Uno di questi è il carcere. Un universo a sé, nemmeno parallelo, ma proprio a sé, costituito da infiniti elementi, e altrettanti mondi, completamente avulsi dalle ragioni e dalla dimensione di chi vorrebbe parlarne pur non avendolo mai vissuto.
Questo articolo, a firma di Graziano dell’Anna (insegnante nel carcere di Rebibbia e critico letterario) apparso sul magazine Internazionale, ne è la prova. Capisco che la tentazione un po’ perversa di far conoscere al mondo di frequentare certi ambienti è forte (un po’, che ne so, come raccontare di avere le porte aperte in Costa Smeralda, un altro mondo a sé), però ci sono momenti in cui ci si dovrebbe controllare.
L’incipit di questo pezzo, giusto per iniziare con la banda, c’entra come i cavoli a merenda (così come la chiusura, di cui parlerò nella prossima puntata): Obama che intervista l’ideatore di una serie TV al fine, pare, di avere suggerimenti sulla vita carceraria in America.
L’autore si augura che una cosa del genere possa avvenire anche in Italia. Chissà come la immagina, magari Mattarella che intervista gli ideatori di Distretto di polizia, Squadra antimafia o altre serie bellissime sul genere. Chissà se, invece, è al corrente che esistono fior fiore di commissioni, organizzazioni, uffici ed enti in continuo contatto con le carceri. Magari si potrebbe iniziare da quelle, anche se in TV appaiono poco, prima di scrivere certi articoli, come quello che sto commentando.
Il profondo Dottor Dell’Anna si pone quindi una domanda capace di far andare in pappa Amleto:
La domanda a questo punto è lecita: quanto può arricchire la nostra visione politica il ritratto artistico, narrativo di un pezzo di società?
(Il “pezzo di società” sarebbe il carcere, presumo) Ma che piffero di domanda è?? A questo punto? È lecita? E cioè? Dopo che Obama ha intervistato l’ideatore di una serie TV possiamo finalmente porci quella domanda? Oppure il critico ci rende edotti del meccanismo scattato nella sua mente dopo avere visto quell’intervista? Quindi Obama avrebbe dato il via a un qualcosa di strepitoso da seguire anche qui da noi? E cosa? Il perché della leicità di questa domanda non lo sapremo mai, anche perché il cuore dell’articolo sta nell’esame di alcuni libri. Un esame davvero pertinente a approfondito, come no, un elenco di tomi autoreferenziali che mettono l’autore al centro della narrazione, lasciando tutto il resto fuori. Cosa pensavate, per caso che partisse da Beccari o da Gramsci? Ma per cortesia, roba vecchia, qui si doveva trovare un bell’incipit.
L’autore poi si chiede se i nostri politici conoscano alcuni film. Bella domanda retorica. Di bene in meglio. Perché si chieda cose del genere lo sa solo lui.
Parliamo di una serie di pellicole e volumi che, rovistando nel brulichio dentro e intorno alla galera romana, mettono insieme una tale mole di notizie, storie e personaggi da trasformare il penitenziario di Rebibbia in un vero e proprio luogo letterario, il corrispettivo carcerario della via Veneto di Fellini o delle borgate pasoliniane.
Capito? Sì, avete letto bene, in buona sostanza nelle galere secondo lui, gran critico letterario, si ROVISTA. Chissà se conosce il significato di questo termine (riferito a oggetti, non di certo a essere umani). … Via Veneto… borgate pasoliniane… rovistando nel brulichio… Mah… proseguiamo oltre, va, ché certe affermazioni si commentano da sole.
Raccontare Rebibbia, come raccontare qualsiasi altro carcere, significa innanzitutto entrarci.
Ma dai! E io che pensavo bastasse osservare intensamente da fuori un carcere qualsiasi.
Ed è proprio come volontaria che Penelope Anselmi, la protagonista di Il sogno cattivo (Mondadori 2007) di Francesca d’Aloja, riesce a incassare dalla direzione il permesso di frequentare celle e detenuti.
Iniziamo col primo libro e, giusto per essere preciso, chiarisco che i volontari NON frequentano detenuti - tantomeno celle -, tutt’al più li assistono in attività ben precise e per un critico letterario il significato e l’uso delle parole non dovrebbero avere segreti. Di questo libro si dice che l’autrice fruga nella polvere nascosta sotto il tappeto delle vite dei protagonisti e che si tratta di un libro sulla rimozione, su quel processo di cancellatura psicologica e sociale che permea le esistenze galeotte e non.
Mah…
Poi arriva la finissima analisi de Il corpo docile (Einaudi 2013) scritto da Rossella Postorino, in cui - secondo il critico - la protagonista finisce intrappolata in un presente che è l’immagine speculare e distorta del passato nello sforzo far scoppiare la bolla esistenziale in cui è rinchiusa, puntando l’attenzione sulla materialità dei rapporti umani: attrazione erotica, amplessi, percosse, parti, allattamenti, distacchi.
E qui, per ora mi fermo, la seconda parte dopodomani (fatte salve cose più importanti). Preparatevi psicologicamente, che il bello deve ancora arrivare (ricordatevi gli editori citati, alla prossima puntata vi sarà tutto più chiaro).