Su Senzaudio ci sono libri, interviste e altre cose interessanti. Non c’è l’audio, non c’è vociare inutile, non c'è l'apostrofo. C’è lo spazio per l’essenziale e c’è il Patron: si chiama Gianluigi Bodi e ha accettato di rispondere ad alcune domande
Eccovelo.
Ciao Gianluigi, grazie per la disponibilità. Iniziamo con la domanda di rito: ci racconti col minor numero di parole, il maggior numero di cose su di te, gossip compresi?
Ciao Mario, figurati, grazie a te per avermi chiesto questa intervista. Veniamo alla tua prima domanda. 41 anni, una volta belloccio. Reduce da una brutta broncopolmonite. Sposato e con figlio. Sono sempre insoddisfatto, ho sempre bisogno di stimoli nuovi.
Il tuo litblog è basato su una parola che mi è subito piaciuta: “senza”. Come mai questa scelta e, soprattutto, come mai la decisione di aprire un litblog?
Sai, mi fa strano anche sentirlo chiamare litblog. Perché è un’etichetta e a me le etichette non sono mai piaciute, ma considerando che è un blog e che pubblichiamo contenuti che hanno a che fare con la letteratura, direi che stavolta mi tocca farmela andare bene. Il nome “Senzaudio” arriva per caso. In quel periodo mio figlio era piccolo, aveva circa quattro mesi. Dormiva poco e soprattutto aveva bisogno di un costante contatto fisico. Mi trovavo a starmente per ore sul divano con lui appoggiato sul petto. Però non è che potessi dormire anche io quelle venti ore al giorno, per cui ho iniziato a guardare la TV per passare il tempo. Non volendolo svegliare la guardavo con il “mute” inserito. Sai cosa? Ho scoperto che alcune cose le capivo meglio senza l’audio. Quando ho dovuto decidere che nome dare al sito che avevo in testa mi è sembrato naturale esprimere questo concetto. Devo essere onesto, sono felice della scelta. Non me ne sono ancora stufato e forse, per un blog che parla di libri, ha anche un nome originale.
Ci parli di Senzaudio?
Da dove iniziamo? Iniziamo sempre da mio figlio. Come ti ho detto prima aveva pochi mesi. Era un periodo davvero emozionante, tutto era nuovo per lui e anche per me. Non posso dire che sia stato un periodo facile. Emotivamente, per tutta una serie di motivi, ero a terra. Allora mi sono detto “facciamo qualcosa che non ho mai fatto”. Inizialmente Senzaudio doveva essere un magazine narrativo. Avevo dei modelli che volevo omaggiare. Volevo che si pubblicassero dei pezzi che narrassero gli eventi dell’attualità. Sport, politica, costume, cultura, etc. Avevo chiesto a persone che conoscevo solo sui social se avevano voglia di scrivere sul mio blog. Il primo nucleo è nato così. Poi le cose sono cambiate lentamente, i collaboratori sono entrati ed usciti, il nucleo iniziale non esiste più. Sono l’unico superstite.
Come siete strutturati?
Temo di deluderti. Non c’è una vera e propria struttura. Ho un rapporto stretto con tutti quelli che scrivono su Senzaudio. A volte sono loro a propormi delle recensioni, a volte propongo io un libro a loro e, se lo ritengono buono, ne scrivono un pezzo. Un paio di volte ho cercato di dare una pseudo struttura, regolare un po’ le uscite, ma mi sembrava che la cosa togliesse un po’ di spontaneità al sito. Lascio molta libertà ai collaboratori. Collaboratori ai quali devo tutta la mia gratitudine e che in tempi di crisi hanno tenuto in vita il blog, mentre io ero impegnato a fare altro. Non posso fare i nomi di tutti perché sono davvero tanti, però nutro della riconoscenza per ognuno di loro.
Cosa significa per te recensire un libro?
Per me significa portare fuori qualcosa che è dentro di me. Un libro deve essere in grado di risvegliare una parte sopita. Deve essere in grado di risvegliare delle emozioni, delle sensazioni. Non necessariamente positive. Quando scrivo una recensione cerco sempre di metterci qualcosa di mio, in modo che io e il libro ci mescoliamo sulla pagina. Non penso sia nulla di originale, ma è il solo approccio che conosco. Se dovessi recensire in maniera rigida e impersonale mi stancherei presto. In realtà mi piace mescolare la mia biografia, sia reale che fittizzia, con ciò che mi ha regalato il libro. Per un periodo avevo anche creato un alter ego a cui avevo dato il nome di Lars Keniota, ma la cosa non ha funzionato.
Ritieni che, più in generale, le recensioni siano un dovere da parte di chi ha gli strumenti per scriverle?
Niente è un dovere. Almeno, niente che abbia a che fare con le recensioni. L’unico dovere, forse, è quello di esprimere con sincerità le proprie opinioni essendo consapevoli che il rischio di dire una montagna di sciocchezze è elevato. Alla fine, una recensione, almeno nel modo in cui la vedo io, è anche un’interpretazione che non sempre collima con lo scopo principale dello scrittore. Credo di aver preso parecchie cantonate in passato, ma sono stato fortunato perché nessuno scrittore me l’ha mai fatto presente. Poi tu parli di “strumenti” e francamente non so se io possiedo questi “strumenti”. Credo dipenda molto da cosa ci si aspetta che sia una recensione fatta bene, quali criteri deve rispettare, cosa deve comunicare, a chi lo deve comunicare e via di seguito. Io non credo di fare bene le recensioni, io credo di farle nell’unico modo che mi risulta naturale.
Avete dei parametri particolari o delle linee guida interne per decidere quali libri recensire, oppure lo staff è libero?
Come sai Senzaudio ha un occhio di riguardo per quella che viene definita editoria indipendente. Quindi, cerchiamo di dare la precedenza ai libri pubblicati dalle piccole e medie case editrici. Però, siccome l’idea è quella di pubblicare recensioni di libri che ci sono piaciuti, a volte capita di recensire anche libri che non avrebbero sicuramente bisogno di Senzaudio per essere letti dal grande pubblico (sempre che ci siano libri che abbiano bisogno di Senzaudio per essere letti). Posso aggiungere che, nonostante ci siano più collaboratori interessati allo stesso libro, non recensiamo mai la stessa opera più di una volta. Non è un dogma, per cui potrebbe anche capitare che in futuro un libro trovi due recensori davvero intenzionati a parlarne. Sia, quei colpi di fulmine che non possiamo controllare. Per ora quando un collaboratore ha voglia di dire qualcosa su un libro che è già stato recensito, “dirottiamo” il pezzo sulla pagina Facebook di Senzaudio.
Cosa pensi delle cosiddette stroncature e come vi ponete come redazione di fronte a esse?
La frase che rispecchia la filosofia sulla quale ho costruito Senzaudio è: “Quando non mi piace qualcosa trovo sia sufficiente circondarla di una generosa dose di silenzio”, di Donald Barthelme. A un party si sono incontrati lui e Raymond Carver. Carver aveva da poco pubblicato una recensione su un libro di racconti di Barthelme. Una recensione poco lusinghiera, pare. Barthelme gli si è diretto contro e senza fermarsi gli ha rivolto quella frase
Noi non pubblichiamo stroncature. Io non ne scrivo e i collaboratori del blog non me ne sottopongono, perché sanno che non le amo. Per trovare una scappatoia al motivo per cui non ne voglio pubblicare, potrei dirti che non mi sembra il caso di perdere tempo a scrivere un pezzo su un libro che ci ha già fatto perdere del tempo per leggerlo. Però, se mi chiedi cosa penso delle stroncature in generale ti dirò che le trovo molto utili e molto divertenti da leggere. Sono molto divertenti anche i commenti alle stroncature, perché spesso non colgono il punto e iniziano una guerra santa tra supporters e denigratori di quello scrittore e quella scrittrice. Pare che non ci sia più la capacità di sostenere un dialogo su posizioni divergenti senza farlo diventare una polemica. O che non si riesca più ad accettare una critica. Non so di preciso il motivo, ma sui social moto spesso si ha l’impressione che chi urla di più abbia vinto e a me francamente la cosa non piace. Mi piace l’idea di avere uno spazio sereno in cui confrontarsi, ma al momento non credo ce ne sia la possibilità. Chi ne sa più di me ti direbbe che, in ogni caso, l’arte della stroncatura si è persa.
La seconda parte dell'intervista è qui.