Personaggi che si muovono in una sorta di labirinto di specchi, tanto che al termine della lettura inevitabilmente viene da pensare uno, nessuno, centomila.
Silvia Giano gestisce il Baretto, una bettola romana dove si può gustare un caffè orrendo, per non dire dei vini e delle bibite e bevande; il Baretto però va avanti grazie all’avvenenza di Silvia, una fatalona in stile oca giuliva che abita assieme alla sorella: i clienti vanno nel suo locale solo per ammirarla.
Luca, invece, è uno scrittore afflitto dalla cosiddetta sindrome della pagina bianca. Una sindrome piuttosto grave, visto che si protrae da diversi anni e che lo spinge a rivolgersi a un misterioso servizio di ghostwriting.
Ma questa è solo una delle tante sfaccettature in cui riverberano le vite, all’apparenza un po’ banali, dei protagonisti, compresa quella di Vito, un barbone di poche, ma buone, parole.
Anche l’apparenza dei luoghi inganna: da Roma, le sorelle Giano e lo scrittore si trovano dall’oggi al domani a Minduno, un piccolissimo borgo piemontese, realmente esistente in provincia di Cuneo, dove scoprono un mondo di dettagli - e un castello da favola - di cui mai avrebbero sospettato l’esistenza.
Ma per quanto nel romanzo le vite reali si svelino, non lo fanno mai per intero, come il Sole che non riesce a illuminare tutta la terra nello stesso istante, o come la Luna che tiene sempre una faccia nascosta, in una sorta di orologio scandito dai problemi decisamente gravi che affliggono le sorelle Giano.
A ogni giro completo dell’orologio la verità prende nuove forme, forse mai definitive però.
Ma perché Caffè corretto? Il segreto sta nell’aggettivo. Dal vocabolario Treccani: … privo di errori (un romanzo?)… conforme alle regole dell’onestà e della civiltà (persone oneste?)… purificato da errori (o comportamenti cambiati?)… oppure bevanda (servita in qualche bettola?) insaporita con un po’ di liquore. Ecco, questi sono i capisaldi della narrazione.
Insomma, le correzioni da apportare alle nostre esistenze sono come gli esami della vita e come le apparenze: non finiscono mai.