Come d’abitudine, anche quest’anno ho trascorso assieme alla mia famiglia una decina di giorni di vacanza in un bellissimo villaggio turistico sul mare, a Costa Rei, nel sud-est della Sardegna: spiaggia, bagni, sole, bungalow, piscina, divertimenti, animazione; il solito gruppo sgangherato di amici – tutti con prole, anche grande – provenienti da mezza Italia, che ogni anno si ritrova a fare zingarate fino a notte fonda (tanto che ogni anno ci aspettiamo di essere cacciati, quali ospiti non graditi, con ignominia dal villaggio).
E letture.
Sono venuto casualmente in possesso di Memorie di nebbia selvatica, [Sedizioni, 198 pagine] una serie di racconti scritti da tale Rossana Massa, maestra elementare alessandrina, e me lo sono portato in vacanza. Preciso che nessuno me lo ha ordinato, l’ho messo in valigia di mia spontanea volontà e di ciò mi assumo oneri e onori.
L’ho letto. E voglio parlarvene. Pronti? Si parte.
Spesso mi chiedo con quale criterio i soggetti che intervengono nell’edizione di un libro ne scelgano il formato. No, dico, perché anche il lettore deve essere preso in considerazione. Memorie di nebbia selvatica è in formato 10,5 x 21, praticamente un menù da pizzeria da asporto, stretto e lungo, ma con circa duecento pagine in mezzo. Lo si impugna con estrema difficoltà e lo si sfoglia con maggiore.
Sulla copertina campeggia una foto d’epoca, in bianco e nero, che ritrae un uomo e una donna sorridenti e che l’autrice dal canto suo ben si è guardata dal presentarci, ma sorvoliamo. Sorvoliamo pure sugli innumerevoli errori tipografici e refusi (comprese le numerosissime “d” eufoniche lanciate a caso), sorvoliamo anche sullo stile narrativo, che spesso contempla periodi a dir poco farraginosi, sorvoliamo infine sulle perle di saggezza, di psicologia spicciola e di sociologia casereccia del tipo “ah una volta era, sì, tutto più bello e diverso, però adesso che ci penso forse non lo era”, ma è innegabile che su ciascuna di quelle duecento pagine aleggia una tristezza, un grigiore, un piangersi addosso, un pessimismo cosmico della serie: “ah, nessuno ha mai capito nulla”, che verrebbe voglia di chiuderlo a pagina quindici e correre alla lezione di bachata sulla spiaggia.
E non mi si venga a dire che si tratta di una cosa voluta perché attinente alla nebbia, ché non siamo in presenza di Stephen King.
Ho suddiviso i racconti del libro in autobiografici e generici.
Nei racconti autobiografici, l’unica bella, intellettuale, studiosissima, interessante, ben curata, pettinatissima, elegante, affascinante, nobile d’animo, sempre misurata, sensibilissima, ingioiellata solo con monili veri – mai bigiotteria -, che ha sempre ragione, è lei: l’autrice. Tutto il resto, tutto ciò che non è lei, è nulla, noia, rovinosa banalità, inconsistenza, stupidaggine allo stato puro: famiglie infelici, mogli cornificate, ragazze arriviste, giurie di concorsi composte solo da cialtroni che non tributano i giusti onori e delicatessen simili. Solo la sua, quella della scrittrice, è VITA, giusta, per non dire perfetta, senza compromessi, e per tutto ciò che di spiacevole le è successo è da incolpare l’intera umanità, che non le ha mai riconosciuto l’importanza regale che (solo) lei è convinta di avere. Gli uomini che ha descritto – e, presumo, incontrato o conosciuto – sono tutti arrivisti, sporcaccioni, immorali, pelandroni e stupidi, tranne quelli della sua famiglia o quelli che l’hanno, anche solo casualmente, elogiata. Tutto ciò che ella ha raggiunto, o avuto, nella e dalla vita è – sempre a suo dire – oltremodo prezioso, mentre quando racconta di ciò che non ha avuto (o potuto avere) ricorda tanto la volpe e l’uva. Questo è il succo delle pagine autobiografiche.
Nei racconti generici, invece, la Massa rappresenta episodi, situazioni, movimenti e mode spacciandoli come tipicamente alessandrini (il libro stesso pare sia un omaggio alla città di Alessandria), senza sapere che storielle simili sono universali e non hanno nulla di particolare né di tipico, sebbene infarciti di tanto in tanto con frasi dialettali, nel vano tentativo di dar loro un po’ di fascino; ma d’altro canto una persona che, per sua stessa ammissione, non è mai uscita dalla propria città, fatte salve rare e inconferenti occasioni, non può fare diversamente.
Sono raccontini riferibili a qualsiasi cittadina, forse qualche alessandrino potrebbe pensarla in maniera diversa, ma la sostanza non cambierebbe.
Corna, tradimenti, balletti promiscui & cose affini, poi, la fanno da padroni nella maggior parte dei racconti, probabilmente la scrittrice (che sembra prediligere molto tali argomenti, che altrove verrebbero bollati come gossip di bassa portineria) non sa che al mondo sono sempre esistite anche famiglie “normali”, oltre alla sua, naturalmente, e che tali intrighi, così come le famiglie “normali”, sono rinvenibili pressoché in qualsiasi posto del mondo, anche fuori Alessandria. Idem dicasi per gli uomini in gamba.
L’ultimo racconto è la ciliegina sulla torta (una di quelle torte fatte in casa, però, con le bustine, che si tenta di gabellare come di altissima pasticceria dopo averla arricchita con delle mentine e qualche ricamino di nutella e panna montata): un racconto pornografico. Terribile.
Ecco come giustifica la sua scelta: “Tanti bravi scrittori di romanzi, ad un certo punto della storia, inseriscono la dettagliata cronaca di un rapporto sessuale. E che ci vuole? Basta aver praticato qualche volta. Se difetta la pratica aiuta la grammatica, il porno, che orami è casereccio.”
Quindi, chiederete voi, lei si reputa una brava scrittrice di romanzi? Ma sì, certo! Già nei racconti autobiografici lasciava intuire di essere convinta di avere anche questa qualità. Ci sarebbe comunque da chiedersi quali siano questi bravi scrittori di romanzi – con velleità porno – ai quali ella si sente affine e quindi autorizzata a copiarne il plot narrativo.
Ma su una cosa non riesco a sorvolare: sulle memorie.
Una persona scrive memorie quando ha condotto una vita sotto qualche aspetto degna di nota, quando ha qualcosa di interessante da raccontare all’umanità, quando ha accumulato un bagaglio di esperienze di pregio. Ma cosa ha spinto la Massa a raccontarci tali memorie? Cos’hanno di interessante? Devo ancora capirlo. Forse vuole far sapere, nella speranza di essere invidiata da tutti, che conosce l’identità di colui, rimasto nell’anonimato, che anni fa pitturò le parti intime di una statua rappresentante un cavallo in una piazza? Capirai il gran segreto di Stato! Se lo sa lei – che si propone come donna schiva e sempre afflitta da un nobile senso di tedio verso la volgarità della carne umana – come minimo il nome di quel pittore burlone lo sanno anche le pietre.
O forse le ha scritte per dirci di quella volta che un passante la lodò perché leggeva il giornale seduta su una panchina? O forse per renderci edotti di quell’altra volta che un nervosissimo quanto spocchioso dirigente del PCI la guardò ripetutamente? O forse, ancora, per far sapere al mondo che si è diplomata a pieni voti ed è riuscita ad avere la cattedra al primo colpo? O per informarci che, pur essendo nata gattara, nella sua vita ha avuto anche dei cani? O magari per metterci al corrente che qualche volta – lei, bionda naturale – si è fatta la tinta rossa ai capelli?
Chi lo saprà mai.
Sorvoliamo sulla biografia (ve la risparmio) e percorriamo allora assieme la quarta di copertina, vediamo se otteniamo qualche notizia in più.
“Sono ricordi senza pudore, lo so.
Mah, a me sembra piuttosto una lunga serie di déjà-vu, nonostante lo sforzo – vano – di dar loro una connotazione sociologica o di inquadrarli in argomentazioni storico-filosofiche (come ad esempio l’analisi fai-da-te sugli anni sessanta).
Memorie di un posto provinciale e tra due fiumi, senz’ombra di retorica, ma trovala, l’ombra, in pianura.
Eh?
Tra due fiumi non ci può essere che nebbia e quella già nasconde a sufficienza anche quello che il cuore strilla.
Boh.
L’importante è farlo muti, come vuole la riservatezza piemontese, ma senza riserve, che l’ipocrisia arruola già fin troppi adepti e la sostanza della vita non cambia.
Ma è importante fare muti cosa??
Anche tra gente in fondo un po’ selvatica.”
Ecco, ora è tutto più chiaro.
Potrei scrivere pagine e pagine su questa specie di libro, ma mi limito ad auspicarne l’abbandono in un posto super nebbioso acché nessuno lo possa rinvenire.
E qui concludo.