Premetto che si tratta di uno dei più bei libri che io abbia mai letto. Una raccolta di racconti, tramite i quali si zooma su alcuni elementi della nostra vita quotidiana per analizzarli e far emergere particolari impossibili da notare a occhio nudo, sia per la nostra risaputa e proverbiale distrazione, sia per le loro eccezionali peculiarità. L’autrice zooma su un elemento qualsiasi, credo le vengano in mente a caso, e ci entra dentro, lo abita, lo ispeziona, lo tocca, lo demolisce, lo ridimensiona. Ad esempio si interessa di una penna, dei ripensamenti, degli sprechi, della parente povera, del bosco, della panchina, e via dicendo. Riesce a farsi da tramite, a connaturare la propria scrittura con ciò che è andata a esplorare e a renderne conto con risultati affascinanti, in cui filosofia, immaginazione e trasfigurazione si amalgamano in una sorta di trasposizione filosofico-materica. Questa attività spesso arriva a risultati decisamente lontani dalle nostre convinzioni, ossia dai luoghi comuni che, oramai, impestano un po' tutta la nostra esistenza. Una serie di attività e di considerazioni geniali che lasciano sbalordito il lettore, al quale viene svelata una microrealtà, a sua volta dalle infinite sfaccettature.
La quarta di copertina ci informa subito che: “Queste sono narrazioni dischiuse a mo’ di finestrelle, su un orizzonte in continua mutabilità. Procedono, trascorrono, si dispiegano in preludi, vengono incontro a chi le interpreta come breccia per accedere ad altri panorami interpretativi. Si espongono con caparbio, sciolto disordine, senza proporre soluzioni, certezze, né definizioni. Sono solo richiami, modulati per indurre in tentazione: la tentazione di ascoltarle”. E la tentazione di leggerlo e rileggerlo, questo piccolo capolavoro, è irresistibile.