Torniamo con la consueta e aperiodica rubrica dedicata alle sentenze decise nel tempio dei templi: la S.C. d. C. (Suprema Corte di Cassazione, laddove si scrive molto). Oggi parliamo di diritto del (e al) lavoro, ossia di cose che si devono fare e altre che non si devono assolutamente fare sul posto di lavoro (cosa credevate, che si dovesse solo lavorare?).
Anzitutto – ed è inutile che poi andate a lamentarvi in Cassazione – sul posto di lavoro è vietato dormire. Non lo sapevate? Ecco, ora lo sapete. Così non rischiate di fare la fine di quel lavoratore sorpreso addormentato su di uno sgabello, a circa 7/8 metri dalla macchina avvolgitrice che doveva vigilare, che ha avuto una reazione offensiva nei confronti del direttore che lo ha rimproverato. Poveretto, è dovuto andare fino in Cassazione per scoprire l’amar verità: sul posto di lavoro non si dorme, soprattutto se si deve vigilare su un macchinario. Ma tu guarda quante cose si scoprono solo quando è tardi.
Se invece vi astenete dall’andare a lavorare di domenica perché volete andare a messa, non vi succede nulla, purché recuperiate nel vostro giorno di riposo. Uno potrebbe obiettare che se tutti facessero così l’attività di quell’ufficio (postale, nella fattispecie, ma si sa che le poste funzionavano bene solo quando…) sarebbe paralizzata di domenica, ma non è il caso di sottilizzare. L’importante è che andiate a messa e che preghiate, eventualmente fatevi firmare un cartellino di presenza dal prete. Ah, dimenticavo, ovviamente la messa dura un’oretta, però oramai la giornata è spezzata, quindi…
Una cosa invece da non fare è dire al proprio datore di lavoro: "io ti distruggo" e/o "io ti spacco il fondoschiena" (e chi lo avrebbe mai sospettato che ‘ste cose non si dicono al datore di lavoro!). Anche se “fondoschiena” è meno, come dire, forte di un suo più conosciuto sinonimo, lo sa bene un povero – e direi poco informato – autista siciliano che lo ha imparato a sue spese.
Una cosa sconsigliabile, poi, anche se sembra strano – e meno male che qualcuno è andato fino alla Cassazione per farlo sapere all’umanità – è trascorrere il periodo riposo medico, ottenuto per un infortunio patito sul posto di lavoro, arando un terreno e accudendo un agrumeto. Il datore di lavoro ha ritenuto che quel dipendente – che percepiva l’indennità di infortunio per essersi rotto un dito di una mano – svolgesse attività tali da ritardare la guarigione. Immaginatevi la sorpresa del lavoratore a questa decisione della Cassazione, assunta dopo opportune perizie mediche, e lui che, invece, pensava che quell’attività gli facesse bene alle dita! Vatti a fidare dei medici di famiglia.
Se per motivi di lavoro vi viene messo a disposizione un computer, state attenti a come lo usate. Ad esempio non è consentito, tra le varie cose, formare e inserire in siti Internet materiale pornografico ed annunci contenenti offerte di prestazioni sessuali e scaricare foto e filmati pornografici. Incredibile, nevvero? A volte ci rendiamo proprio conto di vivere nell’ignoranza. Comunque, già che ci siamo, è bene sapere due cose fondamentali, nel caso incontraste quella – sfortunata – dipendente sorpresa a esercitare il meretricio con mezzi e strumenti di proprietà del suo datore di lavoro:
- non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta di chi affitta un immobile a coloro che esercitino per proprio conto l'attività di meretricio, nonostante sia a conoscenza dell'uso a cui gli stessi immobili erano stati destinati dal locatario, purché l’affitto sia a prezzo di mercato (be’, logico, magari poi la prostituta lì manco ci abita, però l’importante è l’aspetto fiscale);
- integra invece un gravissimo reato prestare la casa alla squillo, perché ciò incentiva l'esercizio della prostituzione. Lo ha affermato la terza sezione penale della Cassazione, confermando la condanna nei confronti di un uomo per favoreggiamento del meretricio per avere dato in comodato gratuito una stanza del suo pied a terre a una donna, consentendole così di esercitare la prostituzione. Pare che l’esame dell’arredamento di quella stanza non abbia lasciato dubbi negli inquirenti (che d’altro canto, lì per lì, ci credevano davvero tanto, sì, sì, che quella stanza era concessa in uso gratuito, come no, ci crediamo anche noi). L'importante è che a pagare siano tutti.