Questo lo avevo scritto sul vecchio blog alle ore 08:43 del giorno 04/09/2006
Oramai era giunta l’ora di chiarire anche questo.
Non potevo più rimandare, altrimenti il pensiero mi avrebbe portato via ulteriore prezioso tempo, che avrei invece voluto dedicare ad altre incombenze.
- “Che differenza c’è tra “mamma” e “madre” e tra “papà” e “padre”? Chiesi alla mamma in un fresco pomeriggio dell’autunno Sanremese dell’anno 1969.
- “Nessuna” – rispose la mamma sorridendo – “si può dire mamma, madre, papà o padre, è uguale”.
Ecco, meno male. Tutto chiarito. Infatti è vero, anche alla TV, ad esempio in quegli annoianti sceneggiati, a volte la gente si rivolgeva ai genitori chiamandoli sia “mamma” sia “madre”. Anche nei vari e casuali discorsi, a volte appariva “papà” o “padre”.
Ma immediatamente un flash mentale attivò nuovi – quanto pericolosi, come vedremo più avanti – dubbi.
~ Se “papà” diventa agevolmente”padre”, allora anche “nonno” può diventare “nodro”, zia “zidra” eccetera eccetera. ~
Pensai quindi di trovare la soluzione da solo. Avevo, si, 5 anni, ma non ero mica scemo.
Cominciai quindi ad ascoltare tutti i discorsi che mi capitavano a tiro. Dei grandi, al mercato, alla Standa, anche alla radio, o alla TV. Ma nulla, sentivo solo qualche sparuto “madri” ma gli zii restavano zii e le nonne, nonne.
Decisi allora di consultare quella che, nella mia testolina, era diventata come l’enciclopedia contenente ogni risposta: lo sceneggiato del giovedì sera, preceduto magari dal telegiornale (non si sa mai). Se lo dicono alla televisione, è vero.
Quella sera a casa nostra c’era la nonna, che accese la TV, dopo avere scostato quel cappottino di stoffa pesantina con arricciature varie e motivi floreali che si metteva per non farla impolverare e sul quale si vedeva, accasciato, il filo con la spina, nei periodi in cui era spenta (la accese 10 minuti prima, dallo stabilizzatore, perché si doveva scaldare). Le immagini in bianco e nero scorrevano sullo schermo, mentre tutti guardavamo ed ascoltavamo in silenzio, in penombra, rischiarati dalla fioca luce dell’abat-jour sistemata sul mastodontico apparecchio.
Nulla! NULLA di nulla! Anche da letto tesi l’orecchio, nessuno usava quelle parole.
O capperi! Non si poteva andare avanti così.
La mattina dopo andai come sempre all’asilo. Dopo avere giocato per un bel po’, ecco che il dubbio congestionò in maniera avvolgente le mie sinapsi, me ne ero dimenticato. Ma come si fa a dimenticare una cosa così?
Decisi di parlarne ad un amichetto, che si chiamava Nico e che per merendina si portava sempre cose stranissime: polpettone, polpette, torta di verdura. Solo una volta si portò un panino col formaggino. Ma non ne offriva mai a nessuno.
Abbordai Nico:
- “lo sai che si può dire sia “mamma” e anche “madre”? Vogliono dire la stessa cosa.”
- “Si, lo so” – rispose Nico.
- “Ma anche “nodro” e “nodra”, vero?” – Continuai.
- “Boh!” - Rispose lui.
Ok. Nico era bruciato. Se ne fregava.
Che fare?
Ecco Carla! Carla era una bambina molto per bene, saputella, rotondetta, che a volte parlava ininterrottamente, raccontando cose di cui me ne importava poco.
- “Ciao” – Dissi avvicinandola.
Lei rispose con un sorriso. Era in compagnia con altre due amichette, tra pentolini e bambole “Furga”.
- “Lo sai che si può dire sia “mamma” e anche “madre”? Vogliono dire la stessa cosa.”
- “Ebbè?” - Rispose lei
- “E chi se ne importa.” – Replicò una sua amichetta, che mi pare si chiamasse Assuntina (negli anni 60 molti lavoratori si trasferirono al nord).
Ignorai Assuntina.
- “Ma anche “nodro” e “nodra”, si può dire, vero? Vogliono dire la stessa cosa, oppure “cugidro”– Continuai.
Carla posò la bambola “Furga” su una seggiolina. Si portò una manina alla fronte, roteò gli occhi e disse: - “O mamma, che cosa mi dici!” e si accasciò a terra, svenendo elegantemente.
In pochissimi istanti vi fu il caos.
L’altra amichetta, non Assuntina, scoppiò a piangere a voce incredibilmente alta, aprendo senza ritegno una smisurata bocca sdenticchiata che oggi definirei “attiraschiaffi”.
Assuntina alzò gli occhi dai pentolini e gridò, gurdandomi, come per dire “ora ti faccio vedere io”: -“Suoraaaaa (quell’asilo era gestito da suore)…Stranoforte ha ammazzato Carlaaaaaaa”.
Tutti i bambini e le bambine si avvicinarono a guardare Carla stesa a terra, immobile.
Suor Caterina accorse a grandi passi, nel suo abito svolazzante. Di colpo Carla aprì gli occhi e si rialzò in piedi, stavolta visibilmente preoccupata.
- "Era uno scherzo, suora! – spiegò carla – Non mi ha mica ammazzato!."
Tutto finì li. Io ero arrabbiatissimo. Non riuscivo a capire come si potesse essere tanto disinteressati. Inoltre per un pelo non mi davano la colpa della morte di Carla. Ma perché era così scema?
Oggi invece penso che Carla – che non ho mai più rivisto, e chissà cosa starà facendo ora, spero legga questo post - era la bambina più geniale del mondo. Eravamo all'asilo, nel 1969, quindi non poteva avere più di 5 anni, altrimenti avrei pensato che in realtà non si chiamava Carla, ma Eva. Sicuramente invece Eva, nel 1969, stava gia collaborando con il prof. Barnard, quindi non poteva essere lei.
Mah..vabbe. Anche l’asilo oramai era bruciato.
Tornai quindi alla carica con i grandi.
Chiesi a tutti i parenti: chi sorrideva, chi con fare accondiscendente diceva: -“eh, si!”, chi mi diceva che non era corretto. Ma nessuno mi spiegava bene la cosa.
Inserii allora quei termini nei miei discorsi. Parlavo disinvoltamente e provocatoriamente di “nodri” di “zidri” e di “cugidri”, sperando di suscitare in qualcuno la necessità di spiegarmi qualcosa.
Una sera, finalmente, la mamma si decise. – “Stranoforte” – disse – “quelle parole non si usano nei discorsi, non sono corrette.”
- “Ma perché?” – chiesi.
- “Perché no, perché si può solo dire di mamma e di papà. Guarda che se quando vai a scuola dici quelle parole, ti bocciano eh!.”
Acc…!! Non le potevo dire e basta, senza nessuna spiegazione plausibile. La solita prevaricazione. Ebbè...certo...loro erano grandi e vietavano. Eppure nei discorsi non stonavano. Però il riferimento alla bocciatura pose fine – almeno così credevo – alla questione. Infatti avevo una mia idea, che prima o poi vi illustrerò, in ordine alle bocciature.
Nemmeno a farlo apposta, quella sera arrivò a casa nostra una mia zia. Dopo una lunghissima conversazione spettegolistica, la mamma invitò la zia a fermarsi a cena. Dopo non pochi convenevoli e complimenti, la zia – che in effetti sperava che la mamma continuasse ad insistere – accettò. Però doveva avvisare il marito (mio “zio”) ed il figlio (mio cugino) che quella sera avrebbero tutti cenato da noi.
La zia mi guardò sorridente.
- Adesso la zia telefona allo zidro ed a tuo cugidro, cosi stasera stiamo tutti assieme.!
…
Ancora adesso sono certo di averlo solo pensato: “vaffanculo”. Ma la reazione della mamma mi ha aperto un ventaglio di ipotesi:
- i miei pensieri, essendo io piccolo, potevano essere sentiti dai grandi;
- la mamma legge nel pensiero;
- la mamma, molto più semplicemente, sa sempre tutto;
Con la maturità ho aggiunto altre ipotesi:
- ho solo mosso le labbra, e la mamma – che inizialmente ridacchiava – ha invece letto il reale senso del termine;
- l’ho detto a voce alta.
Il dubbio in ordine alla diversa citazione dei parenti, violentemente e contro ogni mia volontà, fu chiarito ed ogni questione in merito venne definitivamente archiviata.