Questo lo avevo scritto alle ore 20:56 del giorno 05/12/2011

Era la nostra prima vacanza importante, fuori e lontano da tutti per un bel po’ di tempo. E sarebbe stata una bellissima vacanza densa di circostanze stravaganti e divertentissime., lo sapevamo già prima di partire.
Partimmo elettrizzati e fin da subito ci facemmo conoscere.
Insomma l’itinerario era abbastanza tortuoso: Casella – Genova – Livorno – Olbia – Palau – Isola della Maddalena. Tutto con i mezzi pubblici e valige pesantissime ed ingombranti al seguito.
Alla stazione di Genova Principe, dove stavamo aspettando con ansia il treno che ci avrebbe portati a Livorno, l'altoparlante fece un annuncio incomprensibile.
Cristina era intenta a fare le parole crociate e le si avvicinò una distinta signora:
- Scusi, va a Roma? Chiese, indicando l’altoparlante.
- No, vado in Sardegna, in vacanza, alla Maddalena. Rispose Cristina.
- Ma no signorina, ah ah ah, volevo sapere se questo treno che sta arrivando va a Roma! Replicò la viaggiatrice ridendo come una matta.
- Ah, guardi non lo so. Replicò rituffandosi nelle definizioni verticali ed orizzontali.
Con quella storia vivemmo di rendita fino in Sardegna. Ne elaborammo tutte le versioni possibili.
Arrivati finalmente a Palau un signore ci vide assediati dai bagagli.
- Scusate, vi serve un taxi?
- No grazie. Rispondemmo quasi in coro.
- State attenti che quella vi si rompe. Disse alludendo alla valigia di Cristina.
- Ma cosa dici, portasfiga. Replicammo tra noi, sempre quasi in coro.
Dopo 10 passi... Sdram… l'impugnatura della valigia di Cristina rotta. Fanculo. La prese in braccio.
Insomma arrivammo sull'isola della Maddalena dove ci aspettava un'altra amica, la quale ci accompagnò nella casa delle nostre agognate vacanze, casa sulla cui descrizione è meglio stendere un velo pietoso.
Ci rilassammo un po', mettemmo a posto i bagagli e la sera, ovviamente, uscimmo in giro a zingarare.
Al rientro un fatto imprevisto si presentò a turbare quella vacanza appena iniziata: non ci ricordavamo più dov’era la casa.
C'eravamo persi.
Un labirinto di strade e stradine, quasi tutte uguali, si prendeva gioco di noi.
O cavolo, girammo senza meta per un bel po’, oltretutto a Cristina scappava la pipì.
Non sapevamo come e cosa fare e non esistevano nemmeno i cellulari. Era il lontano 1987, c'erano solo grossi telefoni, chiusi in anguste cabine, che funzionavano con pesanti e rigati gettoni (che più che altro servivano per fare gli scherzi telefonici).
Io mi ricordavo solo il numero civico: 56.
- Eh si adesso ci facciamo il giro di tutti i civici 56 e magari poi la troviamo anche, casa nostra. Magari possiamo provare le chiavi in tutte le serrature delle porte che ci sembrano assomigliare alla nostra. Rispose Valeria.
Ma della casa nessuna traccia, tutte le stradine sembravano uguali e simili a quella che passava davanti a casa nostra. Ci stavamo preparando al peggio. Giravamo alla cieca, disperati per non aver pensato di memorizzare il percorso, magari tipo Pollicino.
L'amica che ci aveva accolti ed accompagnati era - sì - uscita con noi quella sera, ma poi ci aveva salutati ed era andata a dormire, lasciandoci soli ed in balìa delle nostre stravaganze congenite.
Ci fermammo per fare il punto della situazione, che si era fatta drammatica.
Dopo un bel po' di chiacchiere, di sforzi mnemonici, di ragionamenti più o meno calzanti e di variegate proposte, Valeria:
- Beh ragazzi, io sono arrivata, ciao.
Eravamo fermi davanti a casa nostra da almeno un quarto d’ora e non ce n'eravamo accorti, presi com'eravamo dalla disperazione. Non sapevamo nemmeno noi come c'eravamo arrivati, senza contare che la stradina era strettissima e quindi lo sguardo non aveva troppo da vagare. Avremmo dovuta vederla subito.
Entrammo in casa e iniziammo a ridere.
Senza motivo apparente ma con quel riso che ti toglie tutte le forze e ti soffoca, che non ce la fai a restare in piedi. Ci buttammo - infatti - per terra e tutto ci faceva ridere, soprattutto gli arredi, rozzissimi, e i soprammobili di quart’ordine di quella magione surreale. C'erano oggetti vari che non servivano proprio a nulla, magari dimenticati dai precedenti - avventati - occupanti i quali - avevamo ipotizzato tra i singulti del riso - non volevano più avere nessun ricordo di quel posto. Ad esempio c'era un cerchietto per capelli sul mobile della cucina. Boh.
- Ecco, tenetevi anche questo. Grazie, a mai più, non ci fregate più.
Ridevamo sguaiatamente rotolandoci per terra, senza mezzi termini. Senza il benché minimo ritegno e senza motivo, come i matti.
Poi in un momento in cui la ridarella era un po’ diminuita, l’occhio ci cadde sul frigorifero, anzi sulla marca del frigorifero: GORENJE.
- Guardate, GORENJE! Gridò qualcuno che aveva trovato la forza - non si sa come - di rialzarsi.
Il frigorifero aveva quella marca. Gorenje, mai sentita.
Come dei dementi ripetevamo quella marca e ridevamo. Erano le 2 di notte. Gorenje, Gorenje. Sopra Gorenje (non lo abbiamo mai più chiamato frigo, bensì col suo nome di battesimo: Gorenje) c’era un portacenere fatto di das, come quelli dei regalini delle elementari, in cui c’era una batteria scolorita. Anche quella ci faceva ridere scompostamente. Chissà da quale epoca remota era lì e a cosa serviva. Ipotizzammo potesse servire per Gorenje, casomai fosse andata via la luce.
Ad un certo punto qualcuno bussò furiosamente alla porta.
Cavolo, che paura. Si erano fatte quasi le due e mezza di notte.
Aprimmo. Era la padrona di casa (che abitava sopra di noi, sembrava Regan la bambina dell’esorcista, con 40 anni in più), in camicia da notte semitrasparente rosa pallido, spettinatissima e scalza. Le prime cose che vedemmo di lei, essendo noi sdraiati per terra ed avendo pertanto noi aperto la porta da sdraiati, furono i suoi piedacci scalzi.
Stagliata sulla porta, di notte avrebbe dovuto farci paura. Avrebbe…
- Ma la smettete? State facendo troppo casino e io non ce la faccio a dormire. Adesso basta!!
E si ritirò indispettita nei suoi alloggi. Noi invece ridemmo per quasi tutta la notte, passando dai piedacci di Regan, da Gorenje e dalla signora della stazione Principe, mandando affanculo il tassista portasfiga.
Ma non era finita.