David è un ottimo e onesto editore, che ha accettato di rispondere ad alcune mie domande. Eccovelo.
Ciao David, grazie per la disponibilità. Partiamo con la prima domanda di rito: ci racconti nel minor numero di battute il maggior numero di notizie su di te, gossip compresi?
Dopo una laurea umanistica e varie esperienze in diversi settori, ho lavorato nell’editoria per quasi vent’anni come service di prestampa, finché ho deciso di provarci con una casa editrice tutta mia. Di gossip spero ne arrivino, significherà che in qualche modo avrò acquisito una certa visibilità…
Edizioni la Vela. Come mai questo nome per la tua casa editrice? Sul vostro sito si legge “Verso nuove rotte”. Quali?
Ho pensato a una vela solitaria nel mare un po’ piatto dell’editoria moderna. Il logo infatti richiama la vela e le pagine svolazzanti di un libro. E poi, abitando in un posto di mare, perché non richiamare anche il luogo di appartenenza…
Anzi, come ti è proprio venuto in mente di aprire una casa editrice?
Crisi soffocante, lavoro che non diminuisce ma i cui margini si riducono, alla soglia dei cinquant’anni mi sono detto che ormai non potevo più aspettare. Era un sogno nel cassetto, anche se il cassetto è malmesso e un po’ scricchiolante…
Quali generi tratti?
Saggistica, prima di tutto, che tratta temi importanti, etici, politici, religiosi. Ma in modo “pop”, divulgativo e non accademico, spesso addirittura ironico. In futuro, spero, ci sarà spazio anche per qualche romanzo.
Quanti titoli hai in catalogo?
Per adesso sette, ma considerando che ho iniziato il settembre scorso e faccio tutto da solo… mi sembrano già un buon numero. Ne prevedo una decina nell’arco di un anno, più o meno.
Come dev’essere per te il manoscritto – e quindi il tuo libro – ideale?
Per adesso, in assenza di romanzi, si è trattato di progetti studiati e disegnati con uno scopo ben preciso. Alcuni sono nati da idee veloci e velocemente si sono concretizzati. Il libro sull’elezione di Trump, per esempio, è nato la mattina dopo l’evento inaspettato e ha preso forma in tre settimane. In ogni modo, un manoscritto deve colpire allo stomaco, deve suscitare una reazione forte. Se poi è scritto in modo approssimativo e ha dei difetti ci si può lavorare.
Ci sono editori storici, o autori, che tieni come riferimento?
Be’, forse andremmo un po’ troppo indietro nel tempo, quando esistevano editori “veri” e scrittori “veri”. Oggi tutto si confonde, il profitto viene prima di qualsiasi altra voce nella scala delle priorità e troppi sono gli scrittori improvvisati che però si ritengono maestri.
Un editore: cos’è? Chi è? Che ruolo dovrebbe avere nel panorama culturale?
Oggigiorno un piccolo editore è una specie di Don Chisciotte che ha un ideale probabilmente fuori tempo. Prima di tutto – ovviamente si tratta di un’opinione personale – deve sentire il bisogno di comunicare qualcosa che effettivamente non riesce a trovare. Ciò che pubblica in qualche modo deve essere anche una “sua” creatura. Deve cercare di ritagliarsi un piccolo spazio di “ascolto” e proporre spunti di riflessione.
Come ti poni di fronte alla critica letteraria e ai critici? Voglio dire, di che tenore sono state le reazioni e le recensioni che hanno ricevuto le opere da te pubblicate?
Per adesso sono arrivate recensioni positive, poche ma buone. Ovviamente, arriveranno anche quelle negative, che accoglierò come uno stimolo per migliorarmi. Ritengo però importante che qualsiasi critica – positiva o negativa che sia – abbia un solido fondamento e possa contribuire a creare un dibattito. Il parlar male di un libro a causa di pregiudizi e preconcetti non aiuta in questo senso.
E quanto le tieni in considerazione, stroncature – se ce ne sono state – comprese?
Le stroncature “con giudizio”, quindi con argomentazioni valide, possono aiutare molto.
Qual è, secondo te, il canale, la strategia migliore, per la promozione di un’opera e, di conseguenza, per incrementare la lettura?
Per adesso ho idee abbastanza confuse, anche perché la stampa, seppur contattata, risponde poco o soprattutto non risponde affatto. La rete è importante, soprattutto per i piccoli, perché può creare un seguito di lettori fedeli che con il passaparola possono incrementare le vendite. Pubblicità online a Amazon per adesso sono stati i canali più “fecondi”.
Cosa pensi dell’orda (passami il termine, che comprende anche me) di persone che scrivono, ovvero, traducendo in percentuale la qualità dei manoscritti che ricevete, quanti hanno dignità?
Distinguiamo: c’è gente che sa scrivere, e sa cosa scrivere, che non ha la possibilità di farsi vedere sopratutto perché c’è una marea di nuovi Tomasi di Lampedusa incompresi che non sanno né scrivere né cosa scrivere ma che poi pubblicano con editori a pagamento, invadendo il mercato con prodotti orribili.
Come reagiscono gli autori ai vostri dinieghi?
Il Tomasi di Lampedusa di cui sopra non è un caso… diciamo che alcuni ringraziano comunque, altri non si fanno più sentire e altri ancora la prendono sul personale e dicono che l’editore non capisce niente perché anche Il Gattopardo subì innumerevoli rifiuti…
E veniamo al punto dolente, se così si può definire. Premesso che si tratta di attività più che lecite, come vi ponete di fronte all’editoria a pagamento? E al selfpublishing? E al print on demand?
Ho una collana che si chiama “Nuovi autori”. Buoni prodotti, lavorati a dovere, i cui temi però non rientrano nella filosofia editoriale. Chiedo un acquisto copie a prezzo di stampa con formula "Selfpublishing" e metto in distribuzione e vendita il resto a mie spese, cercando di rientrarci, solo quello. Ma sto sinceramente pensando di rinunciare alla collana per non avere “rischi” di essere considerato “a pagamento” anche se solo su alcune piccole pubblicazioni. In effetti non ci guadagno nulla.
Per il resto, sono attività “lecite”, non c’è dubbio. Ma hanno contribuito a spostare – e di molto – verso il basso la qualità media delle pubblicazioni. In questo senso, vendere scarpe o libri non ha alcuna differenza. Solo che le scarpe non si vendono come cultura…
Digitale o cartaceo?
Entrambi.
Un’ultima domanda e concludo: ma ‘sti lettori, ci sono? Non ci sono? O tutti scrivono e pochissimi leggono? In definitiva, riusciresti a tracciare una mappa, a delineare i contorni della lettura, qui in Italia?
I lettori ci sono, la difficoltà è arrivarci. Le nicchie vanno “stanate” con prodotti di qualità e diversi rispetto quelli che si vedono nelle vetrine delle librerie. La sopravvivenza per un piccolo è la nicchia, magari flessibile, ma che ti consideri un punto di riferimento. Io sto cercando di lavorare in questo senso.
Grazie, David. Un caro augurio di buon lavoro e di sempre maggiore fortuna.