Ve lo presento.
Ciao Pier Bruno, grazie per la disponibilità. Partiamo subito con la domanda di rito: puoi dirci la maggior parte di cose su di te, nel minor numero di battute possibile, gossip compresi?
Iniziamo dal gossip: amo la solitudine, il silenzio. Amo la corsa, in solitudine e in silenzio, assoluto, interrotto solo dal rumore tratteggiato dei miei passi. Perché è lì che trovo le soluzioni migliori quando scrivo, quando la trama sembra sfilacciarsi. Ecco, forse è la solitudine, tipica della nostra terra, che mi fa amare di più la Sardegna: fondamentale per la mia formazione, fondamentale quando scrivo.
Con quali opere sei presente in libreria?
Il mio romanzo d’esordio, Il giorno della tartaruga (2013), dove un uomo maturo torna indietro di venticinque anni, cui è seguito Dannato Cuore (2015), storia di donna che insegue una vita da recuperare, entrambi per Parallelo45 Edizioni. Poi quest’estate è uscito Fotogrammi slegati, [Il Seme Bianco Editore]: un libro di racconti, quasi sempre con la Sardegna al centro, affollato di personaggi tormentati, e spesso, sconfitti.
E quali sono i temi che ami affrontare quando scrivi?
Ecco, ti parlavo di personaggi sconfitti, gli ultimi della fila: li adoro, mi ispirano. Mi piace scrivere di chi si trova in un punto basso della sua vita e deve lottare per risalire, senza mai la certezza di arrivare. Gli eroi ideali sono gli antieroi! Quelli che sbagliano, che sono deboli, che hanno dissidi da risolvere. Così li sento veri e mi piace raccontarli.
Ora la domanda da un milione di eurodollari: quale ruolo pensi che debba, o possa, avere lo scrittore nel panorama culturale odierno?
Un ruolo fondamentale e indispensabile: essere un ostinato baluardo del buon senso, della voglia di approfondire e comprendere, in generale, non solo della cultura. In questi anni di imbarbarimento dei valori, di odio, di mal di pancia e di urla che non sono mai opinioni, lo scrittore si deve schierare in prima fila per difendere la voglia di analizzare obbiettivamente, per gridare allarme davanti alla tendenza attuale di digerire imbrogli ideologici infiocchettati e ben confezionati. Ma sono imbrogli. Solo la cultura e la voglia di capire possono far crollare i falsi miti urlati.
E un’opera letteraria?
È proprio l’opera letteraria che può smuovere le coscienze. È l’opera letteraria che stimola le idee. Le altre comunicazioni, come i social, i video, i compilatori di blog con tutti i loro seguaci, impongono, senza che ce ne accorgiamo, ideali predigeriti. Subiamo passivamente, come bidoni, la spazzatura che ci viene rovesciata dentro. Incameriamo passivamente ciò che ci mostrano, senza che il cervello filtri, analizzi, consideri, critichi, accetti o si ribelli. L’opera letteraria no! L’opera letteraria attiva tutti i neuroni: il cervello trasforma il segno grafico che leggiamo in parole, e le parole in immagini e le immagini in emozioni. Avviene tutto meravigliosamente nella testa di chi legge. Che così si sviluppa autonomia di pensiero, senso critico, e valori reali, non inscatolati. Sono i libri che ci salveranno.
Hai degli autori di riferimento che, magari inconsciamente, influiscono sulla tua scrittura?
Da ragazzo sono rimasto folgorato da Luigi Pirandello. Ho letto tutto di lui, e mi ha lasciato molto dentro. Non credo che abbia influito sulla mia scrittura, ma sicuramente sulla architettura dei miei pensieri, coi suoi personaggi reali, con la sua rivoluzione del teatro. Ogni tanto qualche recensore dei miei libri azzarda a citarlo. So che è un azzardo spericolato, che mi imbarazza, ma che trattengo solo per me.
Come ti rapporti con la critica? Le tue opere hanno avuto qualche recensione?
Ho avuto moltissime recensioni, per essere un autore con solo tre libri ne ho avuto davvero tante. Alcune anche su siti internet importanti come Critica Letteraria, o Cultura al Femminile, o Leggo ciò che voglio. Spesso anche sui quotidiani e riviste culturali Sarde, ANTAS, ad esempio. Con la critica mi rapporto benissimo, anche perché fin ora è stata molto benevola. Forse anche più del pubblico. Anzi devo dire che gli apprezzamenti più positivi mi arrivano più da altri scrittori e recensori che dal pubblico in generale.
Veniamo al tuo ultimo lavoro: la raccolta di racconti intitolata Frammenti slegati, edita da Il seme bianco. Come mai la scelta proprio dei racconti?
Sono d’accordo con te: abbiamo un’idea strana dei racconti. Durante le presentazioni degli altri due miei libri non mi hanno mai chiesto: «Come mai un romanzo?», mentre per Fotogrammi slegati mi chiedono sempre il perché della scelta dei racconti. Perché? In realtà io non faccio una distinzione così netta; considera che il mio primo romanzo, Il giorno della tartaruga, era nato e pensato per essere un racconto. Poi, nonostante me, si è sviluppato fino a diventare un romanzo. E al contrario, uno dei racconti dell’ultimo libro l’ho iniziato con l’dea di fare un romanzo. Poi invece la storia ha trovato il suo sbocco naturale in una lunghezza molto più contenuta, ed ecco il racconto. E comunque è giusta la tua domanda perché a ben guardare racconto e romanzo sono due generi diversi, con un passo ben diverso. E allora ti rispondo che mi ispirava il passo veloce del racconto, immediato, senza mai poter deragliare dalla strada principale. Comunque la linea di confine tra i due generi rimane molto sfumata.
Visti i temi abbastanza delicati e di alto valore sociale affrontati nelle pagine che hai scritto, quale messaggio speri che arrivi agli occhi, e non solo occhi, dei lettori?
Grazie del complimento, in realtà come scrittore sai benissimo che ti immergi nelle tematiche che ti affascinano, e perché ti ispirano. Senza pensare a quale sia il gradiente del valore di quel tema. La meraviglia della scrittura è quella di poter spaziare in senso traversale in tutto il magma che bolle, senza bruciarsi. Se poi da tutto questo son riuscito a trasmettere l’orrore del femminicidio, o la voglia di salvarsi dai momenti più bassi, o l’idea che non si ha mai perso del tutto, se così fossi, ne sarei ben felice.
Che genesi ha avuto quest’opera che, tra gli altri, contiene anche un racconto come dire "autobiografico"?
Il racconto autobiografico, sulla maratona, è realmente vissuto in ogni riga, in ogni parola. E deriva dalla immensa emozione di concludere una impresa durissima per poi cadere svenuti. E alla fine può rappresentare qualunque cosa, della vita di ognuno, che costa sacrificio e fatica, dura da conquistare. Così questo racconto ha avuto la sua genesi in uno scampolo di vita mia, ma potrebbe essere di chiunque. Altri pezzi partono da emozione registrate, sfiorate, o semplicemente riferite, o soltanto immaginate, ma che ti toccano in profondità Tu, da scrittore, sai bene che spesso la storia da raccontare viene da te per caso, ti fa gli occhi dolci, ti conquista e non ti lascia in pace finché non la scrivi.
Hai dei sogni o dei manoscritti nel cassetto, ossia: cosa vorresti fare da “grande”?
Dei sogni? Scherzi, non riesco a contenere tutti i sogni che ho! Tu, da autore, non ne sarai sorpreso. Un bellissimo verso di Rudyard Kipling dice: «Se riesci a sognare e non fare del sogno il tuo padrone;», che mi pare colga il senso profondo del sognare. Dopo il mio ultimo libro non ho già altri manoscritti nel cassetto, ma sicuramente tanti progetti, tante emozioni già acquisite e strutturate da scrivere. Ecco, da “grande” il sogno sarebbe di occuparmi di scrittura a tempo pieno.
In fine sono io che ti ringrazio tantissimo per avermi condotto con le tue domande stimolanti in un bel giro dentro me stesso; con considerazioni che mi hanno anche sorpreso. È stato un grande piacere, e di questo ti ringrazio.