L’autrice ci racconta in punta di penna di persone e di destini che si snodano un po’ al di qua, un po’ al di là, del vetro che separa la direzione dal laboratorio di un noto studio di grafica pubblicitaria milanese.
Frida è una giovane ragazza che parte dal suo paesino e va a Milano, vuole entrare a far parte di quel prestigioso studio; è preparata e ha talento ma non sa chi e cosa potrà trovare là dentro. E neppure come gestire la sua nuova vita.
Marco abita nello stesso stabile in cui Frida ha affittato un piccolo appartamento e anche lui lavora in quello studio.
E c’è il destino, che sembra essersi installato nello studio dove i due lavorano. Lui, il destino, lentamente spinge i protagonisti verso mondi e situazioni sempre più ingestibili, al limite del patetico. Ma ad avere la peggio e Frida. Forse perché è donna, e quindi in balia del maledetto atavismo cacciatore/vittima, o forse più semplicemente perché è giovane e inesperta. O magari perché sperava che cambiando città potesse risolvere anche alcuni suoi problemi di natura famigliare. Oppure perché è una povera sciacquetta arrivista (e non me ne voglia l’autrice) con troppi grilli per la testa che ha avuto ciò che si meritava. Fatto sta, che Frida torna al suo paese assieme a Marco. E per "avere la peggio" si intendono "ferite che sanguinano per più tempo", ché in quell'ambiente - separato da un vetro che sembra non voler mai andare in frantumi - ognuno ha perfezionato un metodo tutto personale per non perdere troppo sangue.
Ma poi, viene da chiedersi (anche) leggendo queste pagine, possibile che il destino abbia sempre una forte connotazione maschio/femmina? Voglio dire, ma quando arriverà – sempre se arriverà – il giorno in cui l’essere donna non influirà sulla carriera, o sulle decisioni, ossia una vera parità, estranea a discriminazioni e falsi schemi sociali?
Frida è giovane, si sa, ma è anche circondata da iene con la bava alla bocca che, per tutti i motivi del mondo, non vedono l’ora di misurarsi con lei al solo fine di sbranarla e liberare il campo da eventuali antagonisti. La sua ingenuità, intesa qui in entrambe le accezioni – ragazza in buona fede e ragazza un po’ incosciente – viene sfruttata al volo da quelle iene e anche Massimo, alla fine, capisce che potrebbe essergli utile.
È un enigma Frida, però il destino un piccolo sconto alla fine glielo concede: le permette di risolvere uno dei suoi più grossi, ma anche sulla scena finale del libro, lui è lì appollaiato che osserva e medita la prossima mossa.
I romanzi di Anna Giorgini non prevedono un “e vissero felici e contenti” e neppure un finale, come dire, definitivo. Prevedono solo denunce di donne sfruttate senza pietà e titolari di una falsa consapevolezza di sé.
Una precisazione: Anna Giorgini è una delle poche autrici autopubblicate che io stimo e apprezzo, sia per stile, sia per temi trattati.