Luigi Romolo Carrino. Ciao. Ci dici il più possibile di te, della tua scrittura, nel minor numero di battute possibile?
Sono informatico, napoletano, e ho 44 anni. Da qualche anno mi sono dedicato solo alla scrittura. Morirò di fame entro l’anno. Scrivo poesia, per il teatro, ho fatto qualche romanzo, racconti.
Ci scrivi, adesso, le tue opere prima in ordine cronologico, poi in ordine di tua preferenza?
Il settimo senso, poesia, Il Laboratorio Le edizioni, 1998
TempoSanto – Liturgia della memoria, poesia, Liberodiscrivere 2006
Acqua Storta, romanzo, Meridiano Zero, 2008
La versione dell’acqua, ed. speciale di Acqua Storta con cd del recital, Meridiano Zero, 2008
Pozzoromolo, romanzo, Meridiano Zero, 2009
Istruzioni per un addio, racconti, Azimut, 2010
Calore, racconto lungo, Senzapatria Editore, 2010
Certi ragazzi, poesia, Liberodiscrivere edizioni, 2011
A Neopoli nisciuno è neo, guida romanzata di Napoli via neomelodici, Laterza, 2012
Ci sono poi racconti sparsi in collettanee (due in Men on Men 5, Mondadori, 2006), qualcosa scritto per il teatro (in edizioni Caracò e Ad Est dell’equatore), qualche piccolo saggio (uno sul teatro di Ricci/Forte in Editoria & Spettacolo) e altre robe sparse.
Di questo sopra, sicuro al primo posto metterei Pozzoromolo. Poi TempoSanto, e quindi Certi Ragazzi. Il resto, tutto in quarta posizione.
Ecco cosa penso di te e della tua scrittura, l’ho scritto qui e te lo riscrivo, cosa ne pensi?:
“Luigi Romolo gioca con il lettore come il gatto con il topo. Non gli dà tregua, usa le parole come un pirata i rostri. È un professionista delle lettere, un fuoriclasse. E a ogni sua pagina ci si deve fermare per riflettere. Non è per tutti, quel rompicoglioni di Carrino, ma solo per chi è pronto a confrontarsi con ciò che da sempre andiamo cercando: la *Letteratura*. Ti graffia ma poi ti coccola, ma ti cambia le regole, ti sveglia forte, non teme la scrittura e non teme di sporcare il foglio. E una volta che lo hai letto devi per forza rileggerlo. E leggerlo ancora. Con il suo revisionismo sintattico riesce a riempire ogni parola, e ti si sbatte dentro. Quando hai voglia del "mai scritto" arriva lui, il pirata, che ti toglie il fiato. E ti disorienta con quelle verità bastarde che oramai speravi rinchiuse da muri e da coscienze ben lavate. Lui usa le lettere per liberare brandelli di vita che non tacciono, e continuano. Lui ti si appiccica addosso con cose che inchiodano e che ammutoliscono, che ti ricordano di non sciupare nulla in questa vita, ché a sciuparti ci pensano già in abbastanza.”
Be’, intanto grazie per l’apprezzamento (è un apprezzamento, vero?). Io racconto storie ma sono molto attento allo stile. Sono stufo di leggere romanzi su romanzi di italiani e non riuscire a distinguere, nella maggior parte dei casi, chi sta scrivendo. Tutti schiacciati dalle logiche editoriali, stiamo svanendo, potremmo tranquillamente affermare “noi siamo uno”, tanto nessuno ci distingue. Io cerco di trovare una voce che racconti la mia storia con armoniche riconoscibili, talvolta questa voce la intendo prossima al silenzio, talvolta ha necessità di spostarsi su tre ottave.
Come intendi tu una frase, ossia con quali meccanismi – e quali intenzioni – la carichi?
Non c’è una ricetta. Strattono spesso a sangue la sintassi, faccio riferimento ai poeti miei amati, alle loro ellissi, e mangio le parole con la geografia della mia terra. Una frase nel mio dialetto è, molte volte, più densa di significato di quanto non sia la sua transcodifica in italiano. Per questo amo molto anche i dialetti (la lingua) sardi, capaci di chiudere un mondo in una sola frase.
Nelle tue opere notiamo spesso la tematica omosessuale e del disagio, anche mentale. Dicci…
Non so che dire. Da sempre, tutto ciò che è rappresentazione del sé e non affermazione del sé mi interessa. Facciamo, diciamo, ci muoviamo ‘come se fosse’ e non ‘per quello che è’. Quelli che chiamiamo pazzi si avvicinano alla loro natura più quanto facciano i sani. A tematica omosessuale, dici? Sì, in Acqua, in qualche racconto, ne Il Pallonaro (inedito), un monologo teatrale sull’omofobia… Davvero, non so cosa dire. Parlo di quello che conosco, questo sì. Questo non vuol dire che mi alleno sul divano per scrivere scene di sesso, né ammazzo mia madre per scrive Pozzoromolo, ma uno eredita anche percezioni e verosimiglianza tramite la sensibilità di fruizione. Altrimenti, scriveremmo tutti di amore e non ci sarebbe, che so, un Tolkien.
Qual è il tuo rapporto con il teatro?
Ne guardo un po’. Oggi si etichetta qualsiasi robaccia come ‘ricerca’. Io mi chiedo: ma che diamine deve cercare, nel 2012, ’sto teatro? Spesso si tratta di scimmiottamenti del living theatre o ingenuità narcissiche. Scrivo di teatro, sì. Ma nella mia idea è tutto un mischione di media e di concetti. Non so, il teatro italiano mi piace poco. Ricci/Forte, per esempio, mi piacciono, devastazione/infezione pura tra epoche e lallazioni pop. O delle cose del Teatro Valdoca, spesso vicine al teatropoesia.
E con la poesia?
Amore infinito.
Quali sono le tue letture – genere o autore – preferite?
Leggo di tutto, a parte guide turistiche (oddio, qualcuna sì). Ogni lettore (e, di conseguenza, ogni scrittore) ha i suoi autori-feticcio. Per me Agota Kristof, la Morante, Mariangela Gualtieri, Pasolini, Shakespeare, l’irraggiungibile Proust, o Sueskind, o Foscolo, ma anche McCarthy, Bennett, Foster Wallace, Bret Easton Ellis, un bel po’ di cose di De Cataldo, qualcosa di De Silva, Simona Vinci, o autori, diciamo, emergenti come un Sacha Naspini, poeti emergenti come una Rita Bonomo. Ce ne sarebbe da dire, qui…
Sembra che hai un rapporto speciale con la Sardegna. O sbaglio?
Ho vissuto quasi due anni a Sassari. La Sardegna mi riconcilia col mondo. Mi accoglie. Mi abbraccia. Mi fa sentire, una volta tanto, figlio e non padre responsabile sempre di qualcosa e di qualcuno. Ho più amici in Sardegna che in qualsiasi parte del mondo. Ho scoperto luoghi meravigliosi, gente meravigliosa, ho avuto modo di leggere scrittori bravissimi stando sulla loro terra, scrittori come Capitta, Atzeni, Savina Massa, per non parlare della Murgia (non so che farei per aver scritto io quei primi 5 capitoli di Accabadora), di certe cose di Fois o di Todde o di Niffoi, ma anche di Soriga (anzi due: oltre a Flavio, anche Paola ha esordito quest’anno con Dove finisce Roma), di Stellino, Angioini, Abbate, Marrocu, Ledda…
Cos’hai in cantiere per il futuro?
Esercizi sulla madre, Perdisa Pop. Esce a novembre. Sono disposto ad andare casa per casa, lettore per lettore, pur di farlo leggere. Un testo rifiutato da un bel po’ di editori perché ritenuto troppo complesso, pur apprezzandone la scrittura. Io ritengo che gli editori, oggi, vogliano la pappa bella e pronta. Non sanno e non vogliono lavorare sulla comunicazione. E capirai, presentare un romanzo anfibio sull’abbandono di un bambino poi rinchiuso in un ospedale psichiatrico, presentare un romanzo che parla di una madre che abbandona questo figlio, comunicarlo, diventa complicato se non ci sono trans che vanno a letto con politici, camorristi gay o petting spinto di almeno tre colori da poter sdoganare come ‘grande momento softerotico della letteratura’. Va così, e così ce la dobbiamo tenere? Non ci sto.
Allora, ti ringrazio per il tempo e per la pazienza e credo che sia il caso di ribadire: * Esercizi sulla madre: stay tuned. *
Grazie a te.