Come reagiscono gli autori di fronte alle vostre recensioni?
Partiamo dal presupposto che se un libro viene recensito su Senzaudio non è stato stroncato. Partendo da qui, posso dirti che gli autori di solito vanno da una scala che da una parte ha la felicità e dall’altra l’indifferenza. Alcuni mi scrivono in privato per ringraziarmi (so che lo fanno anche con altri collaboratori), altri non si fanno sentire, ma alla fine va bene così. In fin dei conti quando scrivi un pezzo non hai in mente l’autore e nemmeno l’editore. Dovresti avere in mente il lettore. Se proprio la recensione deve rendere un servizio, è giusto che lo renda al lettore che magari esce di casa e si spende quindici o venti euro per comprare un libro di cui hai parlato sul blog. Mi rendo conto che per la natura che ha Senzaudio il blog venga spesso definito buonista, ma me ne sono fatto una ragione e mi va bene così.
Quale peso pensi che abbiano le recensioni? Possono averlo diverso a seconda del mezzo tramite il quale vengono diffuse (quotidiani, online, riviste specializzate), o di chi le scrive?
Bella domanda. Mi metti in difficoltà. Mi tocca parlare contro i miei “interessi”. Diciamo che in linea di massima non credo che le recensioni abbiano un peso enorme sulla vendita complessiva dei libri. Perché in fin dei conti parliamo di quello, no? Credo che ci siano tre o quattro recensori che spostano un po’ gli equilibri. Me ne rendo conto perché, magari, controllando gli ingressi al sito ne vedo un numero anomalo riferito a una recensione di mesi prima e poi scopro che il giorno prima la Murgia na ha parlato in TV e la gente è finita su Senzaudio perché ne ho scritto anche io. Per assurdo (ma nemmeno poi tanto), ho l’impressione che abbia un impatto maggiore sulle vendite il rapper che parla bene di un libro o l’attore che si fa vedere mentre ne legge uno. Cerchiamo sempre di avvicinarci alle persone che ammiriamo, leggere il loro stesso libro può essere una via. A questo punto potremmo soffermarci sul cambiamento dei modelli culturali, ma non ne usciamo più. Però è vero che ci sono tantissimi blog che parlano di libri e devo dire che anche tra questi ce ne sono alcuni che sono migliori di altri e che andrebbero presi in seria considerazione prima di entrare in una libreria. Purtroppo o per fortuna credo che la fortuna editoriale di un libro si basi su equilibri che a volte sono insondabili. In alcuni casi può fare meglio una riga su Facebook che un paginone di un giornale a tiratura nazionale. Suppongo dipenda anche dal grado di credibilità che ha la persona che parla.
E per ciò che riguarda le interviste?
Le interviste sono un buon mezzo per conoscere un autore, ma non la sua opera. Per quando gli autori si sforzino di spiegare ciò che hanno scritto credo che sia un diritto inalienabile del lettore quello di cercare di dare un significato alle pagine lette e prendere, perché no, anche una cantonata. Io leggo volentieri le interviste della Paris Review, ma le leggo perché parlano del processo di scrittura, sono una fonte preziosa. Se mi interessa un libro evito di leggere le interviste dello scrittore, soprattutto se si cerca di montare un caso polemico lasciano in secondo piano il libro. Magari ne recupero un paio dopo aver letto e recensito il libro, tanto per curiosità, per capire che tipo di persona è lo scrittore. Ma è, appunto, curiosità.
Premesso che si tratta di un’attività più che lecita e legale, come vi ponete di fronte all’editoria a pagamento?
L’editoria a pagamento ha basi solide. È un bel business. Se volessi diventare ricco mi ci butterei anche io. È solo che un business che si basa sull’ego delle persone non mi piace molto. Non voglio essere cattivo, ognuno è libero di fare ciò che vuole con i propri soldi, ma un libro edito a pagamento è un libro che non gioverà della promozione che una casa editrice seria può fornire. Ecco, un libro così per me non è nemmeno un libro. Ora mi immagino la crociata di quelli che hanno pubblicato un libro a pagamento e ne sono fieri, che vogliono a tutti i costi difendere l’editore perché li ha trattati bene. Sarò impopolare, ma una persona che pubblica in questo modo non è uno scrittore, è un cliente. Non è detto che in futuro non diventi qualcuno di importante e non è detto che il libro pagato non lo aiuti, ma ho sempre pensato che una persona, per avvicinarsi allo status di scrittore, debba per lo meno trovare un editore che ha voglia di rischiare.
E all’autopubblicazione sotto forma di selfpublishing?
Qui viene meno lo sfruttamento economico da parte di un soggetto terzo e rimane solo, forse, l’ego. Credo di non aver letto più di un paio di libri editi in selfpublishing e mi sono sembrati mal confenzionati. Non parlo nemmeno dell’idea di fondo, ma di una mancanza di editing, di correzione bozze, di consigli, che fa rabbrividire. So di casi di selfbublishing di autori che si sono rivolti a professionisti per confezionare un libro inattaccabile sotto tutti i punti di vista. In quei casi di solito l’idea che li ha mossi è quella di provare a “scardinare” l’editoria classica, qualsiasi cosa voglia dire. Forse il selfpublishing andrebbe ripensato, bisognerebbe offrire allo scrittore una serie di servizi certificati, una sorta di bollino qualità. Ma ovviamente non spetta a me dirlo, per ora, per quel che mi riguarda, non leggo ne libri editi a pagamento ne in selfpublishing. Anche per una questione di tempo.
Un uccellino ci ha detto che tu scrivi e che hai anche vinto qualche premio. Cos’hai da dire a tua discolpa?
A mia discolpa posso dire che scrivono tutti. Scherzi a parte, non si è trattato di qualche premio, ma di UN premio. Ho vinto il concorso indetto da CartaCarbone Festival un paio di anni fa. È andata bene anche considerando il fatto che era la prima volta che partecipavo a un concorso. Non sono uno scrittore molto prolifico. L’unico altro mio pezzo pubblicato è un racconto che ho inserito nella raccolta “Teorie e tecniche di indipendenza”, ma in quel caso la raccolta l’ho curata io, per cui il fatto che ci sia un mio racconto può essere considerata una scorciatia. Al Salone internazionale del libro di Torino del 2016 uno scrittore, dopo aver saputo che avevo messo un mio racconto nel libro mi ha detto: «allora sei anche tu uno di quelli che cura le raccolte per farsi pubblicare». E’ stato molto bello, mi ha fatto ridere molto.
Dal tuo osservatorio, riusciresti a delineare lo stato attuale della qualità in editoria, sia da un punto di vista dei contenuti, sia da quello, forse un po’ più frivolo, dei prodotti editoriali?
La prima cosa che mi viene in mente è dirti che l’editoria indipendente è in ottima forma, peccato che non legga più nessuno. O almeno è quello che salta fuori dalle statistiche annuali. Per quel che mi riguarda, ti posso dire che ho notato un incremento della qualità dell’oggetto libro che di solito associo ad una certa serietà nel modo di lavorare. Le ultime case editrici che ho visto nascere hanno lavorato molto sul “prodotto”, sia sul comparto grafico che sulla qualità della carta. Ovviamente tutto questo non avrebbe alcun senso se la parte narrativa fosse pessima. Fortunatamente così non è. Mi sono fatto l’idea che per sopravvivere con un numero di lettori in diminuzione, le case editrici stiano puntanto sempre di più alla qualità e sempre di meno al nome di richiamo. Di recente NNeditore e Exorma sono finite in classifica con due libri davvero ottimi. NNeditore con l’ultimo, postumo, Kent Haruf “Le nostre anime di notte” e Exorma con il primo libro edito con loro di Claudio Morandini “Neve, cane, piede”. Al di là delle dinamiche che hanno portato questi due libri in classifica mi sembra che il segnale sia positivo. Le quote di mercato a disposizione delle piccole e medie case editrici sono esigue se comparate a quelle dei colossi editoriali, ma se dovessi elencare i libri che ho letto negli ultimi quattro anni, di editori indipendenti, di grandissima qualità, non la finiremmo più. A volte mi sembra che si voglia far passare il messaggio che piccolo significa anche di qualità mediocre. È un’equazione assurda. Poi ci sono anche quelli che cercano di demonizzare la grande editoria spiegando che pubblicano solo robaccia. Anche qui, equazione sbagliata. La grande editoria pubblica tantissimo, riempie fino a farli scoppiare gli scaffali delle librerie di catena e, con la scusa che c’è un pubblico per tutto, fanno uscire anche cose inbarazzanti. Tanto hanno un volume d’affari talmente elevato che possono permettersi più di una debacle. Nel calcio il Real Madrid può permettersi di comprare un giocatore, pagarlo 50 milioni di euro e lasciarlo in panchina. In Italia se uno lo paghi 50 milioni gli fai fare tutte le partite e anche pulire lo stadio. La piccola e media editoria deve, per forza di cose, fare investimenti mirati. Un libro sbagliato puà costare sei mesi di vacche magre.
Grazie per la disponibilità, solo un’ultima domanda. Hai dei progetti, cosa vorresti fare “da grande”?
Ho sempre dei progetti, poi fatico a realizzarli. Come dicevo all’inizio, sono sempre in cerca di stimoli per cui a volte un progetto nasce all’istante. Ho un paio di telefonate da fare a delle persone che mi hanno buttato lì qualche stimolo, ma se devo dire la verità, mi piacerebbe replicare l’avventura editoriale di “Teorie e tecniche di Indipendenza”, l’antologia di racconti che è nata dal blog Senzaudio e alla quale hanno collaborato tantissimi scrittori e tantissime scrittrici che negli anni erano stati recensiti sul blog. Mi piacerebbe fare qualcosa di simile. Mi piacerebbe anche riuscire a scrivere un romanzo, ma pare che ora sia più attratto dalle misure brevi. Dal punto di vista strettamente personale mi piacerebbe essere soddisfatto. Ma è più facile a dirsi che a farsi.