Ciao Chiara, grazie per la disponibilità. Iniziamo con la domanda di rito: ci racconti col minor numero di parole, il maggior numero di cose su di te, di dove sei, dove abiti, gossip compresi?
Lettrice (però pure io, lo confesso, ho pubblicato), milanese (origini meticce: un po’ romana, un po’ polacca, un po’ boh), editor, giornalista pubblicista, curiosa, mamma dal 2011, figlia dal ’77. Libri, film e musica sono la triade indispensabile per un buon vivere a cui aggiungo ciboevino, tutto attaccato perché uno senza l’altro è uno scherzo di cattivo gusto. Amo anche la fotografia e il design perché mi pace l’idea di un oggetto che è un pezzo d’arte ma è prodotto in serie (sì, mi garbano le contraddizioni). Non potrei vivere senza la tecnologia e finché capisco a cosa servono le nuove diavolerie, forse, sono ancora giovane. E non potrei vivere senza lavorare… Il mio patrimonio? Il capitale sociale: le persone speciali che allietano il mio cammino, quelle che mi insegnano un mucchio di cose interessanti e quelle che mi sopportano.
Sei una editor, c’è gente che non sa cosa faccia un editor, ce lo spieghi?
Hai presente il personal trainer? Ecco io sono il trainer dei personaggi e delle storie. Essendo una editor freelance non lavoro all’interno di una casa editrice, perciò da un lato mi occupo di scouting (leggo e valuto manoscritti per gli editori ma soprattutto per gli agenti letterari) e dall’altro collaboro con gli autori, cioè li aiuto a mettere a punto la storia che vogliono raccontare. Non scrivo per loro, sia chiaro: un editor dovrebbe segnalare quello che manca (e che l’autore dovrà scrivere/elaborare) e migliorare ciò che già c’è.
Qual è il tuo percorso, come sei arrivata a questa professione?
Dovevo diventare una psicologa ma dopo tre anni di tirocinio ho capito di essere fuori strada. Non sarei stata né adatta né felice. E mi sono fermata. Per un anno ho svolto diversi lavori per mera sopravvivenza (in casa hanno accettato con garbo il mio cambio di strategia approvandomi e… tagliandomi i viveri!). Poi per una serie di coincidenze ho iniziato a lavorare per Renzo Martinelli, il regista, e in pochi mesi, da un lato le sceneggiature dall’altro i corsi dello scrittore Raul Montanari, mi hanno indicato la via. Volevo occuparmi di storie. Come, però, non mi era ancora chiaro. Nel frattempo ho iniziato a lavorare in un service editoriale – correttrice bozze prima, redattrice poi – e contemporaneamente collaboravo con alcune case editrici leggendo, valutando testi italiani e stranieri e facendo correzioni bozze che alle volte “sforavano” nell’editing. Parallelamente continuavo anche il percorso “cinema”, collaborando con alcuni produttori (anche in questo caso leggevo e valutavo ma si trattava di script). Passano gli anni e nel 2006/2007, nell’ordine ho:
- pubblicato un romanzo con due colleghi e amici del corso di scrittura – Pepa Cerutti e Antonio Spinaci (Voice Center, Zelda Zeta, Cairo) – esperienza che mi ha permesso di inquadrare le problematiche che un autore esordiente si trova ad affrontare;
- capito che scrivere (narrativa) non mi interessava quanto mi interessava leggerla, non ho alcuna velleità a riguardo;
- lasciato un posto a tempo indeterminato (all’epoca si poteva fare senza sentirsi dei pazzi criminali);
- creato Punto&Zeta, la mia agenzia editoriale, con Pepa Cerutti. Qui abbiamo fatto fruttare le esperienze maturate e soprattutto abbiamo potuto collaborare con i professionisti incontrati negli anni. La libera professione richiede equilibrismi notevoli ma regala pure grandi soddisfazioni.
Insomma dire che sono arrivata a fare l’editor è esatto, nel mezzo c’è stato molto altro. E continua a esserci.
Come vengono presi i consigli di editing dall’autore? È più facile che si apra una lotta o la cosa è più indolore”?
Un editor è come uno psicologo (tutto torna!): l’autore si deve fidare e deve sentirsi al sicuro. L’editor solleva dubbi, evidenzia problemi e aspetta che l’autore elabori il tutto a modo suo, trovando la propria via. Quando mi accorgo che un autore prende di punta ogni suggerimento, gli consiglio di lasciar perdere (me, non il lavoro!). Se accoglie tutto, gli consiglio di essere più deciso. Ci sono idee che vanno tutelate, anche dal proprio editor, altrimenti il tuo lavoro rischia di essere snaturato. Comunque, di solito, i problemi di comunicazione emergono molto prima e, nel caso, ognuno prende la propria strada.
Tieni anche una rubrica radiofonica: “Libri a Colacione”. Cosa ci puoi dire a tua discolpa?
Tutto merito di Marco Galli! Mi ha proposto questo spazio e io l’ho occupato con gioia. Perché gli spazi vanno occupati, se credi di avere qualcosa da dire. Volevo che fosse pop, per nulla polveroso, pensato per i lettori, certo, ma soprattutto per tutti quelli che leggono poco, che non hanno molto tempo, che entrano di rado in libreria e quando lo fanno non sanno decidersi. Volevo che questa mini-rubrica non intimorisse chi non legge e incuriosisse un poco chi ritiene i libri una noia mortale. Perché chi legge spesso i non lettori li fa sentire inferiori, sbagliati. Il mio sogno non è far leggere tutti – perché, diciamolo, mica è obbligatorio! – ma far provare tutti. Un conto è dire che alla lettura si preferisce il cinema, la musica, una passeggiata, altro che leggere è noioso senza averlo mai fatto.
Cosa deve avere un’opera per convincerti ?
Una idea, una idea che si fa storia e la voce giusta per raccontarla (le parole sono importanti è bello trovare un autore che le sceglie con cura). Quando incappo in una triade così festeggio!
Domanda provocatoria: cosa pensi dell’editoria a pagamento?
Editoria a pagamento è un ossimoro. Il prodotto di una scarsa informazione o di un disturbo narcisistico (l’ho scritto io/parla di me/io sono interessante/devo pubblicare) e pure di entrambe le cose. È una occasione mancata di risparmiare dei soldi o impiegarli meglio. Se vuoi essere preso sul serio, devi scegliere persone serie. E se vuoi pubblicare, devi approdare a un editore che venda libri ai lettori non che si faccia pagare dagli autori.
Statisticamente, quanti manoscritti “validi” ricevi e quanti potrebbero esserlo solo per motivi “commerciali”, ossia senza alcun apporto alla narrativa e alla letteratura?
Pochissimi dattiloscritti sono validi. Su cinquanta-sessanta valutazioni annue, cinque o sei sono interessanti. Io cerco di identificare proposte che abbiano una dignità e una solidità perché un agente non ha tempo da buttare dietro a testi che vanno riscritti. Proposte che abbiano una identità, cioè di cui capisco al volo il lettore “tipo”. Solo qualche volta mi è capitata una idea molto furba, cioè assai vendibile: la riconosci subito, per spiegarla ti bastano pochissime parole che attivano subito un immaginario preciso. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, gli esordienti non puntano troppo sul commerciale. Quasi tutti hanno velleità letterarie, ombelichi da scandagliare, drammi da portare sulle pagine… sono gli scout che hanno idee commerciali, gli editori e gli agenti, per esempio. Forse perché lavorando in editoria hanno una idea meno romantica delle storie, più pragmatica. Una buona storia è una storia che si fa ascoltare. I libri non sono (solo) oggetti sacri, sono (anche) occasioni di svago. E la leggerezza non è un peccato.
Quale idea ti sei fatta in ordine alla gente che scrive?
C’è la gente che scrive, ci sono gli autori, ci sono gli scrittori. E queste sono sia tre persone diverse, sia tre fasi distinte di un processo che prevede l’aggiunta di altrettanti ingredienti: la consapevolezza, il mestiere, la capacità di sapersi ripetere. Il talento, come vedi, l’ho lasciato da parte. Perché ci sono scrittori che di talento ne hanno pochino ma hanno un grande mestiere. Così come ho incontrato penne talentuosissime ma del tutto prive di volontà e voglia di sgobbare. Mai visto un romanzo perfetto al primo colpo (no, forse qualcuno sì… ma non lo diciamo in giro).
Quale sarebbe il tuo testo (o autore) ideale?
Be’, se mi fai incontrare un narratore come McLiam Wilson, non mi offendo! Anche se non ha saputo ripetersi… ma scrivere il romanzo perfetto è una vera rogna. O un Borghes, un Vonnegut, un Calvino. E visto che ho preso il direttissimo per “sogni di gloria”: dammi Shakespeare, è stato un grandioso psicologo, un narratore sopraffino, un drammaturgo potentissimo e uno scrittore geniale. Lui ha detto tutto sull’animo umano. Tutto.
Ci sono dei generi che preferisci, professionalmente parlando intendo dire?
Il genere, di per sé, ha il vantaggio di avere caratteristiche bene identificabili. Anche in termini di lettori. E, soprattutto, non concede sconti: l’autore che si cimenta e non è all’altezza, lo riconosci subito. Posso dirti però che il fantasy classico e la fantascienza sono generi davvero insidiosi oltre che difficilissimi da collocare. Io amo molto le distopie ma quando un autore ha scritto una distopia tremo, perché di solito non sa neppure cosa significhi! Preferisco il noir al giallo e amo tutte quelle storie che non mi rasserenano ma mi mettono di fronte al baratro e ai conflitti interiori. E poi viva l’ironia! Chi sa far ridere, sa far riflettere.
Come vedi la categoria degli editor nel panorama editoriale italiano? Come vengono considerati da autori ed editori?
Io sono un topo da studio mica da società e chi lo sa cosa combinano gli editor delle case editrici?! Scherzi a parte, è impossibile fare un discorso generale. Ci sono editor preziosi che fanno un lavoro di qualità, che scelgono i testi pensando all’identità della casa editrice. Che hanno coraggio. Intuito. E sanno pure rischiare. E ci sono quelli sempre in riunione che non leggono manco i libri che pubblicano loro, figurati il resto che passa in libreria… gente che sembra impegnatissima e lo è ma a fare niente. Comunque sia, parliamo di un anello fondamentale della filiera editoriale, è un lavoro difficile: grandi responsabilità, grandissimi rischi. Gli editori lo sanno bene gli autori molto meno. Finché non entri a far parte della macchina, non sai neppure chi sia un editor (mia mamma, per dire, non l’ha ancora capito adesso cosa faccio!).
È possibile fare un paragone con ciò che invece succede all’estero?
Sarebbe un paragone azzardato. Prendiamo Inghilterra, Francia, Germania… hanno un numero di lettori spropositato rispetto al nostro. E i numeri incidono profondamente sulla filiera. Ti faccio un esempio: all’estero un agente può (e dovrebbe) vivere solo grazie alla rappresentanza. Da noi è quasi impossibile. Tocca fare un minimo di cassa con letture e altri servizi. Perché se non hai in “scuderia” autori affermati che ti permettono di guadagnare sia grazie agli anticipi sia grazie alle vendite, non sopravvivi. Prendi un autore che incassa un anticipo di 1.000 euro. Un agente che chiede il 20% per la rappresentanza si porterà a casa 200 euro. E magari ci sono voluti mesi per collocare il testo! E se l’autore non supera le 2/3mila copie, questo sarà l’unico guadagno dell’agenzia. Ovvio che servizi e letture di valutazione devono essere di qualità e i costi devono essere sensati. Cioè se ti chiedono 4.000 euro per un editing di 50 pagine o 1.000 per una scheda di un romanzo di 250 cartelle (e non sto inventando, ahimè) ti stanno derubando.
Ritieni che ci siano dei generi “abusati”?
Ci sono generi maltrattati e di solito sono quelli che vanno di moda. E vanno di moda perché un autore ha avuto un grande successo e allora è partita l’emulazione tra gli editori. Ricordi Il codice Da Vinci? Quanti codici sono usciti poi? Così molti esordienti credono che per sfondare si debba percorrere la strada già battuta, si debba dare al lettore un clone di quello che ha amato. Pura follia! Uno semmai cerca le stesse emozioni, non le stesse narrazioni. E alcuni poi pensano che il genere sia “facile”, che in un giallo basti piazzarci un morto e un detective ombroso e il gioco sia fatto o, peggio, che un noir sia un giallo in cui gli indizi possono pure non tornare…
E altri che meriterebbero più attenzione?
Mi piacerebbe che gli editori pensassero di più ai racconti. Un formato narrativo che si adatta di più ai tempi di lettura odierni e credo aiuterebbe a conquistare e coltivare nuovi lettori. Un racconto spaventa di meno di un romanzo di 400 pagine… quindi largo alle raccolte di autori vari e non solo di big ma anche esordienti di qualità. Mi viene in mente la musica: grazie alle compilation ho scoperto tantissime chicche. Lo vedo come un assaggio capace di seminare diverse passioni. E i libri, oggi più che mai, dovrebbero avere a che fare con i desideri delle persone, i loro bisogni. E invece quasi tutti blaterano di doveri. Uh, che noia!
Venendo ai generi: i thriller qui da noi sono introvabili. Abbiamo visioni piccine, sempre molto legate alla provincia, orizzonti asfittici. Storie che sono difficili da esportare, perché sarebbe difficile per i lettori immedesimarcisi. Dobbiamo spalancare le finestre e guardare oltre. C’è un mondo da raccontare.
Be', che dire, grazie Chiara e ogni augurio.
E grazie per le domande e per l’ospitalità, Mario.