In un paesino della Calabria degli anni ’40 nasce una bambina che ha tre sfortune: è femmina (una vera donna sa fare soprattutto figli maschi, che possono aiutare a portare il pane a casa), ha un viso brutto (la stessa mamma l’ha soprannominata ‘a zannuta a causa dei suoi grossi denti sporgenti) ed è nata nel posto sbagliato, al momento sbagliato e nella famiglia sbagliata. Una mamma succube e arretrata e un padre gretto e ubriacone la costringono a fuggire di casa e ad affrontare, da sola e giovanissima, la vita, che da quelle parti e in quel periodo non è di certo facile. A dispetto del viso, ha un bellissimo corpo che attira ogni sguardo maschile, anche turpe, al quale però non si sottrae, mai, sia per necessità sia, fondamentalmente, per amore.
Lei, ‘a zannuta, non è capace di portare rancore, nel suo DNA il gene dell’amore è curiosamente più sviluppato degli altri. Ama la vita e, soprattutto, i figli avuti – e sono tanti - con molti degli uomini che “incontra”; per questi figli lei è anche disposta a uccidere (anche una coniglia, creatura placida, prolifica e timorosa per antonomasia, si arrabbia quando gli toccano i figli, e ciò vale anche per ‘a zannuta, che qualcuno ha anche soprannominato ‘a cunigghia, la coniglia).
Queste pagine, scritte in punta di penna, con uno stile elegante e incisivo, però mi hanno prepotentemente indotto a una riflessione, che forse è dovuta più che altro al fatto che nella vita un bilancio, spesso, è opportuno: qual è il giusto equilibrio che un genitore deve trovare con i figli e, di conseguenza, che un figlio deve trovare con i genitori? In buona sostanza, cosa si intende per buon padre di famiglia, buona madre, figlio esemplare? Amneris non entra nel merito, ma ci presenta tre generazioni, in cui c’è forse troppo sbilanciamento ora da una parte, ora dall’altra, però il messaggio è chiaro: l’amore, inteso come insieme di comportamenti volti a fare stare bene gli altri, deve governare ogni atto della nostra vita e, soprattutto, questo amore deve essere trasmesso in modo tale da essere percepito al di là degli atti materiali che lo accompagnano. ‘a zannuta non riesce a dare ai propri figli quell’agiatezza che vede nelle altre famiglie, o che vorrebbe, ma non permette nemmeno che i suoi figli le vengano sottratti (magari previo pagamento di laute somme) per aiutare la frustrazione di alcune mamme sterili, ma ricchissime. Solo il primo le viene strappato, quello avuto da giovanissima dopo l’assalto di un giovinastro del suo paese, che torna e glielo strappa dalle braccia ancora in fasce, con la complicità del padre, ché tanto la svergognata era lei.
E in tema di bilanci, arriva il giorno in cui anche ‘a zannuta fa il suo e lo conclude in maniera non diversa da come lo faremmo noi tutti: vittorie, sconfitte e compromessi, ma è un bilancio fatto con quella positività che le deriva dal “non far patire agli altri quello che ha patito lei”, quindi è un bilancio estremamente positivo, nonostante tutto. Un bilancio, una lezione di vita duramente vissuta, non semplici parole da catechismo, dal quale si capisce che dal bene non può che nascere il bene, anche se là fuori c’è grigiore e fango e gente che in quel grigiore e in quel fango ci vive, o meglio sopravvive, senza essere capace di evolversi e di prescindere dal benessere materiale e dalla fama. Un bilancio basato sull'insieme di moltissime azioni che, probabilmente, se prese una a una, potrebbero sembrare discutibili, ma che alla fine danno un senso compiuto e positivo alla vita. Una vita, la sua, da valutare secondo l'inversione dei valori canonici, da cui è sempre uscita pulita.
‘a zannuta, ‘a cunigghia, nonostante sia sempre andata controcorrente, alla fine è in pace col mondo e con se stessa, non ha debiti, ma tantissimi crediti, che però non è intenzionata a riscuotere, perché le bastano gli sguardi e il pensiero dei suoi figli.
E non è facile per nulla avere questo equilibrio, per noi “normali”.