L’opera è una raccolta di racconti dallo stile e dal contenuto a dir poco scadenti.
I brani presentano tutti la stessa struttura: lui – lei – un amore impossibile (unito a una disgrazia) – un deus ex machina assolutamente inverosimile. I personaggi sono privi del benché minimo spessore, parlano e si comportano tutti nello stesso modo. Nella narrazione si ripetono, in maniera fastidiosa e ossessionante, sempre le stesse circostanze, le stesse elucubrazioni e gli stessi termini.
L’unico racconto in cui i soggetti sono solo due è pornografico e non presenta alcun elemento degno di rilievo. Si tratta della descrizione lunga e noiosa di un rapporto sessuale tra una donna ancora vergine e un suo collega di lavoro, un racconto degno delle più scadenti riviste pornografiche degli anni ‘80. La cosa che più stupisce, se così si può dire, è l’epilogo: terminato l’amplesso, l’uomo - manco a dirlo - si addormenta e lei decide, non si sa in base a cosa, visto che pare si sia divertita e anche tanto, che lui non è alla sua altezza e si dilegua lasciandolo ancora addormentato nella stanza d’albergo dove avevano consumato. Una stanza, precisa l’autrice, “piccola, ma accogliente e molto intima per l’occasione”. C’è da struggersi al pensiero di come potesse mai essere quella stanza.
Per rendere la cifra di questo libro è opportuno scendere nei dettagli.
Gli innumerevoli errori di grammatica, di consecutio e di sintassi che tempestano il lettore non possono essere gabellati per semplici refusi. Basta andare a pagina 13 per leggere “… lui voleva tentare di raggiungere il suo cuore e se non ci sarebbe riuscito, avrebbe continuato la sua vita.” Notato nulla? Oppure a pagina 36, dove l’autrice ha scritto “Gli ultimi tre metri Thomas gli fece a passo veloce“, o a pagina 37, dove si è esibita in un “Tutto il vicinato si preoccupava per lui, alcuni lo venivano spesso a trovarlo” o a pagina 39, per leggere “Le sue dite sfiorarono la sua pelle morbida e candita e in quel momento Meg chiuse gli occhi per poi riaprirgli e accennare un sorriso”, o anche a pagina 40, dove si può ammirare “Claudio in quell’asso di tempo non seppe cosa fare, chiuse un momento gli occhi” e se non basta si può aprire pagina 42 e deliziarsi con un “A quel punto, visto come erano andate le cose tra loro, decise di telefonare la redazione di un noto giornale di New York ed accettare la proposta di lavoro”. Non continuo per non apparire pedante, né mi soffermo sul florilegio dei gerundi orfani abbandonati dall'autrice nelle sue pagine.
Ci sono anche innumerevoli incongruenze - sulle quali è meglio sorvolare - che vanno a completare il quadro di sostanziale sciatteria stilistica che emerge, al di là degli errori di grammatica, fin dalle prime pagine. Tale sciatteria - per nulla controbilanciata dai contenuti - ha dato luogo a passaggi involontariamente esilaranti, come ad esempio a pagina 12, laddove e stato scritto “Guardò più volte l’orologio che stava sulla mensola, moriva dalla voglia di abbracciarla e dentro di sé sentì la paura di perderla.” Voleva abbracciare la mensola? Oppure a pagina 14, dove si legge “La guardò negli occhi e spostandole i capelli da un lato della sua testa riprese a parlare”. Cioè, le cambiò l’acconciatura prima di rivolgerle la parola? E meno male che è stato precisato che la testa era la sua, altrimenti chissà cosa si capiva. A pagina 34 invece si parla di un tipo in ospedale con una gamba ingessata che “… se ne stava di fronte a lei mantenendosi ai piedi del letto per non cadere. Faceva fatica a stare in quella posizione”. E lo credo che faceva fatica a stare in quella posizione, col gesso non è molto comodo parlare stando attaccati ai piedi del letto, anziché DENTRO il letto. Se non bastasse, si può andare a pagina 32, per leggere “Se la madre gli diceva di non fare una determinata cosa, lui si sentiva in dovere di ubbidire di sana pianta senza discutere.” Come si obbedisce di sana pianta? Boh.
A pagina 10 si racconta di un ragazzo triste, perché la sua fidanzata l’ha lasciato, che incontra per caso una specie di maga, la quale si offre di risolvere i suoi problemi d’amore. Lui lì per lì rifiuta l’offerta poi però, a notte fonda, ci ripensa e dopo essersi alzato e vestito in fretta e furia, va a trovarla (lei gli aveva lasciato il suo bigliettino di visita, casomai ci ripensasse). La maga, precisa l’autrice, abitava in un appartamento “molto piccolo e accogliente, adatto ad una personcina buona e sensibile come lei”. Ecco, è chiaro che prima si cerca di capire - invano - come possa essere un appartamento del genere (già la stanza d’albergo ha suscitato una bella curiosità) e poi vien voglia di trasformare il libro in coriandoli per il carnevale estivo, peccato sia un e-book.
I luoghi comuni si sprecano, i sentimenti emergono come plastificati e racchiusi negli stereotipi più abusati. Ogni racconto appare staccato dalla realtà e immerso nella più completa inverosimiglianza: basta leggerne uno per averli letti tutti. Non soccorre di certo il titolo (cosa vuol dire La stanza rosa?), tantomeno la quarta di copertina, che appare come un insieme di parole messe a casaccio e per nulla attinenti al libro. Sorvoliamo, per concludere, sulla sostanziale inconferenza della prefazione e della postfazione, d'altra parte l'autopubblicazione difficilmente riserva belle sorprese.
L’ebook costa un euro e 49 centesimi, meglio aggiungere qualche spicciolo e farsi un bel cappuccino e brioche.