Quindi nasce spontanea la necessità di due mie righe in merito.
Ecco, parto dall’ultima artista che non so nemmeno io come è incappata nella mia rete.
Orbene, ripeto, io non ho un animo poetico quindi non voglio sminuire l’arte di questa poetessa, voglio solo limitarmi a commentare ciò che leggo di lei.
ANTONELLA PIZZO E IL SUO “ ESSERE IN VITA”
DI Augusto Benemeglio
1. Teatro delle immagini
Nella poesia di Antonella Pizzo, una bella donna siciliana di lontana etnia sveva, colta, raffinata, di un’aristocratica pensosità,
Dico, ma che c’entra la bellezza e l’aristocratica pensosità con la poetica di Antonella Pizzo? Se fosse stata brutta, chiassosa e popolana cosa sarebbe cambiato, a livello di poetica?
ma vitale, piena di energia interiore,
Come sarebbe a dire, “ma”? Cioè, cosa significa? Che apparentemente potrebbe sembrare un po’ smorta ma poi in realtà si muove? Ah, capito, forse è un incipit, un pourparler, un valore aggiunto, un'entréé.
c’è un mix di teatro delle immagini e della musicalità barocca che fanno le piccole cose che ci circondano, a Ragusa e nel mondo,
Non capisco. A Ragusa, e nel mondo, le piccole cose nascono da quello strano mix? Urcolina, non me n’ero reso conto. Direi però, en passant, che forse sarebbe opportuno controllare meglio il teatro delle immagini.
Non so però se io al posto della compunta poetessa sarei contento di queste parole, credo che se le leggesse quanto meno le cadrebbe la messinpiega di colpo.
oltreché un’ironia scoperta che si volge spesso al grottesco e al dramma.
Pure?! Ma che differenza c’è con quella “coperta”?
Potremmo dire che Antonella riesce ad essere un po’ farfalla e un po’ granchio, due forme di animali – come diceva Calvino – bizzarre e simmetriche che stabiliscono fra di loro una inattesa armonia.
No, calma, non lo diceva Calvino, ma lo ha scritto Giovio nel “Festina lente”, ma sorvoliamo. E poi, dico, ma che c’entra?
La sua – osserva una lettrice di un blog – è una combinazione di musica, versi ed immagini.
Caspita che intuizione, nessuno aveva mai detto una cosa simile di una poesia, parole semplici – quelle di questa geniale blogger - ma eleganti, che vanno bene su tutto.
Un gioco letterario in cui il pensiero si fa volo e va alla ricerca delle sue radici.
Eh? Le radici del pensiero? In cielo? Però la metafora pensiero-volo è davvero una cosa innovativa.
C’è anche una sorta di trascendenza cromatica in cui i versi diventano colori puri, diremmo fauvisti, con tutte le loro antiche simbologie: il rosso-sangue-passione, il nero-funereo-malinconico, il bianco-rinascita-innocenza-sipario.
Mah, io consiglierei di ripassare anche il fauvismo, ché qui viene citato come i famosissimi choux à casse-croûte.
Interessante, infine – osserva un’altra acuta lettrice -, la singolare corrente dell’immaginazione, il clic , lo scatto rapido, il dinamismo intrecciato dei suoi versi…
Ah, non la lettrice di prima, un’altra ancor più genia. Ma tu guarda l’acutezza, nessuno aveva mai rilevato simili caratteristiche in un carme. Sbalordisco da tale illuminazione.
Potremmo definirla quasi un’equilibrista senza rete, che si è spezzata la schiena mille volte,
Ah ecco “quasi”, perché un’equilibrista completa solitamente non cade. Quindi la poetessa è: granchio, farfalla e quasi equilibrista? Mah...
prima di provare il numero, che ora sembra lieve come passo di danza, ma quando lo fa è come la prima volta, rischia sempre di cadere sull’asfalto, sulle rovine, sui cocci aguzzi di bottiglia montaliani,
E qui il grande Montale impallidirebbe (non solo al meriggio) per tale accostamento acrobatico, giusto per rimanere in tema di equilibristi.
sui frammenti di quella che è la nostra vita di tutti i giorni, consumata all’interno di una società ormai in liquidazione, in frantumazione, in decomposizione, che ha fatto da tempo harakiri:
Certo, la gente è cattiva e i tempi di oggi non sono più quelli di una volta.
Butterfly di tragedie diverse
la costumista s’è spogliata dei suoi averi
vive reclusa dalle suore clarisse
ricamatrice con le dita amputate
il punto a giorno più non è possibile
merletti in ecrù, le trine, foglie e veli
i ricami a fiori dorati, i lini e le trame
gli orditi e le reti, fili di seta
i punti precisi, i piccoli punti, i mezzi punti.
Ecco, ditemi cosa c’entra questa poesia con tutto ciò che è stato appena detto, la storia di una che si ostina a voler ricamare nonostante abbia le dita amputate. Da dove si vede il fauvismo, il granchio, la farfalla, i cocci montaliani e tutto il resto?
2. Magna Grecia
Poesia che assume talora i cupi e corruschi toni di una favola surreale macabramente satirica, grottesca, addirittura sanguinolenta, che diventa denuncia spietata, in uno stile che è un mix tra Palazzeschi e Poe, con strascichi da Vespri siciliani.
Evidentemente abbiamo due vocabolari diversi, nel mio il termine “corrusco” non si addice né a macabro, né a cupo (basti pensare che nell’inno alla Virgo Fidelis, patrona dell’Arma dei Carabinieri, il trono della Madonna viene definito “corrusco”).
Non a caso Antonella Pizzo vive nella terra dei fichi d’India, di Pirandello, Brancati, Bufalino, Sciascia, Consolo, tutti grandi maestri d’ironia, dell’umor nero e del grottesco
Certo, mica c’è nata a caso in Sicilia, c’è nata apposta. Poi l’umor nero di Sciascia è famosissimo.
ieri sera dal cielo cadevano bambini e cadevano cadaveri veramente cadevano
io ho afferrato un bimbo al volo e l’ho portato in salvo
a casa mia.
alcuni cadaveri restarono impigliati nei fili dell’alta tensione
in confusione di interiora, di vene, d’arterie
nella vie dell’intero paese ci fu un parapiglia
Del resto – amava ripetere Palazzeschi - un popolo senza ironia è un popolo barbaro, mentre la Sicilia – spesso ce lo dimentichiamo – è Magna Grecia per eccellenza, patrimonio sterminato di miti storia filosofia poesia, civiltà.
Aiuto, che qualcuno mi spieghi questo accostamento, soprattutto alla luce della poesia in cui gli aerei perdono bambini in volo.
Essere nati in questa terra, scrive Antonella, “in un campo di borragine, di cicoria e tarassaco, paritaria nei muri e spaccature, capelvenere e fiori di cappero//… in cima a un colle orbo, dentro al catino di un teatro corinzio,/…/ nelle necropoli e in una valle ampia, lungo le rive del fiume Anapo//…. nelle giunchiglie del fiume Ciane…. davanti alla tomba di Archimede, dentro l’orecchio di Dionisio….nel mare africano e (nuotare) assieme ai pesci azzurri”, vorrà pur dire qualcosa.
Beh, certo, il catino di un teatro corinzio fa sempre la sua gran bella figura, ovunque lo si metta.
La sua è una lucida satira, alla Brancati, di elementi drammatici e comici, ispirati alla nostra situazione socio-politica, al vivere in mezzo alla spread,
Ah, “spread” è un termine di genere femminile? Però a essere sinceri io di comico nelle sue poesie non ci ho trovato proprio nulla.
alla disoccupazione, precariato, violenza, guerra, ingiustizie, ignominie, ma anche ai balletti televisivi, alle goffe esibizioni d’esercizi erotici, alle infinite banalità, all’insostenibile pesantezza dell’essere.
Sì, anche alla cattiveria della gente, che non sa più quello che vogliono e che quando c'era la lira con diecimilalire in tasca di sentivi ricco.
La sua è una fantasia inesausta, e la fantasia, per dirla alla Dante, che si considerava figlio del più puro oriente, è un posto dove ci piove dentro.
Nel precisare che non ho mai visto un poeta che non avesse fantasia, (quindi per me quest'ultima precisazione del recensore equivale a dire che l’acqua è bagnata) e nel rilevare che in questa “presentazione” laddove non si citano – a dire il vero spesso un po’ a vanverina, eh – famosi letterati, ci si imbatte in inesattezze terrificanti, chiudo.
Ne ho abbastanza di questo minestrone.
(Vi supplico, non maltrattate la poesia, al massimo trattatela asetticamente, che soffro.)