Si tratta della storia di una famiglia residente nella DDR che, poco prima della costruzione del famoso muro, decide di fuggire all’Ovest. Il raffronto del prima col dopo, dell’Est con l’Ovest, del di qua col di là, scandiscono, assieme ad alcuni oggetti di famiglia messi miracolosamente in salvo, e ad alcuni personaggi, lo svolgersi del romanzo; da uno di tali oggetti, inoltre, deriva il titolo dell’opera, in particolare dal colore di alcuni sacchetti usati nella DDR per la spesa al mercato. Già qui potrebbe nascere la prima perplessità: perché citare quelle buste e non, ad esempio, la valigia tenuta con religiosa cura o il servizio di porcellana da ventiquattro che di là non veniva mai usato, cui viene data moltissima importanza nella vicenda? Ma questo è nulla se rapportato alla cura riservata al testo.
Sorvoliamo sulle virgolette destinate ai dialoghi, lanciate, aperte e chiuse a caso (anche se spesso non si capisce granché), sorvoliamo pure sulla consecutio ad vanveram e sulla punteggiatura sperimentale, ma non possiamo ignorare altre cose, come ad esempio, quel “grata” spacciato per ben due volte come “gradita” (“Ho visto poco anche Renate; qualche anno più tardi divenne persona non grata in famiglia.” – “Papà non era più venuto, perché dopo la fuga nella DDR era stato dichiarato Republikflüchtling, “fuggito dalla DDR”, e quindi persona non grata”). Senza considerare le orecchie confuse con gli orecchi.
L’opera è costituita da una serie di racconti che non appaiono sempre comprensibili e l’autrice, dal canto suo, ben si guarda dallo spiegare qualcosa in più; oltretutto, non si capisce né dove molti di essi siano ambientati, né quando si siano svolti i fatti rievocati. Si capisce solo che vanno dal 1961 al 1989. La voce narrante, una bambina appartenente alla famiglia dei fuggiaschi, dà alla gravità dei fatti un tocco di elegante e stupita ingenuità, tuttavia c'è da rilevare che gli eventi si svolgono nell’arco di oltre ventotto anni, pertanto l’ingenuità espositiva che contraddistingue la narrazione nei primi anni di permanenza all’Ovest avrebbe dovuto dare progressivamente spazio a una maturità, anche narrativa. Invece leggiamo sempre la stessa bambina, anche dopo 28 anni.
I particolari della fuga - di certo i più interessanti - non vengono mai svelati, si sa solo che è avvenuta a bordo di un normalissimo aereo di linea: “L’aereo della British European Airways sembra una gru enorme, solleva i quattro e li lancia in un altro aeroporto, come in un deserto cementificato, le nuvole fanno da scala fino a terra e poi si trasformano in una neve lenta. Neve di dimenticanza.” Non mi soffermo su questo rosario di metafore, risulterei petulante, e dire, però, che tutti hanno sempre creduto che le fughe dalla DDR si siano svolte nella maniera più rocambolesca del mondo, altro che a bordo di un aereo, belli comodi.
Le descrizioni, poi, non fanno che aggravare lo stato di disordine dell’opera. Ad esempio, ecco come viene descritto il film che una volta la bambina andò a vedere assieme a una sua amica e a un gruppo di misteriosi “pionieri” di cui si capisce ben poco: “Il film che andammo a vedere, Marianne, io e tutti i pionieri della classe, aveva la forza di una favola, le persone si muovevano in bianco e nero, gli uomini tagliavano il grano, le donne il pane. C’era qualcuno che non capiva il suo posto nella comunità e veniva recuperato grazie all’amore di una bella ragazza. Ma in tutto questo c’era il ritmo di un racconto che conosce ogni passo”.
Capito? Io no. E me ne vergogno tantissimo.
Sempre in tema di descrizioni, l’autrice spiega che nella nuova casa dell’Ovest “C’era una finestra grande come la parete, che dava su un balcone, ma era proprio quel balcone che rendeva tutto più buio. Era come il coperchio di una scatola, la nostra casa. Quando diventava giorno la notte si nascondeva da qualche parte, per poi rispuntare fuori, e il balcone sembrava proprio il suo nascondiglio.”
Spero un domani di riuscire a capire come possa una finestra grande come tutta una parete, ancorché a ridosso di un balcone, rendere tutto più buio.
Ci anche sono citazioni tipo questa: “La polvere allora è bella?” chiedevo al nonno, lui sorrideva: “Può esserlo, se vedi che c’è qualcosa di bello sotto””.
Non so se si tratti di una storia autobiografica, quindi non voglio offendere nessuno, ma cosa cappero vuol dire?
Questa bambina, ogni volta che arrivava l’estate, non si capisce per quale motivo, veniva sbolognata ai parenti più disparati che abitavano ancora all’Est. Anche suo padre, periodicamente, tornava nell’Est (inspiegabilmente senza bambina), dove la casa in cui abitava prima della fuga era stata prima saccheggiata e poi confiscata dallo Stato. Ora, come potesse verificarsi questa rimpatriata è difficile da capire, visto che oltretutto era stato dichiarato persona non grata. Se l’autrice lo avesse spiegato, gliene saremmo stati tutti grati (questa volta sì, non graditi), anche perché in tal modo i lettori - e credo di parlare per la loro stragrande maggioranza - sarebbero riusciti a dare un senso, e di conseguenza ad apprezzare in maniera più completa, questi racconti dalla chiara matrice "personale".
Certe trascuratezze sono fastidiose, soprattutto in un libro edito da una casa di prestigio.
C’è un ultimo particolare: l’opera ha vinto la XIII edizione di InediTo. Il premio consiste in una discreta somma (nel bando non si precisa chi se la intasca, ma sarebbe utile saperlo) a mo’ di “contributo per la pubblicazione” e quindi si presume, semmai ce ne fosse bisogno, anche per l’editing.