Il primo è a firma di Anna Giorgini, una scrittrice romagnola di cui ci siamo già occupati qui. Tea, autoprodotto sulla piattaforma Youcanprint, 113 pagine. Anche questa volta l'autrice ha fatto centro e ciò è l'ennesima conferma di quante belle e valide opere ci siano nel mondo delle autoproduzioni (diverso da quello dell'EAP, sia ben chiaro).
Tea è il nome della protagonista, una ragazza del sud che sembra avere il destino segnato. Sì, perché solo credendo nell’ineluttabilità del destino si può tentare di dare un significato alla sua vita: appena maggiorenne si sposa con un uomo violento e prevaricatore, fotocopia di suo padre che, oltretutto, l’aveva anche resa orfana di madre in tenera età.
Un copione già visto, una serie di crudeli déjà-vu incombono su Tea, completamente soggiogata dal marito e talmente presa dalla voglia di riscatto, avuta suo malgrado in eredità dalla mamma un attimo prima di morire, che perde di vista ogni punto di riferimento, anche il più elementare, anche quelli della dignità basilare.
Ma perché una donna non riesce a sfuggire al plagio psicologico di un uomo con chiari problemi di adattamento? Perché la violenza domestica, sempre tenuta nascosta e compressa da troppi retaggi, non può trovare scampo? È la ferale banalità della prepotenza, lo sfogo di chissà quali marcatori ancestrali, l’incubo di chissà quali colpe da espiare, o di ruoli da salvaguardare. Ma c'è speranza per uomini simili?
Lo stile dell’autrice non lascia scampo a equivoci. La violenza non solo psicologica perpetrata ai danni, e nel tempo, a Tea e al suo piccolo figlio - concepito nonostante il clima di terrore instaurato dal marito/fotocopia del padre - sono resi con una crudezza tale da imporre una lettura centellinata. Tea e suo figlio avranno - anche se troppo in ritardo - la giustizia che si meritano, ma quando si chiude l’ultima pagina, nel lettore resta un interrogativo: le ferite inferte da quell’uomo anche sul figlioletto si rimargineranno? Verranno metabolizzate in positivo o in negativo?
L’unico punto fermo, l’unica speranza, oltre a quella della cultura e dell’autodeterminazione, rimane la denuncia: alle Autorità, ai famigliari e all’opinione pubblica. Perché vengano abbattuti tutti i tunnel della vergogna, del cosa dirà la gente, del ma cosa farò adesso, del sopporta perché il matrimonio è anche sopportazione. Affinché non si debba più parlare di mera sopravvivenza ai minimi termini a causa di uomini indegni.
Un argomento di cui non sarà mai troppo il parlarne, nonostante le notizie raggelanti che arrivano da certi paesi non così troppo lontani, in cui il problema non è mai nemmeno stato posto, sulle cui torri sventolano bandiere nere e sigle di morte.
Il secondo libro è qui.