È che gironzolando per il web, soprattutto se si ha la passione (o la velleità, come nel mio caso) della scrittura, e ancor più della lettura, ci sono ottime possibilità di incontrare ottime persone. Poi ci si amica grazie al grande ruffiano che si chiama facebook et voilà. Ho conosciuto Carlo Sperduti nei meandri dei pixel e dei byte e abbiamo scambiato quattro chiacchiere. Eccolo.
Ciao Carlo, grazie per la disponibilità. Per rompere un po’ il ghiaccio, ti andrebbe di dirci qualcosa di te, tipo nascita, residenza, scuole e/o altri gossip personali?
Ciao Mario, e grazie a te. Dunque: sono nato nel 1984 a Roma, dove non ho vissuto fino agli anni dell’università. La prima parte della mia vita l’ho trascorsa in provincia di Frosinone. Lì ho frequentato un liceo scientifico e poi mi sono iscritto a Lettere e Filosofia trasferendomi a Roma. Per il resto, mi piace cucinare e sto tentando di imboccare strade alternative alle sette o otto ricette che mi riescono molto bene, per variare e ampliare.
Quand’è che hai deciso di prendere una penna e di scrivere, in quale occasione o circostanza?
Non posso dire che si sia trattato di una decisione: a meno che io non abbia rimosso altri episodi precedenti, ho scritto la prima cosa che somigliasse a un racconto durante l’ultimo anno delle superiori, per un piccolo concorso di classe a tema “Hiroshima” indetto dal mio professore di storia e filosofia. Ho scritto un’altra decina di cosette, in quel periodo, per poi smettere quasi del tutto e ricominciare all’incirca cinque anni fa.
Hai una produzione letteraria più che ragguardevole. Per prima cosa volevo chiederti cosa pensi del sistema editoriale di casa nostra e dei suoi meccanismi.
Penso che sia difficile orientarsi nell’editoria italiana per un sovraffollamento di editori e di scrittori o presunti tali (sia editori che scrittori) e per una dilagante mancanza di trasparenza; che le mie stesse prime mosse siano state superflue, contribuendo nel loro piccolo al sovraffollamento di cui sopra; che ci sia un numero inconcepibile di editori a pagamento; che la percentuale di editori di qualità sia molto bassa ma che quelli che ci sono fanno comunque ben sperare; che i criteri attraverso cui si pubblica questo piuttosto che quello spesso non hanno nulla a che fare né con la letteratura né con l’editoria propriamente intesa, ma soprattutto nulla a che fare con la scrittura, che è quella che m’interessa; penso che ci sia in generale poca attenzione nei confronti dell’intelligenza e che troppo spesso ci sia molta approssimazione in ogni fase di lavorazione di un libro. Penso che chiunque si occupi di scrittura dovrebbe fare ricerche approfondite, se vuole pubblicare, per capire quali siano gli editori davvero affidabili (non importa di che dimensioni) e proporre i propri testi solo a quelli. Io, dopo le prime esperienze, ho compilato una lista.
Quali sono i temi che prediligi?
Non prediligo alcun tema, nel senso che il mio interesse è rivolto più alle modalità di scrittura che ai contenuti, dunque se voglio scrivere in una certa forma scelgo un tema che mi sembra più adatto di altri a quella forma.
E quali hai trattato nelle tue opere? Ci fai un excursus?
Data l’impostazione che ho descritto, per forza di cose i temi che mi è capitato di trattare sono molto eterogenei. I primi che mi vengono in mente: musica, immortalità, frittura di pesce, cassette postali, alcol, modi di disturbare il prossimo.
Come ti poni nei confronti della critica letteraria e delle recensioni? O meglio, come ti sembra che i critici e i recensori si siano posti nei tuoi confronti?
Caterina fu gettata, un mio non-romanzo pubblicato da Intermezzi Editore, faceva sicuramente dell’ambiguità contenutistica e strutturale, nonché della confusione tout court, dei punti fermi della propria poetica, dunque mi aspettavo delle reazioni abbastanza variegate. In effetti molti ne hanno parlato come se si trattasse di un romanzo, cosa che da un lato annullava il mio discorso, dall’altra mi faceva pensare che il mio discorso non fosse poi così riuscito, o che non l’avessi espresso troppo chiaramente. Alcuni, invece, non hanno dato per scontato che si trattasse di un romanzo e ne hanno parlato in diversi modi. Qualsiasi sia la modalità di critica, mi interessa la sua coerenza interna, così come m’interessa quando si tratta di storie da raccontare. Se devi dirmi che sono un cretino, in poche parole, devi seguire una linea logica e portarla fino in fondo. Se lo fai e non ho obiezioni altrettanto convincenti, dimostri che sono un cretino e io ne prendo atto.
Sei anche editor. Spesso gli scrittori pensano di avere partorito un figlio perfetto, ma nella stragrandissima parte dei casi non è così. Cos’è quindi per te un editor?
In realtà non sono “ufficialmente” un editor, ma mi capita quasi quotidianamente di occuparmi sia di editing che di correzione di bozze su racconti brevi e, talvolta, su romanzi. Questo per vari motivi: gestisco un laboratorio permanente sul racconto presso un’associazione culturale; mi è capitato di curare un’antologia; ho organizzato un seminario su editoria e scrittura in cui avevo anche e soprattutto quel ruolo… insomma, le occasioni non mi sono mancate e continuano a non mancarmi. Non posso dire di essere estraneo alle resistenze che si oppongono di solito all’editing. Sicuramente rispetto ai primi tempi sono più consapevole e più autocritico: credo per il fatto di essermi trovato, appunto, dall’altra parte, ma l’attaccamento al testo non è del tutto svanito. Penso sia naturale tenere a ciò che si è scritto, e penso che quando si affronta un’operazione di editing l’equilibrio sia molto difficile da mantenere per entrambe le parti. Per me, forse banalmente, un editor è qualcuno che indirizza un testo o un autore verso il suo miglioramento senza tradirne le intenzioni o sconvolgerne le proprietà stilistiche. Non è uno che ti dice cosa devi fare, ma uno che ti dà indicazioni per capirlo autonomamente.
Hai indetto un piccolo contest, in cosa consiste?
L’agenzia letteraria Verba mi ha chiesto di prendere parte a un progetto che si svolge interamente sulla sua pagina facebook: la settimana Verba. In questo spazio ogni giorno, dal lunedì al venerdì, è gestito da una persona diversa con un diverso tema: con me ci sono Simone Ghelli, che parla di attualità attraverso la letteratura, Veruska Armonioso che si occupa di poesia, Massimo “Eternauta” (libraio) con i suoi consigli di lettura, Girolamo Grammatico che si occupa di linguaggio e agire sociale. Tamara Carloni cura la parte fotografica della pagina. Io gestisco la giornata di venerdì con il rubriconcorso “L’arena”, in cui pubblico racconti entro le 5000 battute, a tema libero, allo scopo di promuovere autori poco conosciuti o del tutto sconosciuti e di selezionare, a giugno, in base ai commenti del pubblico, un vincitore che avrà diritto alla valutazione gratuita di un manoscritto da parte di Verba.
Quale ruolo pensi che debba o possa avere uno scrittore nella società di oggi?
Penso che la scrittura sia camaleontica e possa dunque avere i ruoli e gli scopi più disparati a seconda di chi la utilizza. Nessuno, per me, è obbligato ad avere un ruolo preciso in quanto scrittore. A me è sempre piaciuto pensare la scrittura come una palestra del pensiero, in cui ci si allena a organizzare e accordare significati e significanti in maniera più o meno convenzionale, ma in ogni caso con un’estrema consapevolezza dei mezzi utilizzati (altrimenti addio palestra). Ciò vuol dire abituarsi a pensare sia nel dettaglio che in generale. In qualsiasi società o epoca si attui questo tipo di esercizio, non può che venirne fuori qualcosa di buono.
Ci sono autori o generi che invece prediligi nella lettura?
Sì: io sono un amante del racconto e delle strutture cristalline (e della distruzione di strutture cristalline), dunque ammiro molto Borges, Cortázar e Bioy Casares, da cui quasi inevitabilmente si va a finire a Calvino, soprattutto quello tra gli anni sessanta e settanta molto legato alla letteratura potenziale, di cui sono enormemente debitore: dunque Queneau, Perec e compagni. Tra le mie influenze francesi ci sono anche Boris Vian e Raymond Roussell e, cambiando secolo, sicuramente Flaubert. Mi piace molto Jules Verne. Amo poi, in ordine sparso: Poe, Stevenson, Melville e Gogol, soprattutto i racconti. Lo stesso vale per Kafka. Rileggerei in continuazione “Il maestro e Margherita” di Bulgakov. Non concepisco un mondo senza l’umorismo di Alphonse Allais e Achille Campanile.
Sei presente sul web in più contesti. Come ti poni nei confronti del web, quale valore gli conferisci?
Molto di quello che faccio con scrittura e dintorni passa principalmente per il web, dunque posso tranquillamente affermare che se non ci fosse il web non avrei fatto molto, o meglio avrei fatto cose diverse in modo diverso. Anche la stragrande maggioranza delle critiche di cui si parlava prima sono apparse sul web. Ciò non vuol dire che il web sia cosa buona e giusta in assoluto, perché credo che i suoi difetti e pericoli siano sotto gli occhi di tutti. Tuttavia non mi convince molto nemmeno l’atteggiamento di chi considera ciò che appare sul web come necessariamente di seconda scelta o poco attendibile. L’attendibilità o la qualità non sono a prescindere questioni di luogo o di mezzo, dunque non conferisco nessun valore particolare né al web, né alla carta stampata, né alla radio, né a qualunque altro mezzo. Sono tutti contenitori vuoti le cui strutture bisogna saper riempire in maniera opportuna. A me è capitato di riempire più spesso il web, tutto qua. Se la maniera è stata opportuna non saprei. Sicuramente mi piacerebbe conoscerlo meglio, perché sono più abituato a concepire la letteratura come una cosa che si stampa e si sfoglia.
Caterina fu gettata. Ce ne parli?
Come ho accennato, è un non-romanzo, nel senso che la “costrizione” a scrivere una storia più lunga di un racconto si è rivelata per me un’occasione di ironizzare sul romanzo stesso e farlo a brandelli: inventando una storia senza logica; utilizzando una voce narrante insopportabilmente compiaciuta e spesso criticata da altre identità attraverso note a pie’ di pagina; alternando a bella posta capitoli pedantemente descrittivi a episodi di sola azione; inserendo personaggi ed elementi totalmente gratuiti e surreali come il personaggio della buccia di banana parlante e sessualmente disturbata o le varie parole inventate di sana pianta e di cui non si spiega il significato. La trama è questa: Tommaso e Caterina vivono insieme e tutto fila liscio finché Tommaso, per sbaglio, non getta Caterina nella spazzatura. Caterina viene rapita da un barbone artista di strada espulso dal mondo degli immortali e sfruttatore di una buccia di banana. La ragazza scomparsa viene cercata a lungo dalla sua gatta Gnaca e da Elle, essere immortale che ha generato il mondo in cui la storia è ambientata in seguito a un sogno. Gnaca si rivelerà non essere solo una gatta ed Elle si rivelerà non essere solo un immortale. Nel frattempo Tommaso si è dato all’alcolismo e alle pulizie e racconta balle sul conto di Caterina. Tutti i personaggi convergeranno all’ippopodromo, un ippodromo per ippopotami, nel capitolo finale.
Cosa vorresti fare “da grande”? Ossia hai dei progetti nel cassetto o dei progetti particolari?
Per quanto riguarda la scrittura, ho pronte due raccolte di racconti e sto finendo di scrivere un romanzo dal titolo provvisorio “Le cose inutili”. In cantiere c’è anche un altro romanzo, di cui per ora ho scritto solo un paio di capitoli, che sarà incentrato sulle memorie di una seccatrice. Per il resto, c’è quel progetto della cucina di cui parlavo all’inizio.
Grazie Carlo, sei stupendamente surreale, ti faccio ogni augurio.