Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 15:07 del giorno 04/11/2006
Non ci sono finestre nel salone.
Contro le pareti tremolanti luci artificialmente soffuse risaltano indistinguibili profili ed inquietanti ombre in lento e perenne movimento.
Nell'aria un leggero profumo: droga sublime, assenzio che rapisce, che imprigiona, che fa impazzire, che logora la mente, che eccita i corpi.
Quanta gente entra ed esce dal salone infernale, dove si godono pazze allucinazioni! Tutti felici, anche chi è conscio dell'ineluttabile male che subirà.
In quel salone abita l'amore mentale.
Quello fisico, da solo, non è apprezzato: troppo misero ed inutile; non appaga, non serve a nulla.
Silenziose figure senza tempo si aggirano - chi frettolosamente, chi noncurante, chi con invitante e sfacciata aria di sfida - tra i centomila specchi, grandi e piccoli, di ogni forma, sparsi per il salone, disposti secondo astratte geometrie ovunque: per terra, sui muri, sui soffitti, sulle porte; tra quelle arcate inquietanti vetri e frammenti irregolari di specchi segnano gli itinerari degli ospiti, luminosi e perversi.
E' il labirinto proibito, dal quale non si può uscire indenni.
Le immagini virtuali dei visitatori passano contemporaneamente sulla miriade di specchi, poliedriche espansioni della realtà, riflettendo nebbiose situazioni di lontane figure ad altrettanti silenziosi e frementi voyeurs.
Si può godere segretamente e pazzamente osservando chi passeggia, scoprirne i vizi, senza sapere da dove provenga la sua immagine e senza temere di essere rimproverato; ci si può mostrare liberamente, spiare le altrui debolezze, ma la reale posizione di chi osserva è segreta e virtuale, come quella di chi si mostra, persa in quella realtà speculare capovolta una doppia infinità di volte.
Le immagini riflettono e rifrangono mille volte, prima di arrivare alle menti degli osservatori. Si possono osservare i mondi segreti di altre dimensioni e dare libero sfogo ad ogni desiderio, anche a quello più inconfessabile, più indecente, più volgare: troverai sicuramente chi ti ammirerà e ti ricercherà.
Tutti sono felici di potersi mostrare agli infiniti spettatori, dei quali non si potrà mai identificare la reale posizione, né il reale numero.
Tutti felici di poter ricambiare con lo spettacolo del loro intimo, protetti dal segreto disegno degli infiniti specchi, che rimandano ai nostri occhi mondi inquieti.
L'osceno, l'immondo ed il volgare, solo con ricercata e pulita raffinatezza.
Chi tenta di rintracciare qualcuna delle figure che si aggirano tra gli specchi potrebbe morirne, ancor più se tentasse di rintracciarle al di fuori di quel tempio labirintico.
Anch'io oggi passeggio tra gli specchi ed osservo. Godo di infinite visioni di pazzeschi universi.
Solitario provoco e risveglio gli istinti più bassi di chi mi circonda.
Ma mi annoio.
All'improvviso appari.
Ti vedo, mi sorridi ma non ti guardo. Chissà dove sei e a quanti, contemporaneamente, starai sorridendo, nel caleidoscopico labirinto speculare.
Riappari, ti vedo, mi sorridi. Ricambio con una volgarità.
Non desisti, non resisti. Ma dove sei? Quante volte la tua immagine è riflessa prima di arrivare ai miei occhi?
Stai veramente guardando me?
Ed io Te?
O per buffa legge fisica le nostre immagini rimbalzano su infinite superfici fino a riverberare in altri occhi?
Ti fuggo. Mi è bastato spiarti una sola volta, sei la perfezione, mi attanagli, mi togli il respiro.
Ti voglio.
Non mi concedo oltre, ma tu mi insegui ed appari continuamente negli specchi che io osservo e mi inviti a liberarmi dei miei segreti, lo ammetti e lo dimostri in ogni modo: MI AMI.
Non mi fido, probabilmente stiamo comunicando con altre persone, vittime delle intercettazioni, abusive, permesse nel salone.
No, ecco, ci stiamo vedendo di nuovo. Tu ti avvicini e mi rendo conto che tra noi ci sono sempre meno specchi. Ci vediamo sempre più grandi, più aperti, più nitidi. Mi convinci sempre più, stai pronunciando il mio nome. Ti esibisci solo per me.
Molte creature inquiete tentano di intromettersi tra i nostri specchi abbandonàti, ma oramai non c'è più spazio per loro. Non li guardiamo più, rapiti dalle note di un lontano violino, lentamente viaggiamo nel tempo e nella luce, attraverso il paradiso di quegli infiniti specchi.
Continuiamo, tra i sorrisi ed i cenni d'intesa, ad avvicinarci, siamo sempre più vicini ed ascoltiamo la struggente melodia dell'arpa degli dei.
Dove sei? Tutto si accende, inebrianti note escono da magici strumenti e danzatrici egiziane muovono soavi passi tra gli insostenibili profumi dei loro corpi.
Mi riempio di te, del tuo sorriso, della tua luce e dei tuoi occhi. Io sono arrivato, non ho più specchi davanti a me, non guardo più nessuno, sono pronto. Tremendi orgasmi mi stanno squassando la mente. Non ho più alcun ritegno, sono solo per te.
Anche tu ci sei, siamo sempre più vicini, mi mostri la tua persona. Non ci sono più specchi tra di noi, ma non possiamo ancora abbracciarci, non è dato neppure pensarlo.
Una luce color cobalto ti avvolge, radiosa immagine mi ipnotizzi ed io, rapito dall'estasi, sono felice. L'orgasmo si è oramai impadronito dei miei movimenti.
Nessuno dei presenti sa a chi sto sorridendo, qualcuno crede stia guardando lui e ricambia. Qualcuno lancia sfacciati messaggi, ma lascio perdere, il mio intimo si è schiuso in tutta la sua magia. Non ci sei che tu nuda, solare, perfetta creatura maledetta. Ti offri senza vergogna e pudore, mi cerchi.
Ci ripenso, non mi fido più, mi allontano, proseguo tra gli specchi. Osservo altre figure meno attente a me. Lancio perversi messaggi, sfogo la mia pazzia. Non ti voglio più, vattene.
Ma tu sei sempre presente, sempre accanto a me. Sempre più vicino. Mi hai convinto. Mi volto di nuovo verso di te, ci sono. Sei proprio chi cercavo.
Allungo la mano, ti voglio accarezzare, lo so che è proibito, ma voglio avere anche il tuo corpo, non resisto, devo corrompere le nostre menti... ecco... ci sono, quasi... sorridi... ti offri a me... porgi il tuo corpo... scintillano i tuoi occhi... freme la mia mente... ancora un istante e ci siamo. L’infinitesimo da non sorpassare.
Fulminea l'ombra, scura e rapida la mano, veloce il proiettile che ti raggiunge. Sobbalzi, sei colpito al petto ma non muori, non esce sangue, rimane la tua nuda presenza, rimane il tuo volgare incedere... ma non muori.
Un urlo silenzioso mi trafigge la mente, mentre lo specchio va in frantumi con la tua faccia sorridente ancora impressa.
Non eri tu, c'era ancora uno specchio: l'ultimo, quello di cobalto.
Il proiettile diretto a te ha trafitto a morte me.
Scompari dopo che il tuo bestiale sorriso si è nuovamente moltiplicato centomila volte in centomila frammenti; il tuo corpo si è suddiviso in centomila porzioni, sotto lo sguardo goloso dei presenti, che si muovono ciechi per vedere e godere meglio, mossi dalle loro menti malate, per assaporare almeno qualche briciola del mio delirio.
C'era ancora uno specchio tra noi: il tuo. Da quello specchio violentavi centomila persone con un solo sguardo ed a tutte sorridevi, dal tuo mondo blu cobalto, a tutte facevi cenno di avvicinarsi, a tutte chiedevi, a tutte promettevi. Le hai tradite tutte e chissà ora dove sono, mie compagne di sventura, distrutte in qualche angolo del salone, distrutte meditando vendetta. E' la maledizione dello specchio.
Il tuo vizio è il più nefando, uccide lentamente e corrode l'esistenza di chi ha la sfortuna di incontrarti.
Fortunatamente hai successo solo nel labirinto degli specchi: non sei felice perchè non puoi scegliere, non conosci l'equilibrio.
Peggio per me, non dovevo fermarmi, non dovevo fermarmi, non mi dovevo svelare, non mi meritavi. Ma ho amato, a modo mio, così come sono capace.
Una parte di me è andata in frantumi con lo specchio, ma ti amavo.
E mentre nel delirio della pazzia e del dolore esco di corsa dal salone magnetico, ti vedo fuggevolmente in uno dei frammenti caduti per terra. Sorridi. Fai cenno di avvicinarmi. Ricominci la tua farsa meschina.
Gli occhi si velano, la vista e la mente si annebbiano. Mi sembra di vedere, nascosta dietro un tendone, la danzatrice egiziana, che sorride, accarezzando il suo serpente.
Ai suoi piedi, tra la polvere di una clessidra in frantumi, ti vedo... non mi importa.
Tanto non piango.
Tanto è una follia.
...ma tutto ciò mi rende terribilmente felice.
E lo rifaccio.
(da un manoscritto anonimo, recapitatomi da una persona anonima)