Con l’escamotage di descrivere, dal punto di vista di Pino Occhioni, giovane giornalista alle prime armi, le dinamiche, spesso perverse, che regolano le attività della redazione di un quotidiano, l’autore sbatte, senza mezzi termini, in faccia al lettore la condizione di sostanziale schiavitù che la Sardegna sembra non riesca a scrollarsi di dosso. Ma lo fa in una maniera talmente delicata e attenta che alla fine della lettura la commozione e il nervoso per tanto scempio si fondono per dare vita a un nobile sentimento pienamente fruibile solo da pochi: sono sempre stato dell’idea che la buona letteratura è per molti ma non per tutti e Francesco Giorgioni lo conferma con le sue pagine.
Una redazione, dicevo completamente asservita non solo ai poteri forti, ma soprattutto ai soldi, al guadagno facile, alla ricchezza che gronda di Sangue Sardo. Sangue, con la S, estorto a chi pensava di collaborare per il bene della propria Terra: imprenditori e artigiani che, di volta in volta, si sono lasciati incantare dai parolai politici che mettono piede sull’isola di Pietra, a mo’ di civilizzatori, per promettere posti di lavoro e benessere per tutti, mettendo però poi in atto un complesso sistema di contrappesi che ben presto, guarda caso, ogni volta si sbilancia, lasciando dietro di sé fallimenti, i cui effetti negativi ricadono sempre e solo sulle solite persone: i Sardi onesti.
Pino Occhioni, che sogna da sempre di fare del giornalismo la sua professione, viene quindi assunto dalla redazione di una testata locale con l’incarico di supportare mediaticamente le attività di un gruppetto di imprenditori che, pur presentandosi come i salvatori della Sardegna, sotto sotto sono a dir poco untuosi e poco limpidi. In un primo momento Pino si butta anima e corpo in questa avventura con risultati ottimi, anche a discapito della sua vita privata, ma poi, anche di fronte alle semplici considerazioni del suo futuro suocero, nasce in lui il germe del riscatto e, con un’azione coraggiosa, ripristina il significato di cultura e di giornalismo, riassumibile in due sole parole: resistenza, ribellione.
“Spiegare la Costa Smeralda oltre le cronache mondane è sempre stata un’incombenza impegnativa, che qualcuno ha utilizzato per contribuire alla perpetuazione dell’incantesimo stesso; un surplus di zelo nella collaudata liturgia a sostegno del sentimento di dipendenza da quegli agglomerati prossimi al mare, con tutto ciò che vi gira attorno.”
"Vogliono ville nuove costruite come piace a loro, le vogliono in riva al mare, ma con la piscina olimpionica. Vogliono il casinò a due passi, la discoteca e il ristorante extralusso, nello stesso isolato, i moli per poterci attraccare, il tende che usano per salire sullo yacht. … e noi faremo sì che abbiano ciò che vogliono."
In questi brevi passaggi si capisce cos’è la Costa Smeralda, o almeno cos’è diventata: un non luogo, una bolla di non Sardegna a uso privato di gente ricca e annoiata che sfrutta le cose fino a che non si consumano, per poi buttarle, cercando nel frattempo di convincere il mondo del prestigio che deriva da quell’uso. Un laboratorio infernale, un’officina criminale da cui ogni tanto esce qualche monetina a tacitare gli sdegni, magari arroventata come quelle del Marchese del Grillo. O insanguinata.
Un’opera, questa, che ben figura - anche, ma non solo, per concezione, stile e sviluppo, sui quali non mi dilungo, sia perché sono ineccepibili nella loro matrice di sintesi asciutta e senza sbavature, sia perché il valore di quest'opera va oltre -, nel panorama, spesso discusso e non ancora del tutto definito, della letteratura Sarda; nella sua perfetta economia di parole e di concetti, ho scelto un passaggio, secondo me centrale, sul quale vale la pena di riflettere:
"L’antico timore di veder i Cosacchi abbeverare i loro cavalli in Piazza San Pietro è evaporato con la storia. Ma i nuovi conquistatori sovietici si accingono a impossessarsi di pezzi della nostra terra per fare proprietà privata."
Francesco Giorgioni con Cosa conta ci ha svelato una dichiarazione d’amore sublime alla sua Sardegna, una dichiarazione fatta di poche e misurate parole, di descrizioni sobrie e spartane. Ci sono realtà che non vanno descritte, ma semplicemente amate o, almeno, rispettate, come solo un Sardo può fare e capire, soprattutto verso la propria amata, alla faccia di chi è solito dire, a mo' di alibi – nel bene e nel male, ma forse più nel male – “Voi sardi”.
Non è facile parlare di Sardegna, ma bisogna farlo, né è facile viverla rispettandola, ma bisogna farlo. Ancor meno facile è difenderla, ma bisogna farlo, in ogni modo. Non è nemmeno facile rispettare le debolezze e i difetti altrui, ma bisogna sforzarsi e farlo. Ecco cosa conta.