In quest'opera, che racconta di epiche sparatorie in cui c’è gente che continua a combattere indefessamente nonostante abbia 5 pallottole in corpo, si raggiungono livelli di letteratura stupendi, ad esempio laddove si dice che sul giornale la storia della sparatoria nell’ufficio del tribunale viene trattata in “maniera maschia”, oppure che il campanello di un appartamento è “breve e di classe”, per non parlare degli assassini – e ce ne sono tantissimi, tutti sbaragliati – che prima di uccidere una persona gli raccontano per filo e per segno cose che altrimenti nessuno sarebbe mai venuto a sapere, una sorta di confessione da film americano da quattro soldi, oppure quando dal piano strada un poliziotto occhio di falco vede che nel palazzo di fronte, al sesto piano c’è un soppalco di lusso da dove ha di certo sparato l’assassino (imbranato, che non ce l’ha fatta a uccidere i due protagonisti, durante l'attentato al tribunale). Un libro in cui il gusto per la descrizione occupa lunghissime frasi che vanno ad accentuare il senso di disagio, per non dire fastidio, che assale il lettore pagina dopo pagina. Il finale, poi, raggiunge l’apoteosi della noia: un mix di descrizioni troppo meticolose, situazioni fantascientifiche (che lo scrittore spaccia per verosimili) e morale alla volemose bene; su tutto il libro, nonostante la storia sia ambientata in Francia, aleggia un’aria da commissariato disinvolto e molto watsauanaghein, come direbbe Alberto Sordi.