È anche ideatore di Sardegnablogger. Al termine di un reading tenuto al Vecchio Mulino di Sassari, ha accettato di rispondere ad alcune domande. Ve lo presento.
Ciao Francesco, anzitutto grazie per la disponibilità. Partiamo con la domanda di rito: ci dici nel minor numero di battute il maggior numero di cose di te, gossip compresi?
"Ho 43 anni, sono sposato, ho un figlio. Sono un giornalista professionista dal 2004 e ho conseguito una laurea in lettere moderne all'Università di Sassari. Da ragazzo collaboravo come speaker alla radio del mio paese, Arzachena, poi ho lavorato per il Consorzio Costa Smeralda da addetto alla vigilanza. Ho iniziato a collaborare con l'emittente Cinquestelle e L'Unione Sarda nel 1998, poi alla fine del 2000 sono stato assunto a L'Unione Sarda. Nel 2004 ho fatto parte della prima redazione del Giornale di Sardegna, chiamato in squadra da Nichi Grauso, il miglior editore con cui mi sia mai capitato di lavorare. Quell'esperienza si è chiusa nel 2010 col fallimento della testata. Nel 2011 ho vissuto, dalla redazione di Cagliari, la fantozziana esperienza di Sardegna 24, quotidiano messo in liquidazione sei mesi dopo il lancio in edicola. Oltre al giornalismo mi appassionano la bicicletta - possiedo il brevetto di guida nazionale di mountain bike - il cinema e il buon cibo."
Qualche tempo fa ho letto un tuo pezzo di denuncia sullo sfruttamento di una spiaggia sarda. Tu abiti ad Arzachena, ossia in Costa Smeralda. Cosa ci dici in merito.
"Il bene ambientale, cui dobbiamo una buona parte delle nostre fortune, viene visto perlopiù come uno strumento da mettere a disposizione della più sguaiata industria del turismo o dei famelici costruttori. La spiaggia cui alludi è quella di Romazzino: a maggio ci hanno montato sopra un palco di trenta metri perché una coppia di sposi voleva un concerto in riva al mare per la festa di nozze. Dieci anni fa segnalai, con tanto di reportage, il sistema brutale di pulizia delle spiagge della Costa Smeralda: per ripulirla dalle alghe si sono usati camion e bulldozer e abbiamo perso migliaia di metri cubi della sabbia di quegli arenili, solo per poterle presentare come lidi caraibici ai clienti degli alberghi. Non parliamo, poi, della devastazione edilizia sulle coste: stiamo disperdendo un patrimonio in cambio di qualche piccolo appalto o di cantieri che restano aperti sei mesi."
La Sardegna, oramai per molti è terra di conquista e *vittima* di stereotipi. Vedi una via d’uscita (chiamiamola così…) pacifica o ragionevole?
"Si conquista qualcosa quando questo qualcosa può essere conquistato. Noi siamo oggettivamente pochi e divisi, abbiamo una classe politica senza particolari idee - ma poi la classe politica è specchio di chi la esprime, non dimentichiamolo mai - e non sappiamo valorizzare abbastanza le nostre vocazioni. La via d'uscita sta nella conoscenza dei problemi, nella formazione e in un approccio alle risorse che guardi avanti di dieci anni, non solo all'utile immediato."
Sei un ciclista, giri spesso per l’Isola, cosa pensi della “cura” che viene dedicata (da noi e dallo Stato) all’ambiente?
"Abbiamo un'Isola bellissima, un posto che è davvero il migliore in cui si possa vivere, come diceva De Andrè. In bicicletta questa bellezza emerge in modo prepotente, e vi parla uno che l'ha attraversata per intero due volte in un anno. Ma quando vedo la distruzione causata dalle cave di granito in Gallura o le cunette imbrattate di rifiuti lungo la 125 mi cadono le braccia. Credo che una vera cultura ambientale ancora non esista."
Sei un giornalista, sei *reduce* da Sardegna 24, hai avuto delle notevoli esperienze nel campo dei media. Ce ne parli?
"Ho sempre sognato di fare il giornalista, fin da bambino. Poi, quando quella realtà la vivi da dentro una redazione, la tua visione idealista della missione assume tonalità più grigie. Oggi i giornali vivono la concorrenza di altre e più agili forme di comunicazione ricorrendo al sensazionalismo, a posizioni radicali, oppure si schierano con gruppi economici forti solo per averne un qualche ritorno economico: ne va della loro stessa sopravvivenza. Gli organici delle redazioni, inoltre, si riducono numericamente e questo penalizza la qualità del lavoro. Spesso i giornali sposano gli interessi di editori che editori puri non sono e ai quali un'informazione davvero libera interessa poco. E questo è davvero un peccato, perché le redazioni sono affollate di giornalisti acuti e ricchi di talento che, però, spesso pagano con una scarsa visibilità la loro autonomia."
Com’è nata l’idea di Sardegnablogger ?
"Vedendo tanti bravi scrittori, giornalisti e liberi pensatori, in rete, ognuno per conto suo. Ho cercato di canalizzare in un unico flusso quell'incessante movimento di idee, opinioni e informazione. Un unico flusso non significa un controllo centralizzato sui contenuti: la pagina ha diciotto amministratori, quanti sono i redattori, e ognuno scrive esattamente ciò che gli pare."
State portando in giro un reading collettivo. Quali scopi vi prefiggete.
"Userei questo slogan: Sardegnablogger riempie spazi con le parole. Si può ridere, riflettere, imparare e commuoversi anche senza avere uno schermo televisivo davanti, interagendo col pubblico. Spaziamo dall'analisi politica semiseria al pezzo di puro cazzeggio, passando attraverso la denuncia: è un genere di reading a più voci, inedito. La formula funziona, lo abbiamo capito, e la gente ci ascolta molto volentieri."
Quali potenzialità ha, o pensi che possa avere, un blog e un blogger?
"Ancora non lo so. Sardegnablogger in alcune settimane ha superato le centomila visualizzazioni di pagine e il riscontro dei lettori è davvero confortante. Il lettore attento capisce che da un medium completamente libero, senza padrini né padroni, ha solo da guadagnare."
Che progetti hai per il futuro?
"Promuovere quanto più possibile Sardegnablogger: siamo già una testata giornalistica, a breve saremo anche associazione culturale e cercheremo di portare in giro i nostri spettacoli nei circoli sardi del mondo."
E Sardegnablogger che progetti ha?
"Te l'ho appena detto."
Ti va di parlarci del tuo libro?
"È un romanzo storico, forse un racconto lungo, ambientato in Costa Smeralda tra il 1998 e il 2000. S'intitola "Cosa conta" e parla di giornalismo libero e no, alienazione professionale, amore e speculazioni immobiliari: ho cercato di condensare in trecento pagine le grandi domande della vita di un addetto dell'informazione e sono sicuro che ai giornalisti non piacerà affatto. Lo troverete in vendita tra pochi giorni in formato digitale, su Apple Ibook e Amazon Kindle."
Ti ringrazio per il tempo che mi hai regalato e volevo salutarti con un’ultima domanda, lingua sarda: cosa ne pensi? Se ne parla poco, troppo, male o in maniera poco approfondita? Ritieni sia il caso di rivalutarla?
"Io sono gallurese e parlo gallurese, il sardo non lo capisco. A mio figlio ho insegnato il gallurese come prima lingua: è stata una cosa del tutto spontanea, non figlia di calcolo. Lui si arrabbia se io e la madre comunichiamo in italiano, per dare un'idea di come io la pensi. È bello sentirgli padroneggiare certe espressioni estratte direttamente dalla terra, appartenenti al vissuto e alla nostra storia. Dicono molto di noi. Però, spesso, ho l'impressione che molti sostenitori del sardo vogliano come rinchiudersi in una sorta di riserva indiana. Questo non è più possibile. Non si impongono le lingue, bisogna assecondare però chi vuole tenerle in vita."
E noi siamo certi che il tuo progetto avrà successo, credo che di persone impegnate come te, e come voi di Sardegnablogger, non ce ne siano mai abbastanza: la Sardegna - e la sua Cultura - ne ha bisogno.
Grazie.