Carolina Cutolo ha scritto “Romanticidio”, di cui con piacere ho curato la presentazione presso la libreria Koinè di Porto Torres, io però l’ho conosciuta in occasione del contest “Il concorso più brutto”, che immodestamente ho vinto con un brano indecente (qui c’è l’antologia liberamente scaricabile, si declina ogni responsabilità in ordine alla bruttezza dei brani). Carolina, con metà DNA sardo, gestisce anche l’utilissimo blog scrittorincausa. Allora, mi son detto, perché non chiederle un’intervista? Lei ha accettato.
Eccovela.
Ciao Carolina, grazie per la tua disponibilità. Per rompere un po’ il ghiaccio, ti andrebbe di dirci qualcosa di te, tipo nascita, residenza, scuole e/o altri gossip personali?
Sono nata e vivo a Roma, diplomata al liceo classico, laureata in Sociologia e quando ho un nuovo sex toy tra le mani mi fa l'effetto dei regali di natale da bambina: ci gioco a sfinimento per una settimana e poi mi dimentico che esiste.
Sei, cito in ordine sparso, bartender, scrittrice e blogger. Iniziamo dal bartender: perché fai la bartender? Cioè: la sei o la fai, la bartender?
Ci sono e ci faccio. Mi piace praticare e mi piace spararmi le pose di esperta della nobile arte della miscelazione. Ma la cosa che preferisco è inventare cocktail indovinando i gusti di chi capita al bancone del bar dove lavoro.
E qui mi aggancio alla tua attività di scrittrice, perché la protagonista dell’ultimo tuo libro, di cui ho già parlato qui, è Marzia, una bartender. Come mai quest’idea? Sei più Marzia o più bartender?
L'idea mi è venuta perché quando ho cominciato a scrivere il romanzo mi è uscita questa voce un po' da stronza, quindi mi è sembrato perfetto fosse una bartender che, invece di tenere per sé (come tutti i professionisti del mestiere) i giudizi implacabili e le risposte spietate all'indirizzo della maleducazione e della meschinità dell'avventore medio, dice sempre quello che pensa. Sono un po' Marzia e un po' bartender, ma (spero) anche molte altre cose, come per esempio una discreta portiera a biliardino.
E invece il tuo precedente libro?
Pornoromantica è nato dall'esperienza del blog, un periodo meraviglioso e indimenticabile di confronto con i lettori, che mi davano molta soddisfazione quando mi riusciva di scrivere qualcosa di buono, ma non avevano pietà se mi lasciavo scappare sciatteria, auto-indulgenza o superficialità nella forma come nei contenuti. Una palestra di scrittura incredibile, che non smette mai di allenarti la concentrazione e l'intuito, e che mi manca molto. Sì, rimpiango gli addominali scolpiti e il controllo del fiato di una volta come un vecchio boxer, che non dimentica gli insegnamenti dei primi anni sul ring, che continua ad allenarsi e tutto sommato tira ancora dignitosamente, ma rimpiange il suo primo coach, buonanima.
Ecco, e qui la domanda io non riesco a trattenerla. Pornoromantica – Romanticidio: Freud si/ti (e anche io mi/ti) chiederebbe in che rapporti sei con il romanticismo, e non alludo al noto movimento artistico, musicale, culturale e letterario sviluppatosi in Germania e poi diffusosi in tutta Europa nel secolo seguente (cit. Wikipedia). Oppure il tuo prossimo lavoro sarà intitolato Pornicidio?
Difficile rispondere a questa domanda senza affogare nella melassa. Diciamo che sì, sono parecchio romantica, ma ho trovato una strada tutto sommato dignitosa per scrivere dell'amore senza triturare le gonadi ai lettori: declinare questa mia tara sentimentale in chiave comica, cinica e/o grottesca.
Gestisci un utilissimo blog, “scrittori in causa”. Come mai questa scelta e soprattutto che diagnosi puoi tracciare sullo stato dell’editoria odierna? Diagnosi che, presumo, non può prescindere da altri fattori, quali ad esempio i rapporti tra letteratura e rete.
Il progetto e il blog Scrittori in Causa sono nati in seguito alle mie disavventure editoriali alla prima pubblicazione. Creare un punto di riferimento legale e gratuito per gli autori a cui viene proposta una bozza di contratto per la pubblicazione, è stato un modo di trasformare la mia frustrazione in qualcosa di utile per altri autori inesperti che non possono permettersi un avvocato. Per quanto riguarda la diagnosi dello stato dell'editoria posso parlare solo dell'ambito che conosco, quello dei piccoli e piccolissimi editori, e il panorama è a dir poco desolante: si è diffusa paurosamente l'editoria a pagamento, una prassi nefasta di sfruttamento degli ingenui sogni di gloria letteraria di moltissimi aspiranti scrittori, al solo scopo di spillargli quattrini, per di più incastrandoli in contratti capestro che li intrappolano sotto innumerevoli punti di vista. L'ultima tendenza sono i concorsi letterari in cui se vinci l'editore ti chiede denaro per ritirare il premio, che solitamente consiste nella pubblicazione dell'opera vincitrice, appunto, a pagamento. Va detto che ci sono anche molti piccoli editori che lavorano con serietà, professionalità, passione autentica, e che sopravvivono con molta difficoltà, ma preferirebbero chiudere i battenti che mettere il rischio imprenditoriale sulle spalle degli autori.
C’è poi il concorso del racconto più brutto. La mia domanda è: perché?
Ognuno ha le sue ossessioni. La mia è il brutto vanaglorioso inconsapevole. Sono sempre in cerca di nuovi campioni.
C’è un autore o un “genere”, se così possiamo chiamarlo, che ti piace particolarmente?
No, alla fine leggo di tutto, seguo percorsi miei da un libro e da un autore all'altro, e leggo un po' qualunque cosa mi venga consigliata da qualcuno di cui mi fido. Ma principalmente narrativa, pochi saggi, e pochi viventi. Fanno eccezione meritevoli gioiellini come Lo spacciatore di carne di Giuliano Sangiorgi che ho divorato in un pomeriggio, ma ha a che fare con l'ossessione di cui sopra quindi forse non vale.
Cosa ti piacerebbe fare “da grande”, ossia hai dei progetti o dei desideri?
Aprire un locale tutto mio in cui servire i cocktail più buoni e purtroppo ormai dimenticati (o difficili da trovare) della storia della miscelazione, uno su tutti: il Brandy Alexander. Mi piacerebbe avere un vero e proprio menu in cui per ogni cocktail, oltre agli ingredienti, compaiono anche la storia del drink, i nomi dei personaggi celebri che lo bevevano, degli American Bar più famosi che li hanno serviti nell'epoca d'oro del bere miscelato. Poi quando a fine serata si farà tardi, vorrò chiudere e gli avventori avvinazzati non vorranno saperne di andarsene, tirerò fuori la chitarra e mi metterò a cantare qualche pezzo mio.
Ah. E la scrittura? La abbandoni?
E chi lo sa. Mica bisogna scrivere per forza. Se mi viene un'idea che mi cattura oltre una certa soglia mi divertirò a seguirla e a vedere dove mi porterà. In caso contrario mi starò divertendo con chissà quale altra assurdità.