A cosa serve? Boh, però il loro sito internet è molto bello (quando funziona). Se volete approfondire cliccate pure qui e qui, la siora Beretta Mazzotta può essere d’aiuto. Se poi non vi fidate, potete anche leggere cosa ne pensa Christian Raimo (in un pezzo che s’intitola Di chi è la colpa della crisi dell’editoria) oppure, ancora, leggere cosa se ne dice su Minimaetmoralia.
Da quello che ho capito non serve a nulla e, in compenso, è molto costoso, però io spesso capisco le cose a rate.
Da poco ci è piombata tra capo e collo una notizia folgorante: il Signor Ministro Franceschini ha annunciato solenne di voler istituire la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Una cosa di cui c’era davvero un gran bisogno, un elegantissimo magazzino in cui confluiranno quintali di poVesie su carta glitterata con cuori disegnati sulla sabbia al tramonto, fiumi di manoscritti rifiutati anche dalle case editrici a pagamento più spietate, temini delle elementari rilegati con fili di rafia fluo su conchiglie raccolte direttamente dalla spiaggia di Santa Teresa di Gallura durante una notte di luna piena, eccetera. Una cosa utilissima, non trovate? Chilometri quadrati di parole selvagge in font tipografici mutanti, sfuggite a ogni controllo e a disposizione di tutti (e sai la fila di persone – magari pure paganti – che vorranno leggerli! Ehh).
Considerata la produzione odierna, credo che quella Biblioteca si riempirà in meno di mezza giornata, dopodiché inizierà una guerriglia urbana. Orde di poVeti e di poVetesse dalla penna prolifica si barricheranno nei locali con le loro sillogi, dopo avere preso i 26 dipendenti in ostaggio, mentre fuori tir stracolmi di fantasy da 835 pagine ciascuno, e di romanzi d’amore ombelicale freschi di fotocopieria, bloccheranno il traffico. Tutti scapigliati e in preda del sacro fuoco dell’arte, saranno indispettiti per l’esiguo spazio concesso ai loro capolavori che meriterebbero di essere alloggiati in quella che sembra voler diventare la Nuova Biblioteca di Alessandria d'Egitto (e che rischia di fare la stessa fine). Certi autori, se si sentono esclusi o sminuiti, sono peggio dell’Isis.
Ma il bello deve ancora venire: sapete chi dovrebbe gestire questa gigantesca Biblioteca? Esatto, proprio il Cepell. Ora, gli obiettivi del Cepell sono: “divulgare e promuovere, in Italia e all’estero, il libro, la cultura e gli autori nazionali”. Chiunque capisca un poco, ma proprio poco, di letteratura e di editoria, si chiederebbe quale utilità potrebbe avere raccogliere tutti quegli inediti e, a maggior ragione, come potrebbe il Cepell rendersi utile una volta in possesso di tale coacervo cartaceo. Forse aprendo una fabbrica di coriandoli? Ma no, su, dai, siamo seri.
Ma, dico io, se lo si definisce già in partenza inedito, ossia non divulgato per mezzo della stampa - non reso ancora di dominio pubblico [cit. vocabolario Treccani], perché contraddirsi in termini ed esporlo al fine di renderlo, di fatto, edito? Abbiamo un nuovo genere, *l’inedito che è anche edito al contempo*?
In quel centro per il libro e la lettura dove saranno i libri? E chi mai li leggerà?
Mistero.
Per farvi un’idea dell’infaticabile e indefesso lavoro del Cepell, vi basti sapere che durante il Salone del Libro di Torino, è stato scritto UN tweet. Solo uno. Tutta l’attività svolta durante quei cinque giorni, nei quattro padiglioni – quasi cinquantamila metri quadri di superficie – nelle 27 sale convegni, con 330mila visitatori, 1.200 editori, più di 1.200 incontri e dibattiti è stata abilmente condensata in UN solo tweet. Che bravi, nevvero?
Invece durante la campagna #ioleggoperché, ne hanno prodotti ben DUE.
Immaginatevi il sudore della fronte che cola sui pavimenti di quella villetta.
Un gran lavoro insomma, chissà se, e come, al Cepell riusciranno a gestire tutto il materiale della Biblioteca dell’inedito e come concilieranno la loro missione che parla di libri con la carta stampata che riceveranno. E chissà, oltretutto, cosa pensano sia un libro.
Però, va ben.
Fatto sta che quei 26 impiegati percepiscono uno stipendio, che quella villetta ha dei costi di gestione e che la situazione dell’editoria in Italia è a dir poco zoppicante, quindi Signor Ministro Franceschini, glielo chiedo col cuore e con l’anima: chiuda il Cepell (o veda un po' di trasformarlo in qualcosa di più proficuo, che possa rispondere a un semplice Cui prodest?) e rinunci alla Biblioteca dell’inedito, dia retta.
E tu avventore che hai letto fino in fondo: fai girare questo appello.