Iniziamo la settimana più che bene con la presentazione di un autore/editore (e viceversa). L'ho intervistato e per ora vi svelo il lato dell'autore, domani toccherà anche a quello dell'autore.
Si chiama Fabio Gimignani, eccovelo.
Ciao Fabio, grazie per la disponibilità. Iniziamo con la domanda di rito: ci dici la maggior parte di cose su di te, gossip compresi, nel minor numero di battute possibile?
Nato.
Vissuto.
Non ancora morto.
E con questa anche Ungaretti è sistemato!
No, dai: scherzi a parte. Sono quasi un fossile (classe 1965) nato e cresciuto a Firenze con un trascorso di trent'anni nella comunicazione e tanti interessi. Forse troppi.
Ho sempre amato leggere e mi sono appassionato ai Classici fin dai tempi delle scuole medie. Lo so: un ragazzino di undici anni con la passione per Omero è roba strana; così strana da rischiare di subire quello che allora non si chiamava ancora “bullismo”, ma già c'era. Per fortuna un'altra mia passione sono sempre state le Arti marziali, così ho potuto continuare a leggere l'Iliade senza che a nessuno venisse l'idea di farmene una colpa.
Col tempo ho scoperto Poe e Lovecraft, per poi approdare a Stephen King che, nonostante secondo i più (quelli con la puzza sotto al naso, hai presente?) sia da considerare troppo mainstream per chi si occupa di LetteVatuVa (la “v” non è un refuso), è rimasto uno dei miei punti di riferimento principali.
Sono sposato due volte, quindi ho perso il diritto alla Condizionale e al riconoscimento della sanità mentale, adoro gli animali e ho una malsana passione per le armi da punta e da taglio.
La politica mi fa letteralmente vomitare e penso che il calcio stia bene dove sta: in alto a sinistra sulla Tavola di Mendeleev! Sì, a costo di essere impopolare, ti confesso che negli stadi ci coltiverei i broccoli, utilizzando come braccianti non retribuiti tutti i calciatori di serie A e B.
Circa il gossip, non sono abbastanza famoso per essere interessante, ma se Belen Rodriguez vorrà essere così cortese da darmela, ti assicuro che sarai il primo a saperlo!
In giro si dice che tu non ricordi bene se pubblichi per lavoro e scrivi per piacere, o viceversa. Cosa puoi dirci a tua discolpa, ossia ti senti più scrittore o più editore?
Decisamente più scrittore, anche se mi concedo di esserlo solo dopo aver svolto il compito di editore. È a causa di una brutta e rarissima malattia della quale sono mio malgrado vittima: l'etica.
Cerco di far convivere le due cose assumendo la pozione di tanto in tanto e staccando il cellulare del Dottor Jeckyll, per far sì che Mister Hyde possa sedersi in veranda a scrivere, dopo essersi acceso un “Camacho” (sigaro Davidoff arrotolato a mano in Honduras, citato abbondantemente nel mio ultimo romanzo Gli artigli delle farfalle, edito da JollyRoger Edizioni) e versata una Tequila. Meglio due.
Il buon Hemingway era solito ripetere «Write drunk and edit sober»... io so di essere lontano anni-luce da Il vecchio e il mare, ma almeno sul piano etilico mi sento in sintonia con il Maestro.
Pubblicare i libri è diverso.
È un lavoro, ma non lo faccio solo per quello.
Se non fosse che ho una reputazione di stronzo da difendere, ti direi che lo faccio principalmente per godere del sorriso che esplode sulle labbra di chi si sente dire: «Sì. Pubblicherò il tuo libro».
Ma diciamo pure che è uno sporco lavoro e qualcuno deve pur farlo, che non ci sono più le mezze stagioni e che, una volta, qui era tutta campagna.
Iniziamo dallo scrittore, ti va di confessarci il tuo percorso?
Ho sempre scritto.
Fin da quando fece la sua comparsa in casa una “Olivetti Studio 44”, ho amato pestare su quei tasti e scrivere. Qualsiasi cosa, dalla lista della spesa, alla letterina per quel gran figlio di puttana di Babbo Natale, ai romanzi gialli.
Sì, perché alla tenera età di otto anni scrissi il mio primo giallo. Si intitolava L'anfora d'oro, e mia madre si prese la briga di correggerlo e ribatterlo a macchina, per poi rilegarlo con una copertina giallo pallido. Il mio analista sarebbe felice di questi ricordi così nitidi... devo ricordarmi di parlargliene.
Tornando all'Anfora, era una cagata pazzesca (cit.), ma avevo trovato il modo di confrontarmi con quella bestia perversa e crudele chiamata “trama”, rimanendo colpito da quanto possa essere infida e bastarda.
Ma come tutti gli eroi - più l'impresa è pericolosa, più se ne subisce il fascino - decisi di non lasciarmi intimorire e continuai a scrivere. E leggere. Ho letto qualsiasi cosa, dall'opera completa di Shakespeare al bugiardino dell'Aspirina, anche se con differente interesse: la Bayer non cura troppo le trame delle proprie opere.
Poi, durante le superiori impattai contro una gigantesca baldracca travestita da insegnante di Lettere che tentò in ogni modo di dissuadermi dall'amore per la scrittura. Le devo molto, oltre a un numero imprecisato di calci nel culo: se non fosse stato per il suo essere così irrimediabilmente zoccola, forse non avrei stretto i denti ricacciando indietro le lacrime, puntando a superare ogni ostacolo che regolarmente mi metteva nel mezzo.
Oggi brindo a te, bagascia senza nome (ché non meriti nemmeno di essere citata) e ai tuoi pessimi insegnamenti, che hanno portato risultati inattesi, almeno da te!
Grazie per avermi concesso lo spazio nel quale togliermi questo sassolino dalla scarpa: non lo dimenticherò!
Poi la mia formazione passa attraverso le agenzie pubblicitarie nelle quali ho lavorato, rivestendo ruoli creativi e confrontandomi con quella che ancora non si chiamava “scrittura persuasiva”.
I risultati erano tangibili, quindi capii che forse era possibile scrivere per me, anziché per gli altri.
Da quel momento mi sono limitato a firmare quello che scrivevo e a scrivere quello che veramente mi piaceva.
E qual è l’opera cui sei più affezionato?
Tutte.
Ognuna ha un significato e un posto speciale in quella cosa atrofizzata che molti chiamano cuore.
Sicuramente Origami (scritto inconsapevolmente a quattro mani con Rosanna Franceschina) è una pietra miliare, ma ognuno dei libri che ho scritto rappresenta un traguardo superato, un desiderio esaudito... insomma, è un pezzo di me. E la frase finisce qui; anche in questo caso non si tratta di un refuso!
Gli artigli delle farfalle ha sicuramente un significato particolare e invito tutti gli abitanti delle terre emerse a leggerlo, ma alle 8:51 di mattina non posso essere abbastanza sbronzo per raccontarlo, quindi rimandiamo a data da destinarsi.
Anche La valle dei cedri rappresenta un cristallo di vita importante e doloroso, così come ogni racconto contenuto nelle raccolte Ossi di seppia per coccodrilli e Il giardino delle Meraviglie, entrambi editi da Porto Seguro.
Tutto ciò che scriviamo è importante, se lo scriviamo per noi.
E scrivere per se stessi è l'unico modo per farlo bene. Se poi il pubblico dei lettori ci premierà, tanto meglio, ma il primo lettore da affascinare è chi scrive.
Tra poco mi affezionerò a Tunnel e a Zeppelin, ma non per questo amerò di meno gli altri libri che ho scritto.
Ci sono temi o argomenti che prediligi come autore (o come lettore)?
L'animo umano senza filtri, con tutte le sue immense passioni, la sua gigantesca e atavica carica di rabbia e l'innato bisogno di predazione.
Sì, perché l'essere umano è fondamentalmente una belva addomesticata da se stesso, ma le pulsioni primordiali sono ben lontane dall'essere sedate, e qualche millennio di cosiddetta civilizzazione non basta per cancellare quello che l'amigdala (il famoso “cervello rettile”) conserva con tanta cura.
Ce ne accorgiamo quando ci incazziamo davvero, quando ci appassioniamo a qualcosa, quando facciamo l'amore. Siamo belve.
E non credere a chi ti dice che l'istinto è annacquato: se non fosse per delle convenzioni che ci stanno maledettamente strette, ci comporteremmo da belve ancora oggi.
Ecco. Nel bene e nel male questo è ciò che scrivo.
Se leggi la quarta di copertina di Ossi di seppia per coccodrilli, trovi condensata la mia filosofia.
Primordi.
Istinto.
Soddisfazione dei bisogni ancestrali.
Scrivo dell'essere umano privo degli schermi imposti dalla civiltà e di cosa gli passa veramente per la testa, per quella meravigliosa testa capace di commuoversi davanti a un tramonto e al tempo stesso ordinare ai pollici di sfondare una trachea.
Pulp. Si chiama Pulp!
E ne ho dato una definizione, tempo addietro, che tutt'ora mi sembra immodestamente perfetta: “se ti strizza contemporaneamente cuore, stomaco e palle, allora è Pulp!”.
E autori che ti piacciono particolarmente?
Molti.
Stephen King in testa alla schiera, anche se, come già detto, quelli che disseVtano di LetteVatuVa storcono il naso.
Io glielo romperei con una testata, figurati...
Tra i contemporanei mi piacciono Ken Follett, Michael Connolly, Patricia Cornwell, Tom Clancy e tutti quelli capaci di trascinarti dentro alle pagine come se nel libro si aprisse un maelstrom.
Adoro elementi schizzati e geniali come Pierre Lamaitre e sono letteralmente impazzito per la deviazione schizofrenica della Rowling: Robert Galbraith e la sua saga squinternata dell'investigatore chandleriamo Cormoran Strike.
Pescando nel passato, come già detto, amo Omero e Virgilio, Dante, Boccaccio...
Poi c'è quello che per me è il capolavoro assoluto: L'amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez. Amo tutta la sua produzione letteraria, ma con quel romanzo credo che abbia toccato vette inarrivabili per qualsiasi altro scrittore mortale, con buona pace di Macondo e del Nobel!
Non sopporto i giallisti scandinavi e gli autori russi: mi intristiscono e mi fanno entrare un terribile giramento di palle. Secondo me scopano poco.
Bene Fabio, grazie ancora, a breve pubblicherò anche la seconda parte dell'intervista, quella che riguarda la tua missione di editore.