicata è stata trovare lo spazio espositivo. Credo sia un progetto importante, forte sì, ma vorrei che arrivasse la delicatezza con la quale è stato trattato l’argomento. Certo, le immagini sono di grande impatto, specialmente quelle in bianco e nero. Ciò che arriva, però, dalle immagini a colori è un forte messaggio di speranza, di rinascita appunto. Il ritorno alla vita attraverso un percorso doloroso. Non è semplice raccontare il dolore e la sofferenza fisica per immagini senza scioccare l’osservatore. Inevitabilmente le ferite sono evidenti, così come lo sono le motivazioni. Questo progetto porta in sé più di un messaggio: la denuncia, la speranza, il coraggio delle donne, l’invito alla prevenzione, ma, uno su tutti, il dovere di liberarsi della Vergogna. Ancora oggi, la malattia è considerata una vergogna. È un muro che si può abbattere solo uscendo alla scoperto con clamore, a muso duro.
Possibile che per attirare l’attenzione su certi argomenti si debba arrivare a tanto?
Se non esistono strumenti più forti, perché no? Questo è ciò che abbiamo a disposizione? Allora usiamolo. Mi sono battuta perché questo progetto andasse in mostra la prima volta nel mese di ottobre, mese della prevenzione per il tumore al seno, a Sassari, dove ci si batte da tempo per l’attuazione della Breast Unit e Donne + Donne ha voluto essere una voce forte insieme a quella delle pazienti oncologiche unite in questa battaglia da due anni. Ho voluto che fosse in ottobre, non mi sono fermata e con l’aiuto di due donne del progetto ci siamo riuscite. Se credi in quello che fai, se sei certo delle tue convinzioni, alla fine vieni ripagato. Per quanto riguarda l’attuazione della Breast Unit, si sta muovendo qualcosa, sono state date risposte concrete. Seguiranno atti altrettanto concreti? Ce lo auguriamo. Non sarà stato certo merito mio, né del progetto Donne + Donne, saremo state una goccia nel mare, ma chissà! La forza delle Donne può arrivare molto lontano. Dopo gli accadimenti di questi ultimi giorni, la sanità Sassarese è consapevole che d’ora in poi dovrà confrontarsi con le donne, con le loro domande incalzanti, con richieste intelligenti e precise.
Ci sono state altre mostre di cui vai particolarmente fiera, ossia che secondo te hanno avuto un impatto positivo, più di quanto ti aspettassi?
In verità no, anzi… Qualche anno fa ho portato in mostra un piccolo lavoro dall’aspetto foto e grafico innovativo: L’altro punto di vista… work in progress. Il concetto primario era educare all’osservazione, i soggetti scelti erano i più banali. Ciò che rendeva interessante l’immagine era proprio un altro punto di vista e con esso la trasformazione/trasfigurazione. Anche lì tornavo alla ricerca del bello, anche in un chiavistello arrugginito. Un lavoro apparentemente poco emozionale, di ricerca stilistica. Forse un po’ difficile per i non addetti ai lavori. Non ha avuto molto seguito, ma è stato comunque un buon percorso.
Oltre alla classica carta fotografica, quali sono i supporti che, secondo te, valorizzano una fotografia?
La carta fotografica. Tutto il resto passa e va. Dobbiamo necessariamente adeguarci alle nuove tecnologie, ma ciò che nasce da un pensiero o da un’osservazione, dopo, devi toccarlo, averlo tra le mani, stropicciarlo, stracciarlo se non ti piace. Un’immagine, perché duri nel tempo, la devi stampare!!
Cosa vuoi fare “da grande”, hai progetti “in grande”?
Amo il mio lavoro e se la mia fotografia avrà sempre qualcosa da dire, proseguirò con lo stesso entusiasmo. È questo il mio progetto in grande!
Grazie Daniela, ti faccio un mare di auguri e ti chiedo: ci regali un tuo scatto?
Ve ne regalo uno di grande speranza. Perché il sole sorge sempre, nonostante tutto !!