Questo lo avevo scritto alle ore 09:50 del giorno 29/11/2006
- “Toc toc, si può?”
- “Ma chi sei?”
-“Non ti ricordi più di me”?
-“Ah, sei tu, ma oramai erano secoli che non ti pensavo più”.
-“Appunto, quando la sequenza chimica in cui hai sintetizzato il mio ricordo sta per dissolversi, io mi ripresento, così mi puoi comodamente ricomporre, unitamente a tutte le ulteriori considerazioni che vuoi. Non voglio mica abbandonare questa mia bella sinapsi, nella quale abito oramai da 20 anni”.
-“Casomai la sinapsi è la mia, comunque sappi che non potrei mai dimenticarti, quindi è inutile che tu, periodicamente e non invitata, venga a bussare nella mia testa, già dilaniata da tanti e tanti pensieri, di gran lunga più importanti di te”.
-“Sai mi fa piacere che ti ricordi di me”.
-“E come potrei dimenticarti. Come potrei dimenticare che ti ho conosciuta all’inaugurazione di quel pub, anzi a dire il vero sei tu che hai conosciuto me. Mi hai ronzato attorno finchè non sei riuscita ad attaccar bottone. Eri davvero bellissima, un gran pezzo di gnocca, lo ammetto e li per li mi mettevi anche un po’ di soggezione. Come potrei dimenticare che il lunedì successivo, in ufficio mi hai chiamato 4 volte per le seguenti motivazioni:
- Ciao, volevo vedere se lavoravi proprio li (ebbene si, mi hai scoperto);
- Ciao, come va, ci ti va un aperitivo? (ok, con piacere, ma ho solo un quarto d’ora di tempo);
- Ciao, sono io, un salutino, tutto ok? (grazie, sei gentile, si tutto ok. E tu?);
- Ciao, sono io, domani vieni a pranzo da me? (Dai, mi imbarazzi. Anche se a dire il vero ci verrei al volo a pranzare con te, però domani non posso perché sono impegnatissimo, magari un altro giorno, così mi organizzo, oppure sabato sera);
Ah ecco, si, il pranzo. Siccome il martedì non potevo, hai insistito per avermi a pranzo a casa tua a tutti i costi il mercoledì. Come faccio a scordare, che il martedì, nonostante io ti avessi detto che sarei stato impegnatissimo, mi hai chiamato 6 volte, per i seguenti motivi (e meno male che all’epoca non esistevano ancora i cellulari):
- Ciao, buona giornata. (Grazie bellissima, altrettanto);
- Ciao, sono io, non trovi nemmeno un momentino per un caffeino veloce? (No, davvero, e non sai quanto mi dispiace);
- Ciao, sono di nuovo io, scusa se ti disturbo, per caso mi potresti consigliare un negozio di animali, perché vorrei comprarmi un gattino. (Non saprei davvero, ne ho visto uno, passando proprio in Via Roma, all’inizio, magari prova li);
- Ciao, non puoi nemmeno uscire per un aperitivo al volo? (No, dai non tentarmi, che poi mi fanno casino sul lavoro, oggi sono davvero pressato);
- Ciao, ma allora per domani tutto ok? Vieni a pranzo? (Ok, certo che vengo);
- Ciao, ancora al lavoro??? Ma dai, allora niente, volevo dirti se andavamo a mangiare una pizza. (No dai, sono stanchissimo, stasera a nanna presto);
Ah, si, ecco, il pranzo del mercoledì, ricordo perfettamente. Mi hai chiamato, prima di pranzo, 4 volte, per i seguenti motivi:
- Buongiorno, oggi c’è un bel sole (Si, una giornata meravigliosa, grazie per la chiamata, bellissima);
- Ciao, a pranzo preferisci qualcosa in particolare o faccio io? (Fai tu, io mangio tutto, comunque non posso essere da te prima dell’una meno un quarto);
- Ciao, sono io, scusa se ti disturbo, va bene verso le 12,30? (No, ti avevo detto verso l’una meno un quarto, prima non ce la faccio proprio);
- Ciao, senti, sono di fretta, non è che venendo passi a prendere il pane? L’ho ordinato ma non ce la faccio proprio a ritirarlo. Comunque non spaventarti per la mia casa, non amo l’ordine, io sono una confusionaria, anticonformista e un po’ pazza. Il disordine mi da un senso di calore. Spero non ti formalizzerai. Come lo preferisci il budino? Se vuoi qualche altro tipo di dolce dimmelo. (Ok, ci passo; no figurati, il disordine ha comunque il suo fascino; il budino mi piace solo ed esclusivamente alla vaniglia, senza crème caramel e senza nulla, in alternativa mi piace molto la panna cotta o senza nulla o con una salsina di frutti di bosco. Ma se non hai la salsina, meglio nulla).
Ero contento di averti conosciuta, perché eri davvero bona, tuttavia sentivo una strana sensazione, uno strano nonsocchè, un velato presagio, ma a 23 anni tutto passa.
Ah, ecco, è vero, casa tua. Come faccio a dimenticarla. Alla faccia del disordine, sembrava che ci fosse passato un uragano. C’era roba varia sparsa dappertutto. Il disordine aveva raggiunto il suo livello massimo di entropia, non c’era un oggetto, uno, che fosse almeno vicino al suo posto naturale o tradizionale; per non parlare delle condizioni del pavimento col suo effetto ventosa sotto le mie scarpe. In bagno la stessa cosa, regnava il caos più assoluto (ma solitamente segui sempre i ragazzi che entrano in bagno, così, come se fosse la cosa più naturale del mondo? Ma si dai, tanto a 23 anni si affronta tutto). Poi che dire della tavola. Rotonda, ma per metà occupata da una montagna di indumenti vari (uff, io stiro proprio quando non posso farne a meno, mi hai spiegato) e l’altra metà apparecchiata con piatti di carta. Al centro, per delimitare le due aree, un inutilissimo vaso, enorme, terribile e vuoto. Cioè, no, aspetta, la tavola era apparecchiata non con piattI, ma con UN piattO, cioè avevi apparecchiato solo per me, perché tu, a tuo dire, eri a dieta e avevi già mangiato lo yogurth e la mela quotidiana (ma allora la pizza che volevi mangiare lunedì sera?). Appena entrato mi sei saltata al collo e mi hai dato un bacio, saltellando e parlando da bambina piccola, chiocciando tutti quei “ma ciaooo ma daiii”. Si ammetto, eri bellissima, e questo lo ricordo benissimo, ma iniziavo ad avere qualche dubbio che tu fossi lievemente sciroccata, anche perché mi hai detto di accomodarmi a tavola - dopo avermi strappato dalle mani, abbastanza grossolanamente, il sacchetto del pane, che ero passato a ritirare – preannunciando che mi avresti guardato mentre mangiavo, perché quella era una cosa che ti piaceva troppo (guardare un ragazzo che mangia da solo). Ricordo, si si, e come che lo ricordo, il tuo risotto, ai funghi. Grazie per avermene specificato gli ingredienti, comunque a 23 anni si digerisce di tutto, anche il tuo sguardo sorridente e fisso su di me, mentre mangiavo. Ammetto di ricordare che eri davvero bella, ma il dubbio che tu fossi fuori di mente ingigantiva dentro di me. Ricordo anche la fettina impanata che mi hai propinato assieme a quelle foglie di insalata sicuramente radioattiva: in tutti questi anni non sono mai più riuscito a trovarne un’altra che avesse lo stesso gusto di asfalto (mi dirai, ma allora hai assaggiato anche l’asfalto visto che ne conosci il gusto. No, è che l’idea era quella). Come si fa a dimenticare il tuo budino alla fragola con crème caramel; come scordare che la bottiglia di vino rosè che avevo portato l’hai letteralmente lanciata in un mobile contentente altre cose varie e che in tavola hai messo una bottiglia di acqua gassata e una di birra. Ma tanto a 23 anni si digerisce tutto, anche quel continuo tuo toccarmi la testa, scapigliarmi i capelli, accarezzarmi il viso mentre masticavo, con i tuoi gridolini affettuosi: coniglietto, orsacchiotto, cuccioletto. Molti credo che abbiano ucciso per molto meno.
Anche il fatto che mentre bevevo il caffe (che aveva lo stesso gusto della fettina impanata, dalla quale sicuramente lo avevi distillato) tu continuavi a massaggiarmi le spalle con tanta frenesia che per un pelo mi cadeva la tazzina , come posso scordarlo. Però eri davvero bella, anche se penso che in quella casa c’era più ordine che nella tua testolina.
Non potrò mai dimenticare che, senza nemmeno farmi finire il caffè, mi hai letteralmente buttato sul divano (o forse era un letto, non so, c’era di tutto sopra), dicendo che avevi capito che non vedevo l’ora. Abbiamo fatto l’amore (cioè tu dicevi che avevamo fatto l’amore, secondo me avevamo fatto quello che tu oramai da qualche mesetto non facevi più sui tuoi pavimenti), e oggi, a distanza di anni, devo dire che, anche se eri bella, eri talmente stravagante che ti avrebbe rifiutata anche un gruppo di ergastolani al loro 20esimo anno di isolamento. Ma a 23 anni si digerisce tutto. Ricordo le cose che dicevi e che volevi mentre facevamo all’amore (tu dicevi che si diceva così, all’amore), sono indimenticabili come la descrizione che mi davi di te e dei tuoi interessi: che odiavi l’ipocrisia e i pettegolezzi, perché in giro c’era tanta gente cattiva e ficcanasa, che vivevi come ti pareva, senza dover rendere conto a nessuno, che ti piacevano i peluches e i cartoni animati, che ti sentivi spesso sola, che amavi la discodance, che eri sincera e che dentro di te c’era un mondo che volevi condividere solo con qualcuno di speciale.
Insomma eri uno sfavillìo di originalità, un vulcano imprevedibile.
Si si, ricordo benissimo, ed eri anche bellissima, un corpo quasi da favola, uno sguardo accattivante, ma nel tuo cranio c’era il sottovuoto spinto.
Mi hai chiesto se mi era piaciuto, io siccome sono educato ho detto di si, e comunque non è che mi fosse completamente dispiaciuto, si perché l’appetito vien mangiando, ma ci sono delle cose che speri di non mangiare mai più.
Ricordo perfettamente che purtroppo alle 4 dovevo rientare al lavoro (invece avevo preso un giorno libero) e che ti ho salutata facendo finta di dovermene andare a malincuore, mentre tu facevi la bambinetta dell’asilo capricciosa e ti attaccavi al collo con dei bacini rumorosi (mhuuuàà, mmmhhhhhuuuuà). Ricordo che subito dopo sono volato dal mio amico Giacomo e che sono rimasto con lui fino a notte tarda, a bere e a chiacchierare, e che alla fine la pizza l’ho mangiata con lui, nel cartone, buonissima, mentre gli raccontavo di quanto tu fossi quantomeno sbalestrata. Perché se non ne avessi parlato con qualcuno, mi sarebbe venuto uno shock psicomotorio, stavo quasi per soffocare in quel tuo mondo.
Stavo quasi per dimenticarmene. Mentre ero da te, ha telefonato quella tua amica, e il tuo vocabolario mi ha veramente colpito. Mi hai precisato che era una poco di buono, una che si sarebbe prima o poi rovinata la reputazione, perché si dava a tutti. Ma io ti conoscevo da almeno 4 giorni.
Si, mi ricordo di come ti sei prima rattristata (fintamente, è chiaro) e poi incazzata a rombo quando ti ho detto – il giorno successivo a quell’incubo, durante la prima telefonata antelucana che mi hai fatto - che forse era meglio non rivederci più. È vero, non ti ho proprio più cagata, non ho più risposto alle tue chiamate e non ho più frequentato i posti dove sapevo che ti avrei potuta beccare. E come posso dimenticare di quando mi ha fermato per la strada il tuo amico gay (il tuo amico migliore, quello che vi dite tutto), che con la scusa di essere preoccupato per te (perché stavi soffrendo e non capivi le ragioni del mio comportamento), oltre a farmi domande insolenti, mi ha informato del fatto che se tu mi avessi incontrato mi avresti detto in faccia chiaramente quello che pensavi di me, e cioè che ero come gli altri. Sempre il tuo amichetto, nella circostanza, mi ha precisato che a lui non ero mai piaciuto (sarà stato bello lui), indimenticabile.
Ricordo la cartolina (mi manchi rivediamoci, almeno come amici. Ulteriore dimostrazione che eri banale, oltre che matta) e le infinite telefonate a cui ha risposto altra gente alla quale avevo chiesto di dirti che non sapevano dove io fossi.
Ah, si, vero, hai anche chiamato i miei genitori, chiedendo di me. Meno male che mia mamma è più matta di te (ma lucida e originale) e ti ha detto che ero partito all’improvviso per New York.
Si cara, ricordo tutto. Quindi per favore, esci dalla mia testa, non vedi che sto guidando. Non tornare più, lasciami in pace, grazie.”
-“Sono felice di averti risentito. Ti va di telefonarmi”?
-“No”;
-“Dai, un salutino”;
-“No, non so nemmeno il tuo numero”;
-“Cercalo sull’elenco, magari lo trovi”;
-“Meglio di no, e cosa ti dico? Chissà che fine hai fatto, in quale mondo parallelo starai vivendo”;
-“Mi saluti e scambiamo due chiacchiere”;
-“Meglio di no”;
-“Dai una chiamatina anonima, così senti la mia voce”;
-“NoOoOOoOO, sparisci”;
-“Ok, dai come vuoi. Ciao bello, alla prossima”;
-“Ma che alla prossima, non affacciarti più nella mia mente. Addio”
-“Ciao”.