Uno dei quesiti, credo, più difficili in assoluto, meglio lamentarci, si va sul sicuro. Tuttavia, le risposte, in via ipotetica, potrebbero essere le più disparate: soldi, un bel lavoro, tanti amici, tante donne, tanta salute, tanto tempo libero, poche noie, anzi nessuna, tanto fascino, eleganza, pace, serenità, una fattoria…
E Nick? Cosa lo fa stare bene? Nick è il protagonista del romanzo di Solo perché ti senti bene, il romanzo di esordio di Salvatore Gagliarde [Segmenti, 2017].
In una sorta di diario, poco puntuale, ma comunque sempre completo, Nick ci racconta la sua vita che sembra svolgersi in una sorta di piacevole altalena: un lavoro di prestigio, ottimamente retribuito e una vita sentimentale abbastanza fortunata o, a seconda dei punti di vista, molto disordinata. Tanti amici e tante amiche.
Una sorta di sindrome di Peter Pan in versione sentimentale.
Nick non è un improvvisato, né un dilettante. Lui è un manager, un maschio alpha, un tipo molto selettivo, come ama definirsi. Si è costruito, non senza fatica e impegno, una bella vita di cui non ci nega i segreti. Conosce benissimo i meccanismi della psiche umana e sa come usarli a proprio vantaggio. Anche se sembra volteggiare sulla vita e a gestirla da padrone, Nick si impegna seriamente per dare e avere il meglio, da bravo uomo di sostanza, senza lasciare nulla al caso; un tipo determinato, insomma, non è un improvviatore, ammirato – quando non invidiato – da uomini e donne. Conosce alla perfezione, in quanto scritti nel suo sistema operativo, come lui stesso ci confessa, la maggior parte dei riti sociali, di cui riesce a giovarsi in ogni occasione, sia professionale, sia privata. A volte un po’ fastidioso, ammettiamolo, un po’ troppo saputello, un po’ troppo sicuro, un po’ troppo figo, ma ecco dove sta il punto: lui sa benissimo cosa vuole, come ottenerlo e come gustarlo, ma non hai mai preso in considerazione cosa NON vorrebbe. Ed è proprio quando si trova a cozzare contro l’imprevedibile, contro il suo alter ego abituato a frequentare con piacere i suoi stessi postacci, che qualcosa si sfibra. Sì, ma cosa? Non riesce a capirlo, o forse sì ma metabolizza in fretta, e si ributta, un po’ zoppicante, nella sua vita (dis)ordinata e/o (s)fortunata. Ma nulla è più come prima. Dalle righe del suo diario, si capisce che era proprio quella cosa imprevedibile – alla quale non riusciva a pensare – che forse avrebbe potuto finalmente dare un senso ai giri dell’altalena su cui si ostinava a sedere in balia, per usare le sue parole dell’ancestrale danza della seduzione.
Alla fine resta una domanda alla quale Nick, nonostante la sua ostentata sicumera, non riesce a dare una risposta: la capacità di attrarre e di sedurre può essere sufficiente a trasformare un colpo di fulmine in una relazione?
E dire che gi sembrava di avere in mano il mondo.
Un’opera ben fondata, frutto di studio, mai banale, con interessanti spunti di riflessione di diversa matrice, e scritta con uno stile lineare e incisivo. Se non fosse uscita da una penna maschile, si potrebbe pensare a una sorta di femminismo gratuito ed è proprio qui il pregio dell’opera: il coraggio e la sincerità della confessione autoriale elevata a totem, a simbolo dell’ego alpha. Un j’accuse prezioso.
Quindi è chiaro che Nick fa – e cerca – tutto ciò che lo fa stare bene, secondo lui. Ma nel suo dna non è implementato il drive principale.
Ed è alla fine della lettura che si riesce a dare un senso alla frase di apertura: “Anche i personaggi sono da considerarsi frutto di fantasia. Tutti, tranne uno.Quello in cui ti riconosci tu”.