Luana Farina, in arte Amantia Martinelli (e un giorno dirò anche del perché di questo alias), ci ha provato e secondo me - essendo lei una delle poetesse più bastardamente brave del panorama non solo sardo - non poteva centrare meglio l’obiettivo: ha provato a riesumare Pasolini componendo la Ballata dei padri. Già dalle prime righe ho associato il termine “ballata” al termine “balla”, che in sardo rappresenta il pallettone del fucile. Una “ballata”, una pioggia di pallettoni, meritati, su tutti noi, è ciò che scaturisce da quest’opera che, sulla falsa riga della più famosa Ballata delle madri. Colpi sparati per venirci a chiedere se ci rendiamo conto di essere tutti bastardi. Io direi di sì, lo siamo, sia moralmente sia fisicamente, perché non facciamo nulla per differenziarci da quel fil rouge che ci lega al nostro passato e a chi, padre o non padre, biologico o non, ci ha preceduto. Perché il concetto di bastardo, purtroppo, è maschile, rischio di cadere nel banale ma mater semper certa est pater numquam…
Una ballata in cui la simmetria, apparente, tra padri e madri in realtà è asimmetria con pari carico di colpe, due elementi complementari che, come in un mosaico, per reggersi devono trovare sponda anche nei figli. Un circolo vizioso, un corto circuito in cui il collegamento con Io so i nomi dei colpevoli ma non ne ho le prove nasce con più forza a rafforzare il concetto di bastardo.
Dov’è la scollatura? Dov’è esattamente il punto di rottura della memoria? E perché madri simili trovano sempre degni padri? E quei figli a loro volta diventano padri.
E perché il fil rouge della bastarderia deve sovrastare, annullare, ogni altro rapporto e vanificare l’esempio di chi della bastarderia non ne vuole sapere?
Padri e madri ballano con la felicità del coccodrillo sazio e che sa che si sazierà, tanto poi le coscienze si possono sempre lavare.
Togliamoci le fette di prosciutto dagli occhi e mangiamole, prima che imputridiscano di più, potrebbero essere le ultime prima della rivoluzione, quella vera, quella che spazzerà via i bastardi e le loro ballate grottesche.
Questione di tempo e di nemesi.
L’affetto che lega l’autrice alla sua famiglia è risaputo e quest’opera la dice lunga sulla percezione delle imposizioni di Stato che quotidianamente ci rubano tutto il rubabile.
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