Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 12:49 del giorno 03/01/2007
Da un incipit di Birambai.
Stavo guardando l’inutile pomata a base di “maidolede”, in attesa sul tavolo, inutilmente consigliatami dall’inutile suocera che la sorte mi aveva rifilato, e inutilmente spalmata sulla mia spalla dolorante, sperando di trovare una soluzione all’enigma.
Le cartine geografiche complicavano sempre più la situazione: adesso accenti, confini e capitali mi davano le vertigini e acuivano il dolore della lussazione.

Meglio sorseggiare un buon bicchiere di buon vino rosso e pensare, lasciar andare la mente. Ecco sì, pensare a tutto campo.
Ero diventato Lussorio Chisinau che raggiante vedeva entrare dalla porta della cucina Svetlana, vestita da infermiera. Mi stava portando un’altra pomata, panacea, che di colpo mi faceva guarire.
-“Ebbeeee Lussò”, diceva lei sorridendo, ma con accento Moldavo.
Poi mi spalmava la pomata, un’antico rimedio Moldavo, delicata e imbarazzantemente sensuale, e poi apparecchiava la tavola, dove avremmo mangiato salami e formaggi vari, con pane carasau, spianate di Ozieri, pane guttiau e pane Moldau. Aveva apparecchiato senza lavarsi le mani, perché lei era soave e delicata, dallo sguardo magico.
Che bella Svetlana, bellissima, la porta per il paradiso.
Eravamo seduti a tavola e lei accennava ad un delicato quanto deciso piedino. Sul tavolo c'era tutta la soluzione di tutto ed io mi apprestavo a mangiare.
-"Lussò, devo chiederti unu hachere", mi disse.
-"Tutto quello che vuoi, tutto, chiedimi tutto", risposi.
Che bella musica che sentivo in quel momento, ma che cosa era? Il casaccioff? Un ballu tundu? Il cha cha cha della segretaria? Una cantilena Moldava?
Qualcuno però, una terza persona, urlava.
-“A ti sposti ahh”.
Mia moglie, la dura realtà, stava passando l’aspirapovere sotto al tavolo e dopo vari colpi infertimi con la punta dell’elettrodomestico al piede destro, mi invitava a spostarmi. Alzai le gambe, ma c’era un altro sottofondo, oltre al rombo Hoover.
-“Ma metti ordine o no? Bette casino ainoche!!”
Il tavolo era sempre pieno di cartine geografiche, in attesa di essere decifrate, accanto all’unguento malefico. Più cliccavo su quelle icone e più tutto rimaneva nervosamente immobile.
Ah ecco, si, il mio cellulare. Squillava disperatamente. Numero che non conoscevo.
-“Pronto?”
-“Pronto Signor Birambai?”
Una voce matura e decisa, forse anche una bella voce, con accento inequivocabilmente barbaricino.
Riuscii a trattenermi, per un pelo, dal rispondere, “no, sono Lussorio”.
-“Si. Chi parla”.
- “Sono Gianefisio Porcu, il salumiere”.
Un tremore diffuso e sudoriccio – paura somatizzata allo stato puro - mi pervase ovunque, anche sulla spalla lussata che per un istante guarì, anche nelle parti intime anteriori e posteriori compresa la zona corporale sottostante e sovrastante che le separava.
-“Mi dica”, dissi con bencelato disinteresse reggendo il cellulare con la mano tremula.
-“Mi hanno detto che lei è scivolato su una fettina di salame nel mio negozio e che si è fatto male ad una spalla. Come sta?”
-“Un po’ meglio grazie, ma chi glielo ha detto”
-“Me lo ha detto tzia Pascalina Furranga. Siamo davvero dispiaciuti. Ma molto male si è fatto, perché ho visto che si è sbattutto allo scaffale della pasta e lo ha tutto nichelato”.
-“E un pochino, si, ma guardi è colpa mia”, dissi, nel tentativo di porre fine a quella conversazione altamente pericolosa, alla quale forse era opportuno che mia moglie non assistesse.
-“E sa ho trovato il numero nel suo biglietto da visita, che è uscitto dalla sua tasca quando lei e cadutto”.
Oh no, pensai, tzia Pascalina Furranca.